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La liberazione inizia ora: i palestinesi devono proteggere la resistenza collettiva

I palestinesi sono chiamati a sfruttare questo momento topico. È giunto il tempo, per loro, di mettersi alla guida del processo di liberazione.

di Ramzy Baroud, da Palestine Chronicle

Poco dopo l’inizio della tregua di quattro giorni sulla Striscia di Gaza, i primi ministri di Spagna e Belgio, Pedro Sanchez e Alexander De Croo, sono apparsi in una conferenza stampa congiunta presso il valico di Rafah.

Sanchez ha definito quanto sta accadendo come “un disastro”, mentre De Croo ha chiesto una “fine permanente delle ostilità” e dell’uccisione di bambini. Di particolare rilevanza è la dichiarazione di entrambi i leader europei riguardo l’intenzione di riconoscere lo Stato di Palestina, indipendentemente dalla posizione dell’Unione Europea.

Alcuni paesi in Europa, seguendo l’esempio dell’Irlanda, sembrano rendersi conto del fatto che l’occupazione israeliana è la causa principale delle recenti “ostilità su Gaza”.

Israele ha mostrato un’evidente irritazione riguardo questo sviluppo nelle posizioni europee. Secondo quanto riferito, ha immediatamente convocato gli ambasciatori dei due Paesi, per un monito ufficiale. Questa risposta eccessiva dimostra che Israele non è disposto a concedere all’Europa un minimo margine di condanna riguardo l’uccisione di bambini, né proposte di soluzione pacifica basate sulla sovranità palestinese.

Le dichiarazioni di Spagna e Belgio, che propongono di riconoscere la Palestina anche senza il consenso dell’Unione Europea, sono indicative di una divisione profonda nella politica estera. Risulta evidente che non tutti i governi europei abbiano la stessa tolleranza nei confronti del genocidio in atto a Gaza come, ad esempio, Germania e Gran Bretagna.

È interessante notare che anche altri funzionari dell’Unione Europea chiedano il riconoscimento dello stato palestinese, sebbene la loro intenzione non sia né quella di garantire la libertà dei palestinesi, né quella di salvaguardare i loro diritti.

L’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri, Josep Borrell, ad esempio, ha affermato la scorsa settimana che “la migliore garanzia per la sicurezza di Israele è la creazione di uno stato palestinese”. Anche David Cameron, ex Primo Ministro britannico e ora Ministro degli Esteri, ha utilizzato una logica simile. Israele non avrà sicurezza se non garantirà “protezione e stabilità a lungo termine” per il popolo palestinese, ha affermato Cameron.

A prescindere dal ragionamento che si cela dietro la crescente enfasi su una “soluzione” e sui diritti per i palestinesi, questo linguaggio era del tutto assente dal dibattito politico occidentale prima del 7 ottobre.

Questo dimostra che i palestinesi sono riusciti, attraverso la resistenza e la loro fermezza, a riportare la Palestina nell’agenda globale. Ma come sono riusciti a farlo, considerata la totale marginalizzazione della loro causa prima di quest’ultimo attacco?

Anzitutto, l’aspetto principale che differenzia questo attacco dai precedenti (in particolare quelli che hanno preceduto la cosiddetta Intifada dell’Unità nel maggio 2021) è il fatto che i palestinesi abbiano parlato all’unisono. Senza neppure coordinarsi, hanno diffuso perfettamente il messaggio. Tutti i palestinesi, indipendentemente dal loro retaggio ideologico, hanno posto l’attenzione sulle atrocità israeliane, senza cadere nella trappola del gioco di colpe tra fazioni.

Persino i bambini di Gaza, che hanno perso amici e membri delle loro famiglie, si sono mostrati davanti alle telecamere affermando con grande coraggio che non si arrenderanno mai, e che nulla li allontanerà dalla loro terra natale. Giovani e anziani, anche dai letti d’ospedale, hanno ribadito gli stessi concetti con fermezza.Questo ha portato Israele a fare tutto quel che è in suo potere per isolare i 2,3 milioni di gazawi dal resto del mondo, chiudendo Internet, l’elettricità e ogni forma di comunicazione, anche tra gli stessi palestinesi.

