La detenzione nelle carceri israeliane di Khaled El Qaisi
È finalmente tornato a Roma Khaled El Qaisi dopo un calvario di oltre tre mesi. Il ricercatore italo palestinese è stato arrestato lo scorso 31 agosto dalle autorità israeliane tra Cisgiordania occupata e Giordania al valico Allenby, senza alcuna formale accusa.
Ha subito un mese di detenzione in Israele nel carcere di massima sicurezza di Petah Tikwa, il più delle volte in isolamento e senza poter parlare con il suo legale. Il 1° ottobre, in occasione della quinta udienza, il tribunale di Rishon le Tzion ha deciso la scarcerazione, ma gli è stato impedito l’espatrio, con il conseguente ritiro del passaporto perché le indagini non erano ancora chiuse.
La detenzione di Khaled ha avuto un regime detentivo tipico, riservato a prigionieri palestinesi dalle autorità israeliane, con continue pressioni fisiche, psicologiche, alimentari, tali da minare la condizione psicofisica del carcerato e di portarlo ad una eventuale confessione di qualsiasi tipo, anche falsa, tale da poter avvallare eventuali condanne in seguito. Condizioni detentive e legali che non sono una novità per chi finisce nelle prigioni Israeliane, ma che dà un’ulteriore segno di come Israele quotidianamente tratta i prigionieri palestinesi. Anche questo è uno dei tanti elementi che costruisce la politica di occupazione da parte di Israele verso la Palestina e il suo tentativo di cancellazione delle identità palestinesi.
Una detenzione che ha creato imbarazzo per il governo Italiano, impegnato soprattutto dopo il 7 Ottobre a sostenere il governo di Israele, ma dall’altro lato in difficoltà di fronte alle condizioni detentive riservate a Khaled.
Di tutto ciò ne parliamo con Flavio Rossi Albertini, legale della famiglia di Khaled. Ascolta la diretta ai microfoni di Radio Blackout:
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