Soverato, lavoratrice picchiata dal datore di lavoro che le nega il salario: il segreto di Pulcinella
L’ormai nota vicenda che ha coinvolto Beauty, venticinquenne lavoratrice stagionale presso il “Mare Nostrum” di Soverato è stato solo l’ennesimo caso simbolo che ha scandalizzato le fragili coscienze del web. Nulla che già non sapessimo, ci viene da dire.
Il titolare di questo noto lido-ristorante della provincia di Catanzaro, tale Nicola Pirroncello, dopo aver negato una cospicua parte del salario pattuito alla lavoratrice, assunta con un contratto fasullo che dichiarava un decimo delle ore effettive di lavoro, ha ben pensato di malmenare la ragazza che si è presentata presso la sua illustre impresa locale a pretendere i soldi mancanti nel pagamento.
Tutto ciò che ha permesso l’indignazione della politica istituzionale e dei canali mediatici nazionali è stato il fatto che Beauty abbia giocato d’astuzia, riprendendo l’accaduto; che avesse la sfera magica di sapere come sarebbe finita? O semplicemente il ricatto del salario è una realtà per cui lavoratrici e lavoratori hanno ben chiaro di doversi dotare di strumenti di autodifesa in merito?
Ci sembra incredibile che la narrazione che va per la più sia quella per cui Beauty abbia praticato “una protesta”, come a dichiarare velatamente che ricevere i soldi lavorati (in condizioni di sfruttamento) sia qualcosa che non rientra nelle regole del gioco, sia un in più, un diritto da guadagnarsi e per cui lottare. Mentre il patto stabilito proprio da chi fa le regole del mercato del lavoro, prevede che questa sia la conditio sine qua non, non un regalo, né una conquista legata al coraggio o meno di pretendere la retribuzione.
Quando le testate giornalistiche ci parlano di “violenza inaudita” solo in relazione al fatto che costui abbia picchiato la lavoratrice in questione, fa riflettere in merito al concetto limitato che si ha di questo strumento che è perfettamente inserito nelle dinamiche dello stato e del lavoro; la violenza inizia ben prima che questo imprenditore prendesse dai capelli Beauty, inizia dal momento in cui sfrutta una condizione di necessità per far firmare un contratto che non garantisce i minimi diritti alla retribuzione, né al riposo e tantomeno a condizioni di sostenibilità di tale lavoro da parte di una lavoratrice donna, madre e non italiana, la stessa violenza prosegue silenziosa fino alla negazione del salario e infine esplode rumorosamente quando un titolare si sente legittimato anche ad utilizzare la forza fisica per tentare di tacciare una richiesta che neanche sarebbe dovuta esserci secondo i suoi criteri, solo allora il caso fa notizia. Solo allora abbiamo uno scoop fresco fresco da prima pagina.
Proseguendo nell’approfondire le decine di notizie che ci vengono agli occhi e alle orecchie, apprendiamo che un sacco di imprenditori dal cuore grande hanno risposto con “un’ondata di solidarietà” nei confronti di Beauty, offrendole decine di offerte lavorative contrattualizzate, come se il lavoro (regolare) fosse un regalo che ci viene fatto e non l’unico strumento (legalmente stabilito) che abbiamo per garantirci di poter sopravvivere in uno stato di cose che prevede il denaro per sopperire alle necessità materiali della persona. Il triste specchio, questo, di un razzismo pietista che ostracizza la condizione di persone non bianche, in Italia, per farne esotiche figure incapaci di autodeterminarsi, spesso molto utili a lavare la coscienza del maschio bianco e anche ricco.
Wanda Ferro, deputata per Fratelli d’Italia ci ricorda un elemento importante “il tema dei diritti e della dignità dei lavoratori deve essere un confine invalicabile, anche a garanzia della leale concorrenza e a salvaguardia del sacrificio dei tanti imprenditori onesti che rispettano i contratti e garantiscono i diritti dei propri dipendenti”, Accidenti! Ma siamo proprio un peso per questi poveri imprenditori che si sacrificano ogni giorno per darci i nostri soldi, mentre la paga settimanale di un lavoratore stagionale medio equivale quasi al conto di una tavolata da 7 persone.
Ci chiediamo allora se forse non sarebbe il caso di togliere il disturbo e farci pagare le ferie in Costa Rica dal Reddito di Cittadinanza, sicuramente allora questi ristoratori non avrebbero più i sudori freddi al momento dei conti, ah no, non va bene nemmeno così… Perché in realtà, a detta di molti ristoratori e operatori turistici, tutti questi giovani scansafatiche non vogliono più lavorare perché sono pagati profumatamente dallo stato che elargisce mediamente 300 euro mensili a chi rientra nella soglia di povertà. Bella fregatura!
Infatti, il settore sembrerebbe in crisi proprio a causa del Reddito, osserviamo qualche dato?
