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Roma. La politica del cerino e il termometro di Primavalle

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E’ passata ormai una settimana dallo sgombero dell’occupazione di via Cardinal Capranica. Una nuova prova di forza di Salvini e della Lega, che ha ufficialmente aperto le danze per la campagna elettorale del Campidoglio con due anni di anticipo.

Le scene da operazione militare viste quel giorno a Primavalle non sono nuove al contesto romano. Già gli episodi di Cinecittà e Piazza Indipendenza, nell’estate 2017, avevano segnato un cambio di passo nella gestione dell’ordine pubblico a Roma, con la prova di forza dell’allora ministro Minniti le cui conseguenze, complice la reazione degli occupanti, fecero così tanto clamore da aver di fatto bloccato ogni operazione di sgombero fino a qualche mese fa. Lo stesso Minniti, d’altronde, è stato l’artefice dei lager per i migranti in Libia, dei morti nel Mediterraneo, della stretta securitaria sul piano interno. Ormai è risaputo, le scene che questo governo esaspera fino allo spasimo, tanto sul livello nazionale quanto su quello romano, hanno germinato nella precedente legislatura. Anche per questo (ma non solo) i pagnistei dei Dem sulle ONG e sulle politiche salviniane risulterebbero quasi ironici.. se in gioco non ci fossero la vita, la libertà e i bisogni delle persone.

Salvini, in fondo, da questo punto di vista non ha inventato nulla. Riesce semplicemente a giocare meglio le sue carte, sia in termini di scelta degli obiettivi che di costruzione del consenso. Soprattutto perché le operazioni che mette in campo, a differenza del PD, parlano direttamente alla sua componente di riferimento. Ed ha la capacità di rasformarle rapidamente in punti di elettorato, anche quando le mosse riescono solo in parte. Per restare su Roma, è il caso dello sgombero dell’ex-Penicillina LEO sulla Tiburtina a dicembre dello scorso annodicembre dello scorso anno. Grande canea mediatica, decine di mezzi, centinaia di uomini delle forze dell’ordine per liberare uno stabile già vuoto. I selfie del capitano non si sono fatti attendere, una brillante operazione di ordine pubblico per una città finalmente libera dal degrado. Poco importa se poi si verifica esattamente quello che le realtà locali e le associazioni umanitarie avevano denunciato già prima dello show: coloro che abitavano là dentro hanno trovato altri ricoveri di fortuna senza soluzioni reali, lo stabile è rimasto abbandonato nelle stesse condizioni di prima (con tanto di sostanze tossiche annesse), lo sgombero con quelle modalità non è servito a nulla. O meglio, è stato funzionale allo scopo del leader leghista, che per la prima volta ha mostrato i muscoli in un territorio a lui sconosciuto come la Capitale.

Quella stessa Capitale che Salvini, ormai da mesi, continua a martellare senza sosta. Un ritmo incessante di dichiarazioni, colpi bassi e irruzioni nella politica romana dai dispetti sul Salva-Roma (poi inserito nella Legge Crescita come Salva-Comuni) all’affaire monnezza. Complici le quotidiane bagarre all’interno del governo gialloverde e la mancanza di difesa da parte degli stessi esponenti del Movimento, Virginia Raggi si ritrova isolata ad affrontare i dossier che scottano: stadio della Roma, rifiuti, riorganizzazione delle municipalizzate Atac e Ama, tensioni interne alla maggioranza consiliare. Con l’uomo forte dello scenario politico attuale che ha iniziato già da tempo la campagna elettorale sulla città cercando di screditare il suo operato con ogni mezzo necessario. 

Lo sgombero di Primavalle è un altro, di certo non ultimo, episodio del tiro al bersaglio contro la sindaca. La neoprefetta Pantaleone, emissaria leghista sui sette colli, ha subito mostrato i denti: ora si fa sul serio, e lo si fa a modo nostro. Partendo proprio da uno stabile del Comune di Roma, su cui non pende alcun provvedimento giudiziario né di risarcimento, dunque senza alcuna fretta di essere liberato. Dopo l’illusorio rinvio di un mese dell’operazione, il Ministero degli Interni e la questura romana hanno deciso di tirare dritto anche senza soluzioni. La Regione Lazio, coinvolta mani e piedi dentro all’emergenza abitativa della città, ha scelto di non scegliere, dimostrando ancora una volta le difficoltà ad esporsi sul tema anche quando si tratta di giocare contro Salvini. Insufficiente e ritardataria, la lettera inviata dai consiglieri regionali di maggioranza e M5S alla prefetta per chiedere di fermare gli sgomberi senza soluzioni si è rivelata inutile. Zingaretti prova a fare la voce grossa quando si parla di rubli, ma nelle questioni vere, e così spinose, si tiene a distanza di sicurezza. Anche alla Pisana, d’altronde, chi è senza peccato scagli la prima pietra. L’ala renziana continua a presentare il conto al neo segretario dem, dalla Valsusa alla Capitale. I provvedimenti in materia di emergenza abitativa negli ultimi tempi sembrano rispondere più a esigenze partitiche che ai bisogni della gente, vista la latitanza dei 194 milioni della famosa delibera sull’emergenza abitativa, la vendita delle case popolari del centro con conseguente deportazione degli abitanti in periferia, la modifica della legge 12 sull’assegnazione delle case popolari che rischia di tagliare fuori tantissimi inquilini, la sanatoria solo prima dell’infame decreto Lupi, l’ostruzionismo sui piani di zona.

