Miniera peruviana bloccata da scioperi e manifestazioni
Pagina di resistenza al modello estrattivista in auge in tutta l’America latina
Situata nella regione andina e proprietà di Glencore e BHP Billiton, Antamina produce il 33%di rame e il 23% di zinco del Perù (considerato il terzo produttore mondiale dei due minerali).
Aveva goduto di una certa notorietà nel dicembre 2014 quando, dopo un mese ininterrotto di sciopero, il sindacato Sutracomasa aveva annunciato la sospensione della lotta (giudicata “inconcludente”) e il rientro al lavoro. Decisione difficile, ma presa in accordo con i minatori riuniti in assemblea.
Torniamo a parlarne in quanto da giorni l’attività estrattiva è sospesa per un nuovo sciopero, definito “illimitato”. Minatori e contadini, uniti nel contrastare i progetti minerari della compagnia (in sostanza, l’esproprio di ampi terreni agricoli),avevano eretto barricate lungo alcune strade del distretto di Aquia. Blocchi stradali che le forze dell’ordine (e gli agenti di sicurezza privati della compagnia) cercavano di rimuovere determinando scontri con i manifestanti.
Altri scontri il 29 ottobre all’entrata di Puerto Punta Lobitos, mentre nella mattinata del 30 ottobre veniva incendiato un camion cisterna (per il trasporto di acqua potabile) lungo la strada che porta alla miniera.
Un episodio non del tutto chiaro (e non rivendicato dai manifestanti, forse una provocazione), poi strumentalizzato dalla compagnia per denunciare la presunta “deriva violenta della protesta”.
Sia i lavoratori che gli abitanti di Aquia accusano l’impresa di voler usurpare i loro terreni e richiedono alle autorità competenti – e in particolare al presidente Pedro Castillo – di intervenire come mediatori. Solo a tale condizione sarebbero disposti a sospendere la “huelga”.
Da parte della compagnia mineraria invece si sostiene che i terreni sarebbero stati acquistati del tutto legalmente già da diversi anni e di poterlo dimostrare con una precisa documentazione.
Per l’esponente della comunità contadina di Aquia, Adam Damiàn: “da mesi stiamo sollecitando, invano, la compagnia di mostrarci i documenti in base ai quali pretende di utilizzare le nostra terre.
In compenso sta modificando gli studi di impatto ambientale, senza consultarci e senza rispettare i nostri diritti. Non stiamo chiedendo né denaro, né progetti di sviluppo, niente. Chiediamo solo di poter accedere a tali documenti”.
Ugualmente il portavoce della comunità nega che da parte loro vi sia l’intenzione di attaccare violentemente, di voler sabotare gli impianti minerari (come invece sostiene la compagnia).
La loro, dichiara, rimane una protesta comunitaria per il rispetto dei diritti della popolazione.
Senza escludere che in realtà vi possa essere anche un tentativo di “destabilizzazione nei confronti del Paese e del governo Castillo”.
Non sembrano infatti essersi ancora rassegnati i sostenitori di Keiko Fujimori (la candidata sconfitta alle ultime elezioni), nonostante l’avvenuta destituzione del primo ministro Guido Bellido.
Gianni Sartori
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