La quotidiana guerra di Ankara contro i kurdi
Strage di civili. 35 i morti nel bombardamento turco su un villaggio kurdo. L’ennesima azione di guerra di Ankara che nel frattempo cerca di accreditarsi come paladina dei diritti umani in Palestina e Siria.
Sono 35 le persone uccise in un raid aereo compiuto ieri in tarda serata dall’Aviazione turca nelle regioni kurde del sudest del paese, al confine con le regioni kurde dell’Iraq.
Lo ha ammesso – ma solo oggi pomeriggio – un importante esponente del partito di governo turco Akp, dopo che per tutto il giorno testimonianze dirette riprese da varie agenzie di stampa e media locali erano rimbalzate tra i network internazionali denunciando un massacro di cui ancora non si conoscevano i dettagli.
Questa mattina un funzionario del Partito per la Pace e la democrazia (Bdp), che rappresenta i kurdi di Turchia, aveva già denunciato che il bombardamento ha preso di mira la zona di Ortasu (in lingua kurda Uludere) nella provincia di Sirnak. Secondo una fonte locale vicina al Bdp citata dall’emittente Roj Tv, le vittime – tutte di età compresa tra i 16 e i 20 anni – facevano parte di un gruppo di una quarantina di persone che avevano oltrepassato la frontiera per realizzare “attività di contrabbando”, trasportando carburante tramite una carovana di muli. Le vittime del raid sarebbero state erroneamente identificate come un gruppo di combattenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) contro il quale l’esercito turco sta portando avanti incessanti e sanguinosi attacchi. Secondo l’agenzia di stampa Dogan, ieri sera i droni e le telecamere a calore piazzate sulla frontiera avevano individuato un grosso gruppo di persone sul lato iracheno del confine. Intorno alle 23 i cacciabombardieri turchi sarebbero decollati diretti verso il confine e avrebbero realizzato il bombardamento sul convoglio, massacrandone i componenti.
Già a fine mattinata l’agenzia di stampa curda Firat aveva chiarito che le vittime del bombardamento sono 35 giovani abitanti del villaggio di Uludere e tra i morti vi sono diversi minorenni. Il sindaco di Uludere, Fehmi Yaman, aveva detto «abbiamo 30 cadaveri, tutti sono bruciati. Lo stato sapeva che queste persone contrabbandavano nella regione». Huseyin Celik, vicepresidente del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, ammettendo tardivamente la strage di civili da parte dell’aviazione di Ankara e parlando di un “errore”, ha fornito ulteriori elementi: alcune delle vittime sono state colpite mentre contrabbandavano sigarette, scambiate per guerriglieri del PKK. Paradossalmente tra i morti ci sono anche alcuni elementi della Guardia Rurale, una milizia kurda filogovernativa e collaborazionista con gli occupanti turchi.
Nel pomeriggio di oggi in numerose città del Kurdistan del Nord si sono registrate manifestazioni di protesta contro l’ennesimo eccidio, così come ad Istanbul, dove un centinaio di giovani hanno bloccato per alcuni minuti una importante arteria, finchè la Polizia in assetto antisommossa non li ha sgomberati e dispersi anche con l’uso di idranti e gas lacrimogeni.
Un errore all’interno della guerra senza quartiere di Ankara contro il ‘separatismo kurdo’ quindi. Un po’ come quando la Nato per colpire i talebani in Afghanistan fa strage tra gli abitanti dei villaggi.
Il Pkk, considerato dalla Turchia e da praticamente tutti i paesi occidentali come un’organizzazione terroristica, dal 1984 combatte per difendere i diritti dei kurdi contro la repressione turca. Ad ottobre un attacco di una colonna del PKK all’esercito turco in territorio kurdo è costato la vita a 24 soldati di Ankara. Per la diplomazia turca e naturalmente per i media occidentali la colpa della recrudescenza degli attacchi dell’esercito turco è proprio dell’attacco di ottobre: ma a leggere bene la cronologia degli eventi è evidente che i militari di Ankara non hanno mai interrotto i propri attacchi e i propri bombardamenti sia nel Kurdistan turco che in quello iraqeno, anche quando la guerriglia del Pkk aveva dichiarato lunghi periodi di tregua.
Nonostante le formali aperture sul fronte linguistico e culturale, realizzate dal governo di Erdogan all’interno del processo di avvicinamento della Turchia agli standard legislativi europei in vista di un’adesione all’UE che sembra comunque assai lontana, le popolazioni kurde continuano ad essere oggetto di una pesantissima discriminazione. Una apartheid che, al di là del conflitto politico e militare con il Pkk e le altre formazioni che rappresentano i diritti del popolo kurdo, è stata chiaramente evidenziata quando la città di Van, nell’est del paese, fu colpita da un potentissimo terremoto lo scorso 23 ottobre. L’arrivo tardivo dei soccorsi, la militarizzazione del territorio, la discriminazione negli aiuti tra abitanti kurdi e minoranza turca hanno evidenziato una discriminazione nei confronti dell’etnia che abita l’est della Turchia che va al di là delle motivazioni politiche e che appare connaturato all’identità statuale di Ankara.
D’altronde in questi mesi la repressione non colpisce soltanto i guerriglieri del Pkk o i militanti e i dirigenti delle formazioni politiche filokurde periodicamente sciolte e messe fuori legge.
Nelle scorse settimane alcuni blog hanno dato notizia di una vasta campagna di arresti nei confronti di giornalisti e attivisti sociali, per lo più kurdi ma non solo. Nell’arco di 48 ore, a metà dicembre, sono stati ben 46 gli operatori dell’informazione arrestati in tuttala Turchia. Afinire sotto il tallone dei servizi di sicurezza di Ankara sono state le redazioni di giornali kurdi e di sinistra come Ozgur Gundem e Bir Gun, agenzie di stampa kurde e di sinistra come DIHA e ETHA, la rivista Modernità Democratica, la tipografia Gun ed altri ancora. Le perquisizioni e gli arresti sono stati effettuati nell’ambito della cosiddetta operazione controla KCK(Unione delle Comunità kurde), che le autorità turche ritengono essere una rete di sostegno nelle città alle attività del PKK. Contro gli arresti e le perquisizioni – a cui si sommano i sequestri di computer, rotative e altre attrezzature che hanno reso impossibile la pubblicazione dei quotidiani all’indomani – i dipendenti dei media colpiti hanno risposto con manifestazioni e scioperi, a cui si sono sommati anche i lavoratori del pubblico impiego delle regioni kurde. Da parte loro alcuni dei giornalisti arrestati sono entrati in sciopero della fame.
Mentre decine di sindaci delle città kurde finivano sotto processo per ‘sostegno alle attività terroristiche del PKK’, centinaia di studenti e studentesse finivano in galera con le accuse più assurde e fantasiose, colpevoli di essere kurdi o semplicemente di sinistra .
Una repressione feroce, scientifica ma invisibile sui nostri media e che può instillare la sensazione nell’opinione pubblica progressista che quando Ankara attacca Israele per la discriminazione contro i palestinesi o intima al regime siriano il rispetto dei diritti umani del suo popolo lo faccia sinceramente. Ma l’immagine di Ankara come paladina dei diritti dei popoli del medio oriente è una pura costruzione politica e mediatica che solo l’ignoranza o la colpevole complicità di media e diplomazie occidentali può sostenere.
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