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Con Salvini deciso a intervenire e la Regione in religioso silenzio, il famoso cerino stavolta tocca proprio alla giunta pentastellata e all’assessora Baldassarre. Come ogni spettacolo che si rispetti, la recita non può iniziare senza il protagonista. Dunque la mattina dello sgombero, a Cardinal Capranica, l’enorme apparato securitario con la questura romana al gran completo attende pazientemente l’arrivo della musa dell’Assessorato alle Politiche Sociali. Che sforna una prestazione decisamente sottotono, con mezz’ora di finta trattativa e soluzioni più che inefficaci. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: uno stabile indicato come idoneo per l’accoglienza era inagibile; una parte di occupanti si è autonomamente redistribuita nelle altre occupazioni della zona; una parte si è arrangiata per conto proprio; una parte ha denunciato le schifose condizioni degli alloggi messi a loro disposizione dal Comune, peraltro solo fino al 15 agosto. Con la beffa di aver ricoperto d’oro una cooperativa in odor di Mafia Capitale, la Medihospes Onlus, parte di quel “mondo di mezzo” che la Casaleggio & co. si vantava di voler eliminare dalle stanze del Campidoglio. Stabili inesistenti, cifre esorbitanti per le cooperative, soluzioni poco credibili: il cerino tra i cerini è toccato ad Aldo Barletta, il solerte dirigente del Dipartimento Politiche Abitative conosciuto per le assegnazioni pilotate delle case popolari e la lingua lunga con le organizzazioni neofasciste, esiliato alla direzione del Centro Carni. Ma di certo non è sufficiente. Al Campidoglio tira una brutta aria, i nodi al pettine non si sciolgono, la spada di Damocle della magistratura continua a penzolare e il piatto elettorale piange ogni giorno di più. La questione sgomberi, in un contesto così delicato, rischia di essere una partita fatale.

La neoprefetta, dal canto suo, prosegue senza sosta il cammino della guerra alle occupazioni abitative e spazi sociali della città. La timeline predisposta nei giorni scorsi è sicuramente pretestuosa, ma tutto fa presagire che non si faranno sconti. Su Roma si gioca una battaglia di livello nazionale, non c’è tempo per gli indugi. E non c’è nessuna intenzione di dare l’opportunità, anche minima, alla giunta Raggi di ridurre le dimensioni del cerino che, suo malgrado, diventerà sempre più grande.

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A questo punto è lecito chiedersi: la città starà a guardare? Quella di Primavalle è stata una sconfitta, inutile girarci attorno. Al netto della determinazione degli occupanti, che hanno resistito con tutti gli strumenti a loro disposizione, si sarebbe potuto fare di più e si sarebbe potuto fare meglio. Come solidali si dovranno immaginare forme più efficaci per sostenere la resistenza di chi sale sui tetti ed incendia le barricate. Ma la situazione non era facile, ed è servita anche a prendere alcune misure. Non dimentichiamo che Roma non vedeva un sgombero di queste proporzioni da quasi due anni, ad eccezione della già citata ex-Penicillina LEO, caso a parte per caratteristiche e composizione. La città già in passato ha saputo rispondere ad attacchi di questo ed altro tipo, forse mai con un contesto socio-politico così avverso, ma tant’è. Nella Capitale ci sono diverse decine di stabili occupati, più gli innumerevoli non censiti, senza contare le case popolari. Anche se la prefettura riuscisse a rispettare le promesse, ci vorrebbero più di 20 anni per venirne a capo. Con un dispiegamento di forze che, se dovesse sempre assomigliare a quello di Primavalle, non sarebbe scontato da ripetere in continuità. E con una bomba sociale di migliaia di persone pronta a deflagrare con effetti imprevedibili.

In città negli ultimi mesi si stanno tentando alcune formule di ricomposizione, un qualcosa che è partito e non si sa dove possa condurre. Un processo che può dare i suoi frutti solo se accompagnato da una strategia precisa che sappia giocare con la controparte e parlare ad un soggetto più ampio della sola componente militante e/o di chi è coinvolto negli sgomberi. Non è una guerra tra bande, non è un braccio di ferro che si può giocare solo su un piano militare. Per uno strano scherzo delle contingenze, nella partita sgomberi gli interessi politici della Giunta comunale, allo stato attuale, sono più vicini a quelli degli occupanti rispetto a quelli del governo nazionale, che rischiano di schiacciare i pentastellati romani in un vicolo cieco. Questo cerino deve iniziare a scaldarsi, a scottare così tanto da costringere chi ce l’ha in mano a muoversi in fretta e in una certa direzione. Approfondire la contraddizione, dare respiro alle mobilitazioni, ampliare il raggio degli interlocutori, aumentare l’eccedenza per forzare al momento giusto. Alcuni, parziali spunti da cui partire per sopravvivere alla canicule dell’estate romana e rilanciare verso una nuova stagione tutta da costruire.

 

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