L’asse della normalizzazione: la Turchia e alcuni Paesi arabi sostengono l’economia di guerra di Israele
Mentre l’Asse della Resistenza dell’Asia occidentale cerca di indebolire l’esercito, l’economia e la sicurezza di Israele, una manciata di Stati arabi e la Turchia si sforzano segretamente di rafforzare Israele e rifornire la sua guerra a Gaza. Questo è il nuovo “Asse della Normalizzazione” della regione.
Fonte: English version
Di Mohamad Hasan Sweidan – 11 settembre 2024
Lo Yemen è uno dei pochi Stati arabi impegnato ad aumentare la pressione economica sullo Stato di Occupazione bloccando la spedizione di merci dirette in Israele dal transito nel Mar Rosso e in altre rotte marittime regionali.
Tuttavia, mentre lo Yemen dispiega i suoi blocchi marittimi, altri Stati arabi continuano a fornire un’ancora di salvezza all’economia di guerra di Israele. I dati di quest’anno mostrano che i Paesi che hanno normalizzato i rapporti con Tel Aviv, come Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Giordania, Egitto e Marocco, stanno aiutando Israele a superare il blocco, fornendo rotte commerciali essenziali che aggirano il blocco yemenita.
Nel frattempo, la Turchia, il cui Presidente ha intensificato la sua retorica anti-israeliana in pubblico, ha perseguito un approccio più ingannevole, reindirizzando le merci attraverso la dogana palestinese, e la Grecia, per mascherare l’entità del suo commercio diretto con Israele.
Relazioni commerciali arabe con Israele
The Cradle ha precedentemente riferito sulle relazioni commerciali tra i Paesi arabi e Israele e su come siano complici nel finanziamento del Genocidio. Nonostante le aspettative che questi Stati avrebbero reciso i legami dopo la Guerra di Sterminio di Israele a Gaza, i fatti raccontano una storia diversa.
Mentre lo Yemen, sotto il governo allineato ad Ansarallah a Sanaa, ha imposto un blocco navale ai porti israeliani, molti governi arabi non hanno adottato misure simili. Invece, questi Paesi si impegnano in un doppio gioco, condannando pubblicamente Israele mentre mantengono silenziosamente i legami economici, proprio come la Colombia, che ha formalmente tagliato i legami con Tel Aviv ma ha continuato celatamente una discreta cooperazione.
I dati commerciali per il 2024 rivelano un cambiamento significativo, in particolare nelle relazioni tra Bahrein e Israele. Le importazioni israeliane dal Bahrein sono aumentate di un sorprendente 1161,8% tra gennaio e luglio 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023, nonostante il Parlamento del Bahrein abbia rilasciato dichiarazioni di condanna contro Israele. In pubblico, i due Stati hanno giocato una partita molto diversa: l’ambasciatore di Israele ha lasciato il Bahrein e Manama ha richiamato il suo inviato a Tel Aviv e sospeso le relazioni economiche.
Queste azioni sono state in gran parte simboliche, volte a placare un pubblico bahreinita che si oppone in modo schiacciante alla normalizzazione con Israele piuttosto che riflettere veri e propri cambiamenti politici.
Emirati Arabi Uniti ed Egitto: pilastri del sostegno economico
Gli Emirati Arabi Uniti, un attore chiave negli Accordi di Abramo del 2020 mediati dagli Stati Uniti, hanno visto le loro importazioni israeliane aumentare del 14,2% nel 2024. Come punta di diamante della regione per la normalizzazione con Tel Aviv, Abu Dhabi continua a svolgere un ruolo strategico nei piani USA-Israele per Gaza nel periodo postbellico.
Gli “incontri segreti” di luglio tra funzionari di Israele, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti volti a sedare qualsiasi Resistenza all’interno di Gaza, evidenziano il ruolo fondamentale di Abu Dhabi nel sostenere i futuri progetti politici di Israele.
È importante notare che l’aumento delle importazioni dal Bahrein e dagli Emirati Arabi Uniti è dovuto principalmente alla crescente dipendenza di Israele dai loro porti per il trasporto di merci dall’Asia occidentale via terra, attraverso l’Arabia Saudita e la Giordania, come mezzo per aggirare gli attacchi yemeniti nel Mar Rosso. Queste parti negano l’esistenza di questa rotta terrestre che gli organi di informazione denunciano da tempo.