Senza lauree in economia, basterebbe guardarsi in torno nelle principali località turistiche per non avere, neanche lontanamente, la percezione che il settore sia fermo o addirittura in perdita, anzi! Ci sembra che tutto proceda a ritmo spedito e con qualche grafico facilmente reperibile presso i siti nazionali possiamo osservare che dal 2019 (anno record per presenza turistica) ad oggi, la situazione sia in crescita netta sia per quanto riguarda i guadagni che rispetto alle assunzioni, e guarda un po’ soprattutto di persone under 25, e guarda un po’ (parte seconda) soprattutto nel settore turistico. Insomma, tutto sembra ripartito a pieno ritmo.
Ci risuona un certo slogan in mente, mentre proviamo a ragionare sulla complessità della questione. Come faceva? Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema? Sì, giusto quello. In effetti, ci sembra che sia andata proprio così, non c’è più nulla di “normale”, in due modi perfettamente uguali e contrari.
Da un lato abbiamo chi possiede le attività lavorative che sta vedendo guadagni incredibilmente in crescita e non riesce a capacitarsi del fatto che non si riesca più a trovare uno straccio di giovane, manco se straniero, che si faccia sfruttare 7 giorni a settimana per guadagnare 500 euro senza contratto e dall’altro abbiamo il dato, probabilmente il più interessante, di una generazione che effettivamente non è più disposta ad accettare tutto, e il fatto che questa cosa sia considerata negativamente è lo specchio di ciò che vorrebbero che diventassimo: silenziose macchine da sfruttare per il bene del Bel Paese. Peccato che a questa presunta unità nazionale che ci avvicina sotto la bandiera del “pizza, spaghetti e mandolino” non ci crede quasi più nessuno, dove sta l’unità in un territorio in cui chi è ricco continua ad abbuffarsi e chi è povero non riesce nemmeno a pagare la benzina per arrivare a lavoro? Scusate ma non la vediamo affatto, e ci sembra di non essere i soli.
E’ innegabile che, dallo scoppio della pandemia in avanti, ci sia una percezione diversa del lavoro, della propria vita ma soprattutto di ciò che vorremmo garantito di diritto… Sarà forse causa del fatto che milioni di lavoratrici e lavoratori siano state abbandonate completamente dai governi in fasi estremamente critiche, sia per chi ridotto in cassa integrazione senza che questi miseri soldi arrivassero in tempo per sopravvivere e anche per chi costretto a proseguire le mansioni lavorative senza tutele sanitarie, sempre nella logica del “lo facciamo per la nazione”, in questo dualismo molto netto c’è stato il fantasma degli stagionali. Persone lavoranti, spesso senza un contratto che lo certificasse che semplicemente hanno dovuto inventarsi un modo per sopravvivere in una fase in cui lavorare era impossibile, così come ottenere dei sussidi. Che questi milioni di persone abbiano compreso l’importanza del tutelare i propri interessi e non quelli dei loro padroni? Probabile, come è probabile che ci sia chi preferisce campare con poche centinaia di euro al mese piuttosto che farsi venire i reumatismi e il fegato marcio a 23 anni pur di rispettare la norma sociale che qualifica l’essere umano e la sua dignità in base a se lavora o meno e come lo fa.
Alle nostre spalle abbiamo precedenti che non permettono di fare passi indietro e gli unici a non averlo capito sono i ricchi, i politici e i privilegiati; perché non ci sia più bisogno del “coraggio” di una singola serve porre delle fermezze e imporre un cambio di guardia complessivo, siamo felici che Beauty possa lavorare in un locale in cui si trova meglio ma questo non cambia le cose, serve una modifica strutturale di come viene concepito il lavoro, in particolare quello stagionale. Ma ancor prima serve che cambi lo sguardo con il quale si osservano (a debita distanza) e si giudicano e si interagisce con i giovani.
Questo branco di fannulloni non ha più intenzione di farsi andare bene tutto, tanto meno di passare la vita a sgobbare e basta.
A questa ritrovata postura dei giovani in generale si risponde in molti modi: bastonando e arrestando chi si organizza politicamente, cacciando e non pagando chi pretende condizioni lavorative accettabili, costruendo una campagna mediatica denigratoria rispetto ai giovani; in sostanza, il metodo resta quello di martellare la marmotta quando caccia il naso fuori dalla tana, eppure il flusso è incontrollabile, incontenibile.
Sì, vogliamo più soldi per il lavoro che svolgiamo, vogliamo tutele, giorni liberi e orari adeguati a poter fare altro oltre che lavorare, non è obbligatorio che il lavoro ci piaccia, va fatto se necessario e va fatto alle giuste condizioni, altrimenti troveremo altri modi di sopravvivere, al contrario un ristorante senza camerieri è difficile che sopravviva a lungo, allora sganciate la grana e i contratti e smettetela di piangere elemosinando concessioni gratuite, smettetela di pretendere che smettano di elargire sussidi per far riabbassare i costi della mano d’opera, smettetela di pretendere che i giovani siano come siete stati voi, i tempi cambiano e la favoletta del boom economico è stata smentita. Vi hanno fregato. Ci dispiace.
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