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La Turchia sempre pronta all’attacco

di Luca Bellusci per Osservatorio Iraq

L’11 ottobre scorso il Bdp (partito filo-curdo) ha presentato, durante una discussione parlamentare, la richiesta di arresti domiciliari per Abdullah Ocalan, leader storico del movimento curdo Pkk, detenuto dal 1999 sull’isola di Imrali, dove sconta un ergastolo.

Un portavoce del governo qualche ora più tardi ha definito la proposta “una richiesta politica di un’organizzazione terroristica”. Il riferimento è allo stretto legame tra il Bdp e le alte sfere del Pkk, e alla condanna di questo rapporto, che ha avuto come conseguenza il mancato coinvolgimento politico del Bdp nel processo di riforme costituzionali e democratiche promosso dal partito di governo.

Un’esclusione che ha esacerbato la difficile condizione della popolazione curda in Turchia, circa 15 milioni di persone, e che ha condizionato in maniera negativa l’apertura democratica presentata da Erdogan nell’estate del 2009.

Come può un partito politico esercitare le proprie funzioni rappresentative se non gli si danno gli strumenti per farlo? Il Bdp non riceve alcun finanziamento dallo Stato, al contrario di tutte le altre formazioni politiche in Turchia, ed è allo stesso tempo una componente fondamentale del Majlis turco. Lo dimostra l’impegno con cui il presidente turco Gul ha lavorato nelle scorse settimane, per convincere i parlamentari curdi del Bdp a terminare il boicottaggio che, di fatto, bloccava i lavori parlamentari dallo scorso giugno.

Gul è riuscito a convincere i due rappresentanti del Bdp, Selahattin Demirtas e Gülten Kisanak, a prestare giuramento in parlamento, insieme agli altri parlamentari, per iniziare quel processo di riforma costituzionale che, sulla carta, prevede anche una risoluzione della questione curda in Turchia.

Alla luce di quanto esposto, ci si attendeva una nuova stagione politica all’insegna del dialogo tra le varie parti. La strategia del Bdp, una volta entrato in Parlamento, è stata incentrata sulla questione Ocalan e sul relativo status carcerario.

La scorsa settimana molti curdi erano pronti a raggiungere il porto di Bursa, poco a sud di Istanbul, per una grande manifestazione pro-Ocalan. Gli organizzatori, tra cui lo stesso Bdp, avevano stimato quasi 100 mila presenze.

La manifestazione non si è mai svolta a causa dei numerosi fermi di polizia lungo tutte le principali arterie del paese: autobus pieni di gente sono stati bloccati e rimandati indietro da diverse città del sud est turco, a maggioranza curda. Questa risulta essere una chiara violazione dei più semplici diritti, come quello di manifestare pacificamente.

Allo stato attuale delle cose perciò non si comprende quale sia il vero obiettivo del governo turco circa la questione curda. I diversi attentati contro soldati e poliziotti, registrati nelle ultime settimane, sono la chiara dimostrazione del fallito tentativo di riportare la calma nel paese.

Dopo gli attentati di ieri, che sono costati la vita a 24 soldati turchi, il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha chiesto al popolo di “rimanere calmo ed evitare di violare la democrazia e i diritti umani”. “Democrazia e diritti umani risolveranno il problema del terrorismo”. “Non possiamo sottometterci ad alcun attacco che arrivi dall’esterno o dall’interno – ha aggiunge –, non ci arrenderemo, combatteremo il terrorismo e tutti quelli che lo sostengono”.

L’unica opzione perciò rimane quella militare, autorizzando un intervento armato oltre i confini iracheni. Pochi giorni fa il Governo regionale del Kurdistan (KRG) aveva iniziato operazioni di evacuazione in diversi villaggi del nord dell’Iraq  – Qandil, Sidekan, Hakurk, Hinere e Pisdere.

La decisione arrivava alcune ore dopo l’incontro tra i rappresentati del KRG e il governo di Ankara. Ciò dimostra come fosse già in cantiere un intervento armato in Iraq e rimette in discussione la stessa reazione turca al gravissimo attentato di oggi.

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