I bluff fangosi di Obama
Uno dei primi dati dello speech obamiano è che l’approccio di non trattare con i talebani è clamorosamente fallito ed ora la necessità di parlare con i capi dei gruppi tribali afghani è ammessa platealmente. Questo ritiro non si spiega infatti se non con la volontà di dare un segnale di dialogo a quelli che erano i nemici giurati USA e con i quali ora si prova a realizzare una difficile exit strategy. Altrimenti non si capirebbe perchè i 30000 uomini del surge obamiano di quasi due anni fa se ne vadano ora in una situazione rimasta pressochè invariata.
Il ritiro delle truppe Usa era una delle condizioni che alcuni capi talebani avevan posto per iniziare dei dialoghi con gli americani: capi, questi, probabilmente neanche troppo influenti e comunque radicati soprattutto nel nord del paese dove il conflitto è meno aspro. Non per niente uno dei leader talebani, Zibihullah Mujahid, non ha aspettato nel mostrare la debolezza dell’annuncio obamiano rispondendo subito che la Jihad continuerà sino all’ultimo invasore rimasto.
L’allargamento del pantano afghano al Pakistan, già elemento presente da anni è un altro punto irrisolto della strategia americana. La contraddittoria azione riguardante l’assassinio di Bin Laden ha sì permesso di poter giustificare mediaticamente un ritiro di forze dall’Afghanistan, ma ha anche acuito l’ostilità nei propri confronti da parte dei cittadini pakistani, nei confronti dei quali continuano i raid a colpi di droni nelle zone tribali di confine dove trova rifugio la maggior parte dei jihadisti.
Perfino sul NYTimes si parla apertamente di una strategia Usa di utilizzare ora l’Afghanistan come base di contrasto per i sempre maggiori pericoli che vanno formandosi nell’instabile paese vicino. Un ribaltamento strategico importante, però non certo dettato dall’iniziativa a stelle e strisce, e che si inserisce anche in giochi più grandi che riguardano l’avvicinamento del subcontinente indiano alla dimensione della Nato orientale, la cosiddetta Sco.
L’enfasi sulla dimensione di AlQaeda del resto è un’ulteriore prova del tentativo di giocarsi tutto in chiave sensazionalistica. Non è l’uccisione del leader saudita che ha fatto sprofondare AlQaeda, come detto da Obama nel suo discorso, ma la primavera araba che ne aveva dimostrato l’inconsistenza e lo scarsissimo radicamento sul territorio mediorientale,arabo e musulmano. Eppure il presidente Usa ha ben pochi punti di appoggio per giustificare la situazione difficile della guerra iniziata nel 2001, e la propaganda interna contro il nemico giurato simbolo del male è sicuramente il risultato più spendibile della sua gestione del conflitto afghano..
Intanto però la guerra non si ferma e se Obama annuncia ritiri, la presenza in Afghanistan non si esaurirà sicuramente prima del 2014. Mentre i combattimenti non si fermano e l’immagine statunitense perde sempre più colpi a causa di rivelazioni come quella sui finti dati sugli arresti di talebani combattenti data qualche settimana fa dal comandante Petraeus..
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