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Verso il 15 ottobre: polizia preventiva e opzioni di movimento

Ma già martedi sera veniva impedita un’assemblea pubblica alla Biblioteca Nazionale indetta dagli attivisti del Teatro Valle con i promotori della campagna in difesa delle biblioteche pubbliche dai tagli sulla cultura.

Resoconto e valutazione dell’accaduto con Ilenia, presente all’iniziativa spostatasi in strada:

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A Bologna le cariche sotto la Banca d’Italia non hanno impedito l‘occupazione dell’ufficio pignoramenti e la distruzione di un po’ di quelle maledette cartelle con cui si procede spesso a pignoramenti e persecuzione finanziaria degli indebitati.

Il pomeriggio di ieri ha poi visto l’iniziativa ampiamente annunciata nella capitale che ha visto una buona presenza di gente alla sede nazionale della stessa Banca d’Italia. Di fronte all’enorme dispositivo militare allestito dalle forze dell’ordine, gli occupanti hanno preferito bloccare via Nazionale e allestirvi un’acampada per trascorrervi la notte. Il sit-in è andato avanti bloccando via Nazionale fino all’una circa quando la polizia, su ordine della questura, ha disposto il ripristino della viabilità. Nessuna resistenza violenta da parte dei manifestanti che, affermandosi non violenti come la piazza a New York, si sono lasciati prendere di peso dalle autorità. Una volta liberata la sede stradale hanno spostato le tende sulle scale del Palazzo delle Esposizioni. Qui si sono risvegliati ancora stamattina, in un centinaio circa.

La cronaca di un #dragoribelle ai microfoni diRadio Onda d’Urto:

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Questi primi vagiti di casa nostra mostrano chiaramente come le mobilitazioni contro l’austherity preoccupano non poco i signori di casa nostra. Certo però molta strada dovrà ancora essere fatta per impensierire chi sta in alto se è vero che quanto si sta muovendo in direzione del 15 non arriva a scalfire la casta politica e la cronaca giornalistica, tutt’ora impegnata a raccontarci le gesta parlamentari di un esecutivo in difficoltà e quelle miserrime di un’opposizione aventiniana. Segno forse che politica di movimento e politica di palazzo non hanno più nulla da dirsi. Buon segno, diremmo noi… senonché questa constatazione ci porta dritti dritti ad un’altra: gl’indignados in versione italica non fanno ancora paura! E questo non è certo un bene perché, storia insegna, un sommovimento è tale quando impensierisce chi il potere lo detiene. Per ora, le preoccupazioni restano “tecniche”, affare dei professionisti dell’ordine pubblico e non impensieriscono ancora il livello del “politico” e dell’ “economico”.

Tra le iniziative più interessanti portate a termine ieri, l’occupazione di un’ex ostello che fungerà da base d’appoggio ed ospitalità per quant* giungeranno a Roma prima di sabato: OCCUPATO L’OSTELLO DELLA GIOVENTU’ …VERSO IL 15 OTTOBRE.

Quanto alla scadenza, scelte e divergenze circa lo svolgimento della giornata e la forma che dovrà assumere sono state oggetto di posizioni differenti e publicamente espressesi su diversi siti web.

Per quanto ci riguarda, il problema non si situa solo a livello della maggiore o minore radicalità di conflitto che la piazza saprà o meno esprimere (aspetto questo non di poco conto) ma deve ancor più essere ricercato nelle modalità, negli attori e nei processi di costruzione che hanno portato all’organizzazione della giornata. Un ceto politico vecchio, reduce di un ciclo di lotte passate (e sconfitte), attento agli equilibrismi della politica della rappresentanza, culturalmente, socialmente e anagraficamente distante dalle energie più giovani e dinamiche che hanno iniziato ad affacciarsi nelle lotte di questi ultimi anni.

Una (molto) parziale rassegna di posizioni non-concilianti col comitato organizzatore sono state riportate oggi da un articolo di Roberto Ciccarelli per Il Manifesto:

E gli «indipendenti» si preparano a prendere la capitale

«Non si può distingere chi si accampa da chi fa i riot. Questo è un movimento globale»

A farsi appiccicare addosso un’etichetta, fosse anche quella della Fiom o di «uniti per l’alternativa», non ci stanno. Rivendicano l’autonomia dai sindacati di base e per loro la manifestazione di sabato 15 ottobre è solo un passaggio. Non inizia né finisce nulla, sarà l’episodio di un movimento globale che è stato chiamato a raccolta dagli «indignados» spagnoli a settembre e oggi si riconosce in chi occupa Wall Street. Tengono a definirsi «indipendenti» e ragionano su questi temi: diritto alla bancarotta, lotta contro l’austerità imposta dalla Bce, chiedono il reddito di base, un nuovo welfare e la riappropriazione dei saperi.

Maurizia Russo Spena, precaria della pubblica amministrazione, che si riconosce nel percorso dello «sciopero precario», spiega così la natura di questa rete: «Vogliamo connettere le diverse forme del lavoro: quelle dei tutelati e dei precari, delle donne e degli uomini, dei nativi e dei migranti che rappresentano la condizione generale del nostro tempo».

Gigi Roggero, assegnista di ricerca all’università di Bologna, entra nel merito dibattito sull’«indignazione» che in Italia avrebbe fin’ora raccolto solo una parte della ricchezza di un movimento transnazionale, rischiando di essere schiacciato sull’anti-berlusconismo. «Certo – ammette – far cadere il governo è fondamentale, ma vedo ritornare vecchie opzioni della sinistra legate alla difesa della sovranità nazionale e alla rappresentaza classica dei partiti e dei sindacati. Sabato il corteo sarà molto grosso e non sarà il volere dei singoli gruppi a determinare cosa succede. Non ha senso distinguere chi si accamperà come fanno in Spagna e chi preferirà fare i riot come a Londra. Entrambi questi fenomeni sono l’espressione di una soggettività globale che dovrà trovare nel nostro paese una pratica altrettanto incisiva».

Dello stesso avviso è Loris del centro sociale Bartleby di Bologna secondo il quale il nucleo più attivo di questa soggettività sono i giovani dai 18 ai 25 anni che sono riusciti a contagiare il ceto medio precarizzato. «Si tratta di una composizione sociale trasversale che non può essere ridotta alla rappresentanza politica classica né all’elaborazione di cartelli elettorali – sostiene – Questi movimenti sperimentano una democrazia diretta dove le decisioni delle assemblee generali in piazza vengono comunicate in rete a quelle di quartiere come avviene in Spagna».

Quanto al modo di partecipare al corteo di sabato, Rafael Di Maio, attivista del centro sociale romano Acrobax, sostiene: «Non cadremo nelle trappole che senz’altro sono state già preparate, né ci contrapporremo in maniera frontale alle forze dell’ordine. Questo è un film vecchio che annoia. Invece sorprenderemo tutti. Le nostre pratiche non rientreranno nel percorso da Piazza della Repubblica a San Giovanni stabilito dalle mediazioni nel parlamentino di movimento che sta coordinando l’iniziativa».

Per Gianluca di Info-Aut di Torino, una delle reti che partecipa al movimento No-Tav, la strategia della paura montata in queste ore sui media è «una doppia trappola: serve alla criminalizzazione preventiva dei movimenti e a creare una profezia che si auto-avvera. Vogliono indurci a rispondere in maniera subalterna mentre, invece, i movimenti decidono da soli come rispondere e non lo fanno nei dibattiti sui giornali. Pretendere di arrivare fino ai palazzi che incarnano i poteri della finanza e dell’austerità dovrebbe essere un obiettivo minimo per chi vuole fare di sabato una giornata di lotta globale».

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