Torino ResetG7: tre giorni di assedio al vertice, verso un riscatto possibile
Si è appena concluso il corteo unitario contro il G7 dell’industria, della scienza e del lavoro. Un vertice cronometrato per evitare al massimo ogni tipo di contestazione, di fatto un summit-nato-morto pensato come una passerella nella smart city e finito barricato in una reggia protetto da 1’500 poliziotti mentre un corteo di circa 5’000 persone assediava il ministro Poletti. La manifestazione di oggi conclude tre giorni di moblitazione contro il vertice costellati da azioni notturne, cortei selvaggi e appuntamenti studenteschi. Qualche considerazione a caldo, nell’obiettivo di animare un ragionamento collettivo.
La paura del potere: essere costante
Il primo dato è quello del terrore che ormai regna tra i governanti su ogni possibile eccedenza che rappresenti, uno spaccato, per quanto minimo, dell’immiserimento che regna in questo paese. Il G7 è stato gestito con un sovranummero di uomini e mezzi che ci parlano di un potere sempre più distante, incapace di confrontarsi anche in una minima dialettica politica e quindi obbligato a schierare un gigantesco apparato militare per sopravvivere. Questa è l’unica verità delle istituzioni oggi e ancora di più lo sarà domani. Se noi ancora fatichiamo a trovare la forza della e nella nostra parte, chi ci è davanti è ben consapevole della propria debolezza. Qual’è il ruolo di una composizione militante in questo contesto? Non rappresentare una variabile con cui il potere deve fare i conti ma una costante, sedimentare una rigidità politica che s’innesti in una contraddizione evidente della nostra epoca (la distanza sempre crescente tra istituzioni, corpi intermedi e popolazione) ed essere indicazione.
Una ricomposizione possibile? Facchini, studenti, lavoratori delle cooperative e…
Ci soffermiamo per qualche momento sulla composizione del corteo di sabato. Lavoratori aderenti ai sindacati di base, facchini, lavoratori delle cooperative e settore terziario impoverito. Sfrattati, occupanti di case, famiglie in emergenza abitativa. Composizione giovanile, studenti delle scuole superiori, precari delle ristorazione. E poi qualche abitante della periferia nord di Torino che si è unito in fretta e furia perchè stava succedendo qualcosa. Dobbiamo cercare i nostri non con l’occhio del sociologo ma misurando il potenziale di cambiamento, la voglia di riscatto e la disponibilità a mettersi in gioco. Puntare non sulla vecchia sinistra orfana di rappresentanza e di rituali, foss’anchero i cortei che tanto piacciono anche a noi, ma su ciò che sentiamo scorrere come un fiume carsico sotto la politica. Negare le proprie identità per alludere al non detto, al rimosso dello sfruttamento e della miseria quotidiana, cercare una ricomposizione possibile che sia sommatoria geometrica, che quindi punti in alto e nel momento dell’incontro e dello scontro si superi e alluda a qualcos’altro. Le lotte quotidiane non bastano e non basta farle convergere. Serve di più. Serve parlare a quella larga fetta di sfruttati e oppressi che cerca lo scontro direttamente sul piano del politico – e quanto l’hanno capito più di noi quattro buzzurri “populisti”! Ci sembra che in questo senso la tre giorni contro il G7 ci dia un dato importante: c’è voglia di riconoscersi e di riconoscere la propria parte. E tanti ci hanno riconosciuto. Per fare questo serve mantenere la barra dritta su qualche punto fermo: la chiarezza degli obbiettivi, il valorizzare piccole minoranze ma rappresentative di una condizioni sociale più ampia, la necessità di non rinchiudersi in identità politiche predefinite.
Capire come si passa dal riconoscimento all’attivazione sociale, come si spezza il meccanismo della delega non era sicuramente il compito di questo percorso contro il G7, resta il rebus da risolvere insieme.
Fare la propria parte
Dal corteo degli studenti, alle azioni notturne a sorpresa, dalla street parade al corteo di sabato le mobilitazioni si sono incastrate magicamente nell’obiettivo di mettere in difficoltà l’avversario. Lo diciamo fuor di retorica, l’avevamo promesso e le promesse noi, a differenza di quelli del G7, le manteniamo: siamo stati il loro incubo. Tutte le tattiche possono essere messere a profitto (dalla rappresentazione teatrale allo sfondamento della zona rossa) se c’è l’unità di una strategia.
Resta il fatto che oggi costruire mobilitazioni ampie e radicali richiede uno sforzo politico e militante enorme. I nostri spazi politici dobbiamo conquistarli a spinta, senza paura, con costanza e caparbietà. Nella chiarezza di uno scontro possibile. Non quello della guerra tra poveri ma della guerra contro chi ci rende poveri. È un percorso difficile e tutto da costruire ma è l’unico che vale la pena percorrere. I sorrisi sui volti di chi tornava dalla reggia di Venaria questo sabato, con la consapevolezza di aver fatto ognuno il suo piccolo gesto nella costruzione di una giornata importante, sono li a testimoniarlo. Tanta strada resta da fare ma vogliamo farla insieme, i due manifestanti arrestati devono essere immediatamente rilasciati!
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