Che significa Rivoluzione? Ritorno al gennaio tunisino
Dicembre e gennaio sono storicamente mesi di mobilitazioni in Tunisia. Ricordiamo le proteste del dicembre 1983, nate nel sud del Paese e poi diffusasi nelle regioni del nord e centro-ovest, che si ribellarono all’aumento del prezzo del pane e in poche settimane forzarono Bourguiba1 al ripristino dei prezzi iniziali. E ancora, il gennaio 2008 che vide scendere in piazza per i sei mesi successivi centinaia di disoccupati, dissidenti e diverse categorie lavorative solidali, in protesta alle pratiche di assunzione e sfruttamento lavorativo nell’industria estrattiva nel governatorato di Gafsa.
Furono queste proteste ad essere poi considerate germe del processo rivoluzionario che con l’immolazione di Mohamed Bouazizi dette inizio alle mobilitazioni in Nord-Africa e Medio Oriente contro i regimi al potere. Partite nel dicembre 2010 a Sidi Bouzid, dove Bouazizi viveva, si diffusero presto nelle regioni interne del Paese, facendo leva sull’“hogra” (sentimento di ingiustizia/oppressione) che abusi polizieschi, ghettizzazioni urbane e severe divisioni socio-economiche avevano portato nelle regioni interne e nelle periferie. Il canto di “lavoro, pane, libertà e dignità” coinvolse diversi gruppi solidali (tra cui dissidenti, l’UGET – il principale sindacato, categorie professionali, movimenti studenteschi etc.), arrivando infine alle coste del Paese e alla capitale, nell’Avenue Bourguiba oggi ricordata come luogo simbolo della Rivoluzione.
La caduta di Ben Ali nel gennaio 2011 avvia così il processo di transizione democratica ancora in corso, lasciando intanto emergere una serie di narrazioni sul momento rivoluzionario. Cosa è successo? Cosa ha significato? Chi ha fatto cosa? Tunisi viene invasa da ricercatrici/ricercatori, giornaliste/i, esperte/i; si assiste al ritorno di una parte della diaspora; la dissidenza, fino ad ora clandestina, non riesce a chiedersi come si fa politica a voce alta e in modo inclusivo; i poteri attorno al regime stentano ad andarsene. Gli anni successivi al 2011 sono in fermento, una piccola parte si mette alla ricerca di come occupare lo spazio, di che ruolo avere, di come provare a costruirsi diversamente; la maggioranza sembra replicare i vecchi schemi politici e socio-economici2. Tuttɘ reclamano una propria legittimità sul processo rivoluzionario e si assiste progressivamente ad una capitalizzazione – a cui spesso la militanza più giovane fa riferimento – per indicare la lenta appropriazione dei significati rivoluzionari da parte di vari apparati. Il canto di “lavoro, pane, libertà e dignità” viene soffocato nei significati di “democrazia”, che diventa multi-partitismo e libertà di parola, ma solo per chi ha il privilegio di prenderla.
Gli abitanti delle periferie urbane e delle regioni interne che avevano dato il via alle rivolte vengono esclusi dallo spazio dall’Avenue Bourguiba: basti pensare all’aumento di check-points, abusi e perquisizioni ai confini delle periferie e all’ingresso dell’Avenue stessa. Anche la celebrazione dell’anniversario della Rivoluzione – quest’anno vietata da un coprifuoco di quattro giorni – lentamente inizia a perdere il suo valore simbolico rivoluzionario e l’Avenue Bourguiba ritorna ad essere inaccessibile a molti, lasciando il suo spazio alle celebrazioni dei nuovi partiti e all’esaltazione della democrazia. Questa progressiva appropriazione rivoluzionaria può aiutarci a leggere il gennaio delle mobilitazioni tunisine, che annualmente tornano nello spazio pubblico e sono adesso accentuate dalla crisi sanitaria in corso, se si pensa, in particolare, all’ampia informalità su cui si regge l’economia tunisina – e che ha adesso lasciato la maggior parte della popolazione senza compensazioni monetarie e possibilità di sostentamento – e all’isolamento socio-spaziale delle periferie urbane e delle regioni interne del Paese.
Quest’anno l’escalation di mobilitazioni – già iniziate con la pandemia e l’imposizione di sempre nuove restrizioni – ha avuto inizio il 14 gennaio, quando nel governatorato di Siliana, regione montagnosa nel nord-ovest della Tunisia, un pastore è stato picchiato da un agente dopo che il suo pascolo era passato davanti alla municipalità. Il video di quanto accaduto si è diffuso rapidamente, facendo scendere in strada ragazzi molto giovani nel governatorato di Siliana e in diverse regioni dell’interno, storicamente le più povere del Paese rispetto a quelle costiere. L’esercito ha violentemente represso le proteste, con gas lacrimogeni, pestaggi e l’arresto di circa mille ragazzi tra i 15 e 20 anni, che rimangono ancora in fermo. Intanto, i media e le autorità sono rimasti in silenzio rispetto a questi eventi, relegandoli ad atti vandalici e non compatibili con lo stato democratico. In seguito agli arresti, anche Avenue Bourguiba è tornata a essere occupata dalle voci della giovane militanza e dalla periferia della capitale, portando di nuovo ad una risposta violenta da parte di polizia ed esercito. Le modalità di azione, gli slogan utilizzati, la risposta delle autorità hanno infatti richiamato il 2011 rivoluzionario nella memoria dello spazio pubblico, pretendendo la legittimità dei significati che ne sono rimasti fuori. Pur non nascendo all’interno di matrici ideologiche rivoluzionarie preesistenti, le proteste di questi giorni reclamano il riconoscimento all’esistenza nelle periferie, la dignità al lavoro, l’attraversamento di spazi liberi dall’abuso quotidiano della polizia. E anche se ampiamente delegittimate dalle autorità, sono queste rivendicazioni che dieci anni fa hanno aperto un processo di liberazione per tutta la Tunisia.
1 Primo Presidente della Tunisia dopo l’indipendenza. Fu in carica dal 1957 al 1987 e destituito dal colpo di stato di Ben Ali.
2 Le nuove riforme economiche, con la complicità di FMI ed EU, hanno fatto leva su esportazioni ed investimenti esteri, non producendo un modello di redistribuzione all’interno del Paese. La politica ha visto la presa di potere da parte di Ennahda prima – partito di matrice islamista – e Nidaa Tounes dopo, spesso con la complicità e il “riciclo” di vecchi esponenti del regime. La proliferazione dei partiti di sinistra e le lotte interne a questi li ha lasciati ampiamente fuori dalla sfera politica. Intanto, la giustizia per i martiri della rivoluzione e per gli oppositori politici al regime rimane incompleta.
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