Eppure, in qualche modo, il messaggio palestinese chiaro e unito è continuato, amplificato esponenzialmente da un esercito di attivisti dei social media, i quali hanno contribuito in modo impressionante a bilanciare i pregiudizi dei media convenzionali e che hanno sopraffatto il controllo dei principali media sulla narrativa di guerra.

I palestinesi hanno fatto questo, e molto altro, senza potenti gruppi di stampa, consulenti per i social media, senza una poderosa macchina di propaganda, come quella di Israele che ha tentato, inutilmente, di influenzare l’opinione pubblica a suo favore.

Secondariamente, la Palestina frammentata in diverse fazioni sembra essere improvvisamente scomparsa. Per anni, le narrazioni delle fazioni che dividevano il popolo palestinese in gruppi con interessi contrastanti, hanno ostacolato il tentativo di unirsi dietro un’unica dirigenza capace di trasmettere, rappresentare e difendere le aspirazioni politiche palestinesi.

I colloqui e gli accordi tra Fatah e Hamas sono falliti, lasciando solo l’alternativa di esplorare diverse manifestazioni di unità, che vadano oltre gli interessi dei politici.

Questa unità è ora manifesta, e sta costringendo tutti, compresi gli affiliati all’ Autorità Palestinese, ad aderire alla linea del popolo. Mentre gli abitanti di Gaza lottano per liberare i prigionieri in Cisgiordania, i cittadini della Cisgiordania si sollevano in difesa di Gaza.

Questa unità popolare deve continuare, in modo da essere sfruttata sotto forma di unità politica capace di riunire tutti i gruppi palestinesi sotto un’unica guida. Questo è l’unico modo per garantire che gli enormi sacrifici palestinesi, e il prezioso sangue versato a Gaza, possano tradursi infine nella libertà a cui tutti i palestinesi aspirano.

Infine, anche l’unità oltre la Palestina si è rivelata fondamentale. Arabi e musulmani sono stati il fulcro della solidarietà nei confronti di Gaza durante l’attacco israeliano. Hanno protestato, boicottato, combattuto e mobilitato. Inoltre, decine di milioni di persone, oltre i confini del mondo arabo e musulmano, hanno marciato a favore dei diritti e delle legittime richieste dei palestinesi.

Discussioni completamente nuove sulla Palestina stanno ora, infatti, occupando le sfere pubbliche di tutto il mondo. Il sud del mondo abbraccia ancora una volta la lotta per la Palestina, mentre il nord del mondo sfida i governi, le grandi aziende e i media a giustificare, sostenere e finanziare il Genocidio israeliano.

Il popolo palestinese ora dovrà guidare e dirigere questo slancio di solidarietà, affinché serva ai suoi giusti obiettivi; quelli di uguaglianza, giustizia e libertà, tutti sanciti dal diritto internazionale.

Nessuno spazio pubblico dovrà essere lasciato vuoto, nessuna voce dovrà restare inascoltata o ignorata e nulla dovrà rimanere intentato nella ricerca della critica di massa necessaria per condannare Israele come responsabile dei propri crimini.

I leader e i funzionari occidentali ora parlano apertamente, hanno compreso che la causa palestinese è diventata globale, e che il prolungamento dell’occupazione e dell’Apartheid israeliani non porteranno conseguenze positive né a Tel Aviv, né in occidente.

I palestinesi sono chiamati a sfruttare questo momento topico. È giunto il tempo, per loro, di mettersi alla guida del processo della propria liberazione. Di fatto, a Gaza, Jenin e altrove, questo processo è già cominciato.

(Leggi l’originale inglese qui)

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