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La strada della discordia, scontri tra organizzazioni indigene e polizia

Non trova soluzione il conflitto che, in Bolivia, oppone diverse organizzazioni indigene al governo di Evo Morales. Organizzazioni come la Confederazione degli Indigeni dell’Oriente boliviano (Cidob), oppure il Consiglio nazionale di Markas del Qollasuyo (Conamaq), i cui esponenti sono aymara come Morales, e lo hanno sostenuto durante la sua elezione del 2005.

Nella zona di Santa Cruz e di el Chaco, la polizia è intervenuta per disperdere un blocco stradale degli indigeni guaraní, e il bilancio è di tre feriti (due indigeni e un poliziotto) e un arresto. I manifestanti stavano esprimendo il proprio sostegno ai dirigenti della Confederazione degli indigeni dell’Oriente boliviano (Cidob). La Cidob è fra le principali organizzatrici della marcia di protesta (da Trinidad alla capitale La Paz) contro la costruzione di una strada che, collegando Villa Tinari-San Ignacio di Moxos, passerebbe dal parco Tipnis. Nella zona di Yucumo si sono fronteggiate due diverse manifestazioni: circa 1.600 indigeni, contro altri manifestanti (circa 2000), in appoggio al governo.

La costruzione dell’autostrada, stando al progetto, dovrebbe passare dal Territorio indigeno e parco nazionale Isiboro Secure (Tipnis). Una grande arteria stradale di circa 300 km che attraverserà la foresta amazzonica e che s’inserisce nell’idea di un «corridoio bioceanico»: un’importante via di comunicazione commerciale che, per il 2014, dovrebbe portare le materie prime al confine con il Brasile (che ha investito 332 milioni di dollari sui complessivi 415 milioni previsti) e collegare così il traffico commerciale dal Pacifico all’Atlantico.

Il parco naturale – un’importante riserva di 12.000 km quadrati- è stato creato nel 1965, ed è riconosciuto come «territorio indigeno» dal ’90. Si trova tra la regione di Cochabamba (nella parte centrale del paese) e il Beni (nel nord-est) e vi abitano circa 53 comunità per un totale di circa 7.000 persone.

Dopo essere rimasti bloccati per circa un anno a causa dell’opposizione dei nativi, i lavori per la costruzione della strada sono iniziati nel mese di giugno, suscitando subito altre proteste. Ad agosto, circa 500 indigeni hanno organizzato una prima marcia di protesta, subito seguita da un’altra di 600 km verso la capitale La Paz.

Il governo ha più volte aperto la porta al dialogo, precisando però che non ritiene possibile bloccare il progetto, considerando l’importanza per la Bolivia delle esportazioni di gas naturale verso il Brasile e l’Argentina che, nel primo semestre del 2011, hanno raggiunto i 1.651 milioni di dollari.

Morales ha accusato i diplomatici Usa di stanza nel paese, certe Ong, e le grandi imprese del legname di corrompere alcuni dirigenti indigeni per fomentare le tensioni sociali. In un recente incontro fra le rappresentanze indigene – che chiedono la sospensione del progetto – e il governo, sembrava che si fosse raggiunto un accordo sui punti principali. La viceministro dell’ambiente, Cynthia Silva, martedì ha proposto una sospensione del progetto da sei mesi a un anno: il tempo per procedere a un nuovo studio condiviso sull’impatto ambientale, ma le proteste sono riprese. In assenza del presidente Morales, a New York per l’assemblea generale dell’Onu, il vicepresidente Alvaro Garcia Linera ha invitato al dialogo per evitare «scontri fratricidi». Sul conflitto ha preso posizione anche la chiesa cattolica e la rappresentante delle Nazioni unite in Bolivia. Quest’ultima ha invitato lo stato «a garantire il diritto a manifestare in modo pacifico».

di Geraldina Colotti, per Il Manifesto

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