InfoAut
Immagine di copertina per il post

E’ solo l’inizio

1991, prima guerra del Golfo; 1999, guerra contro la Serbia per il Kossovo; 2001, guerra contro l’Afghanistan; 2003, seconda guerra del Golfo; 2011,guerra di Libia. Una sequenza lineare. Con partecipazione a volte diretta a volte obliqua dell’Onu, sempre più succube, e con la Nato sempre più calata nel suo ruolo di agenzia militare delle Nazioni unite.

Fuori Saddam, fuori Milosevic, fuori i taleban (fuori?) e adesso fuori Gheddafi (comunque finisca). Anche per il Colonnello vale l’immortale risposta data da Tony Blair a chi gli rinfacciava la dubbia o nulla legalità dell’attacco militare contro Saddam e le sue «armi di distruzione di massa»: il mondo va meglio senza di lui.

Nessuna lacrima per Gheddafi. Uno in meno. La partita è finita come doveva finire e come era scritto fin da quando nella notte successiva al voto della risoluzione 1973 nel Consiglio di sicurezza, il 17 marzo, i caccia francesi si assunsero per primi (c’era il famoso freedom-fighter Bernard-Henri Levy a garantire) il compito di «difendere i civili» sotto attacco a Bengasi e Misurata andando a bombardare la caserma del Colonnello a Tripoli nella speranza di farlo fuori al primo colpo. Era solo questione di tempo. Non poteva che finire così anche se gli insorti da soli non ce l’avrebbero mai fatta a scalzare l’uomo che era ormai diventato la triste parodia di se stesso e del suo passato non tutto disprezzabile. La «guerra di liberazione» non l’hanno vinta loro ma le migliaia di raid aerei, le migliaia di missili e di bombe che i caccia della Nato (con il valido contributo italiano enfatizzato dai La Russa e dai Frattini ma anche dal presidente Napolitano) hanno sganciato sulla Libia per 5 mesi, con il solito interrogativo, senza importanza nei bollettini di vittoria, dei «tragici errori» e degli «effetti collaterali» sui civili: il prezzo da pagare per il trionfo della libertà e della democrazia contro la tirannide.

La Nato, che a rigore dopo la scomparsa del nemico storico, il Patto di Varsavia, non avrebbe neanche più ragione di esistere, ci ha messo 5 mesi per vincere una guerra contro un nemico che sulla carta non esisteva, il popolo tutto contro il tiranno, le sue forze militari subito annientate, solo qualche milizia personale e qualche banda di «mercenari» nero-africani. La Nato ha vinto ma ha dato un segnale di debolezza clamoroso. Oltre che oscenamente costoso – 700 milioni solo per l’Italia – nel mezzo della devastante crisi economica globale (è demagogia ricordarlo o sarà forse che guerra e industria bellica sono rimaste le uniche voci dell’economia che «tirano» e l’unica cifra della «giustizia» internazionale?).

Ha vinto ma il bello comincia adesso. O il brutto. Perché ora i vincitori dovranno uscire allo scoperto, non facendosi più scudo delle bombe della Nato. Chi sono? Che sarà la nuova Libia che inalbera la bandiera della putrida monarchia di re Idriss (sarà anche un caso, ma i simboli sono importanti)? Esagerato realismo quello dell’editoriale di ieri del Corriere della sera (il Corriere non il manifesto) in cui si legge che «nella migliore delle ipotesi il paese sarà governato da una coalizione di opportunisti post-gheddafiani, lungamente complici di colui che ha dominato la Libia per 42 anni»? Si vedrà.

Quello che angoscia l’Occidente e le petro-monarchie del Golfo, in queste ore di una vittoria che potrebbe rivelarsi «catastrofica», non è solo il fantasma enunciato di al Qaeda e degli islamisti che forse si nascondono dietro il giacca e cravatta dei volti in tv del Cnt. Peggio, è il fantasma della (fu) Somalia e anche, ugualmente inquietante, quello dell’Iraq del post-Saddam e dell’Afghanistan post-taleban (post?), in un’area depositaria del 60% del petrolio mondiali e immersa in un incontenbile ebolizione dagli esiti quanto mai confusi.

Ha vinto il Napoleoncino in sedicisimo Sarkozy? Ha vinto il pallido Cameron colpito dalla sindrome della perdita (dell’Impero)? Hanno vinto le petro-monarchie del Golfo? Tempo al tempo. Di certo non ha vinto l’Italia dei Frattini, il più mellifluo ministro degli esteri nella storia della repubblica, e dei La Russa, il vecchio balilla sempre sulla breccia (e neanche di Napolitano, dimentico dell’articolo 11 della costituzione). Il rimbalzo della Borsa di Milano (Eni, Enel, Unicredit…), forse è solo un fuoco di paglia. L’unico visibile risultato della nuova guerra d’Italia alla Libia (1911-2011, un secolo dopo), per ora, è la conferma da parte degli insorti che il criminale trattato di controllo-respingimento degli immigrati sarà rispettato alla lettera come ai tempi di Gheddafi. Sarkozy e Cameron e, più defilati, gli Usa di Obama e dell’ambasciatore all’Onu Susan Rice, «the wonderful four» i cui volti campeggiavano ieri in una infiammata piazza di Bengasi, ora si presenteranno all’incasso (in palio 1.6 milioni di barili al giorno). Ma il futuro della Libia è un’incognita assoluta.

