Olanda, tra crisi e populismo
Il governo olandese in carica ha infatti presentato le sue dimissioni, che hanno avuto un immediato effetto a cascata sulle borse e sugli investimenti in titoli di Stato tedeschi e americani. Anche l’Olanda infatti, uno degli stati più ricchi dell’Ue fino a poco tempo fa (nonostante sia uno dei 4 che a mantenere ancora la tripla A nel rating), è interessata da una crisi economico-politica che ha due fondamentali motivazioni.
Da una parte c’è la crescente pressione dei mercati finanziari sul debito sovrano di Amsterdam, che aumenta in parallelo con il deficit causato dalla recessione in cui si trovano i Paesi Bassi; dall’altra c’è la volontà di Geert Wilders, leader dell’islamofobo Partito della Libertà, di monetizzare al più presto l’ondata di euroscetticismo che anche in Francia ha portato al risultato eccezionale di Marine Le Pen nel primo turno delle presidenziali.
Le dimissioni del premier Rutte sono infatti dovute alla scelta di Wilders di ritirare l’appoggio all’esecutivo a cui assicurava appoggio esterno sin dal 2010. Il casus belli è stata la ferma opposizione del partito della Libertà alla volontà della coalizione di governo di effettuare tagli al sistema di sicurezza sociale per circa 15 miliardi di euro.
Wilders cerca così di guadagnare consenso facendo leva sulla sua opposizione alle politiche adottate in nome dell’austerity imposta da Bruxelles. Una dinamica non nuova, sul quale hanno costruito un forte successo altri partiti del nord Europa come ad esempio i Veri Finlandesi nelle scorse elezioni per il governo di Helsinki, per non parlare ovviamente del successo elettorale di Marine Le Pen al orimo turno della presidenziali francesi.
L’urlo “usciamo dall’euro!” è sempre più diffuso in gran parte dell’Europa. Uno slogan che ha la motivazione reale non certo in ottica di recupero della sovranità nazionale (tema ovviamente usato a livello retorico nella comunicazione politica) ma più che altro per la possibilità di poter effettuare svalutazione competitiva della propria moneta. Quando Wilders chiede il ritorno al fiorino infatti non fa altro che strizzare l’occhio alla possibilità, con una moneta più debole, di poter tornare ad esportare e così a crescere.
Il 6 maggio Grecia,Serbia e Francia, nonchè alcuni cruciali land tedeschi torneranno alle urne. Quello che potrebbe uscirne è un quadro davvero a tinte fosche per il futuro dell’Eurozona. Se dalla Grecia è ovvio che possa emergere un risultato elettoale in cui i partiti anti-Troika ottengano grandi risultati, il segnale che arriva dalla Serbia, uno stato in via di entrata nell’Ue, dove dovrebbero essere in vantaggio i conservatori euroscettici, fa capire il momento davvero delicato che attraversa il processo di costruzione ed integrazione europea, stritolato dalle necessità elettorali della Merkel e dall’ondata recessiva che avanza inesorabile mentre la ripresa economica si fa sempre più un’utopia..
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