Rapporti precedenti indicano che l’adozione di questo corridoio terrestre ha consentito a Israele di aumentare le esportazioni di beni di consumo, che in precedenza erano costosi da trasportare per via aerea o marittima.
Analogamente, l’Egitto, il primo Stato arabo a normalizzare le relazioni con Tel Aviv negli Accordi di Camp David del 1978, è diventato sempre più strategico per il commercio israeliano, con importazioni in aumento del 16% ed esportazioni in crescita di quasi il 130%. Sei porti egiziani del Mediterraneo sono diventati snodi di transito chiave per le merci in entrata e in uscita da Israele: Port Said, Al-Arish, Abu Qir, Alessandria, Dekheila e Damietta.
Rapporti di agosto, basati sul monitoraggio di 19 navi nei tre mesi precedenti utilizzando dati marittimi di dominio pubblico, hanno rivelato che queste navi erano impegnate esclusivamente in viaggi di andata e ritorno tra porti israeliani ed egiziani.
In particolare, sei navi sono state dedicate al trasporto di cemento tra questi porti, a sostegno dei progetti di costruzione. Questa attività ha contribuito al notevole aumento delle importazioni di prodotti di investimento da parte di Israele.
I porti egiziani sono snodi vitali per il commercio israeliano grazie alla loro vicinanza, in particolare al porto di Ashdod, a soli 29 chilometri da Gaza, e al porto strategico di Haifa. Questo vantaggio geografico riduce i costi di spedizione, riducendo così i prezzi delle merci trasportate via mare.
Inoltre, le esportazioni israeliane verso il Marocco hanno continuato a crescere, incuranti della guerra a Gaza. Il commercio tra i due Paesi è aumentato dell’81,42% nel 2024 rispetto all’anno precedente, continuando un modello iniziato prima del conflitto.
Le ingannevoli tattiche commerciali della Turchia
La Turchia presenta un caso più complesso. Dopo aver interrotto il commercio diretto con Israele a maggio, le esportazioni turche verso Israele sono crollate. Tuttavia, Ankara ha trovato il modo di aggirare il suo embargo incanalando le merci attraverso la dogana palestinese, dando l’impressione di legami recisi mentre il commercio continua segretamente.
L’Associazione degli Esportatori Turchi ha segnalato un aumento del 423% delle esportazioni verso i Territori Palestinesi Occupati nei primi otto mesi del 2024, passando da 77 milioni di dollari (69,4 milioni di euro) nello stesso periodo dell’anno scorso ai 403 milioni di dollari (363,3 milioni di euro) di quest’anno. In particolare, le esportazioni turche verso la Palestina sono aumentate del 1156% solo ad agosto, passando da 10 milioni di dollari (9 milioni di euro) nel 2023 a 127 milioni di dollari (114,5 milioni di euro) nel 2024.
Ciò che è più irritante nell’affermazione di Ankara di aver aumentato le esportazioni verso la Palestina è che il governo israeliano ha smesso di erogare fondi alle autorità della Cisgiordania Occupata: i palestinesi semplicemente non hanno i mezzi finanziari per aumentare le loro importazioni.
Ciò dimostra non solo la doppiezza delle autorità turche, ma anche gli ulteriori tradimenti dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) nei confronti del suo popolo a Gaza. Inoltre, precedenti rapporti hanno suggerito che il commercio tra Ankara e Tel Aviv continua attraverso Paesi terzi come la Grecia.
La guerra a Gaza ha solo approfondito il divario economico tra gli Stati arabi. Mentre lo Yemen cerca di esercitare una pressione economica su Israele, Paesi come Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrein stanno rafforzando le rotte commerciali israeliane e contribuendo a sostenere l’economia dello Stato di Occupazione. La duplicità della Turchia e la complicità dell’Autorità Nazionale Palestinese servono anche a rafforzare gli interessi di Israele.
Con lo svolgersi della storia, è improbabile che le azioni, o meglio le inazioni, di questi Stati traditori vengano dimenticate. Il loro ruolo nel sostenere o nell’opporsi alla guerra sarà inciso nella memoria collettiva del mondo arabo e musulmano, tracciando una linea netta tra coloro che hanno sostenuto Gaza e coloro che hanno sostenuto il Genocidio di decine di migliaia di civili in soli 360 chilometri quadrati.
Il divario tra l’Asse della Resistenza dell’Asia Occidentale e il suo Asse della Normalizzazione non è mai stato così pronunciato.
Traduzione di Beniamino Rocchetto –Invictapalestina.org
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