Per ora si possono dire solo due cose. La prima, la «primavera araba» finisce in Libia, almeno per ora. Le petro-monarchie del Golfo (con in testa la troppo mitizzata al-Jazeera) e la madre di tutte le satrapie, l’Arabia saudita, ben più di Gheddafi e del siriano Assad, hanno avuto successo nel fermare la spinta democratica partita da Tunisia ed Egitto: hanno schiacciato nel sangue le «loro» primavere e sono riuscite a farsi coprire, nella lotta «per la democrazia», dall’Occidente a cui in fin dei conti devono la loro nascita e sopravvivenza miliardaria. La seconda, la vittoria degli insorti e la «liberazione» di Tripoli puzzano fin troppo di quell’altra impresa di liberazione che fu l’avventura neo-coloniale di Francia e Inghilterra nel ’56 contro l’Egitto di Nasser che aveva nazionalizzare il canale. Gli anni passano, i tempi cambiano ma non cambia il vizietto dell’Occidente, anche se con le pezze al culo.

Da Il Manifesto

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

cntgheddafiguerraLibianato

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ha vinto Kast e il Cile si aggiunge all’ondata di ultradestra

È il primo pinochetista a giungere a La Moneda in democrazia.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’economia genocida di Israele è sull’orlo del baratro?

L’economista Shir Hever spiega come la mobilitazione per la guerra di Gaza abbia alimentato un’”economia zombie” che sembra funzionare ma non ha prospettive future.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Nasce “HUB”, un bollettino sulla militarizzazione e le resistenze dei territori

Dal lavoro congiunto di mobilitazione, organizzazione e inchiesta degli ultimi mesi che ha coinvolto diverse realtà e lavoratorə di Pisa, Firenze, Livorno, La Spezia e Carrara nasce il primo numero di “HUB”

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ci stanno preparando alla guerra. E lo fanno contro di noi

Se militarizzano la società e ci chiamano nemici, la risposta è una sola: disertare la loro guerra, sottrarsi alla paura, spezzare il linguaggio che la legittima, difendere lo spazio vivo del dissenso.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Venezuela: gli Stati Uniti rivendicano un atto di pirateria nei Caraibi

“Bene, lo teniamo, suppongo”, ha affermato Donald Trump dopo essere stato consultato dai giornalisti sull’uso del greggio della petroliera sequestrata di fronte alle coste del Venezuela.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La Regione Sardegna apre all’ampliamento della fabbrica di bombe RWM

La fabbrica RWM da anni attiva in Sardegna in una porzione di territorio, il Sulcis, di proprietà della tedesca Rheinmetall, vedrà molto probabilmente il via libera per il suo ampliamento.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il fumo di Gaza oscura le fiamme della Cisgiordania: il Progetto Coloniale reso permanente

Mentre gli occhi internazionali sono puntati su Gaza, Tel Aviv sta portando avanti la sua più aggressiva campagna di Pulizia Etnica e furto di terre nella Cisgiordania Occupata dal 1948.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ucraina, prof Carpi: “Gli accordi veri saranno saranno sugli interessi riguardanti la futura ricostruzione”

“Ho poca fiducia che l’Europa possa effettivamente svolgere un ruolo di mediazione; gli europei stanno procedendo in ordine abbastanza sparso.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Contro la falsa “pace” – Manifestazione regionale piemontese

In Palestina la Pace di Trump non è mai esistita, sono state oltre 400 le violazioni della tregua compiute da Israele

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Nuova strategia Usa e chi non vuol capire

A proposito della nuova strategia degli Stati Uniti e le reazioni che ha suscitato

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Bulgaria: cade il governo dopo le proteste. Quali scenari?

Giovedì il primo ministro della Bulgaria Rosen Zhelyazkov ha annunciato le sue dimissioni.

Immagine di copertina per il post
Culture

Emilio Quadrelli, un comunista eretico contro la guerra

Non vi può essere alcun dubbio che tutto il percorso intellettuale e politico di Emilio Quadrelli, scomparso nel 2024, si situi interamente nella scia dell’eresia.

Immagine di copertina per il post
Culture

Le guerre del Nord e il futuro degli equilibri geopolitici ed economici mondiali

A ben guardare, però, lo scontro apertosi ormai da anni, per il controllo delle rotte artiche e delle materie prime custodite dal mare di ghiaccio che corrisponde al nome di Artico ricorda per più di un motivo la saga della corsa all’oro del Grande Nord che l’autore americano narrò oppure utilizzò come sfondo in molti dei suoi romanzi e racconti.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

I tatuaggi di Pete Hegseth, l’America Latina e la guerra che viene

Mentre scriviamo queste righe il Presidente degli Stati Uniti dichiara unilateralmente chiuso lo spazio aereo sopra il Venezuela.