#PanamaPapers: di potenti, off-shore e finanza transnazionale
E servono, strutturalmente, a consentire all’1% di continuare tranquillamente a “surfare” sulla superficie del mondo, utilizzando le vie – più o meno lecite – della finanza internazionale, meglio ancora se offshore. Senza divisioni di nazionalità, posizionamenti partitici, differenze culturali o sociali.
Tutte e tutti assieme, appassionamente (e…capitalisticamente, verrebbe da dire). I Panama Papers, sono 11,5 milioni di files analizzati da oltre un anno da un team di giornalisti dell’International consortium of investigative journalists (Icij) e pubblicati (una prima parte) tra domenica 3 e lunedì 4 aprile dai media di mezzo mondo (in Italia, l’Espresso).
La sostanza è abbastanza chiara: un immenso sistema di società offshore con sede in paradisi fiscali gestito per oltre 40 anni dallo studio legale Mossack Fonseca, con base a Panama City (Panama, CentroAmerica) e uffici in più di 35 paesi del mondo.
Sono 214.000 le compagnie offshore coinvolte in oltre 200 paesi e territori. Tra i nomi coinvolti diversi leader politici, dal presidente ucraino Poroshenko a quello argentino Macrì fino al re dell’Arabia Saudita, il primo ministro del Pakistan Nawaz Sharif, l’ex vice presidente dell’Iraq Ayad Allawi, l’ex presidente egiziano Mubarak, alcuni stretti collaboratori di Vladimir Putin, il padre del premier inglese David Cameron e famigliari di almeno otto tra ex e attuali componenti del vertice del Partito Comunista della Cina.
E poi imprenditori, sportivi, personaggi del mondo dello spettacolo, dal regista Pedro Almodovar al calciatore Lionel Messi, già nel mirino del fisco spagnolo per altre operazioni finanziarie in odore di evasione.
I Panama Papers rivelano poi pure il coinvolgimento di vari esponenti della FIFA, come il francese Michel Platini e Eugenio Figueredo, ex funzionario della FIFA sotto indagine per frode e riciclaggio di denaro, oltre all’ex attaccante interista Ivan Zamorano, l’ex difensore romanista Gabriel Heinze e – secondo l’Irish Times – altri venti proprietari o ex proprietari di squadre di calcio, tra le quali viene citata pure l’Inter.
E ancora: c’è anche lo spagnolo Miguel Arias Cañete, commissario a Clima ed Energia di quell’Unione Europea che da oggi deporta i migranti in Turchia e che è strutturalmente fondata su finanza, mercati e dottrine di austerity (per gli altri). I documenti mostrano che tra gli off-shore c’è infatti anche il gruppo di investimenti Rinconada, creato nel 2005, di cui è azionista Micaela Domecq Solis-Beaumont, la moglie di Cañete.
I documenti incriminati mostrano che banche e studi legali non avrebbero seguito le norme (di per sè già…generose con il capitale trasnazionale) che permettono di individuare i clienti coinvolti, creando società difficili – se non impossibili – da rintracciare.
I file fatti uscire dallo studio panamense, grazie a una “talpa” interna, sono oltre dieci milioni: nei prossimi giorni, quindi, sono attese altre rivelazioni.
ITALIA – Tra gli italiani (800 in totale) sono usciti, finora, i nomi di Luca di Montezemolo, Giuseppe Donaldo Nicosia, imprenditore latitante, coinvolto in un’inchiesta per truffa con il braccio destro di Berlusconi, ed ex senatore di Forza Italia, Marcello dell’Utri, e due banche, la lombarda UBI (che unisce le ex banche di Brescia e Bergamo) e Unicredit.
Il commento di Antonio Tricarico, economista, responsabile del programma Nuova Finanza Pubblica dell’associazione Re:Common, attivista dagli anni ’90 del movimento altermondialista e della Campagna per la riforma della banca mondiale (CRBM) Ascolta qui.
Abbiamo sentito, per un commento, anche Vincenzo Comito, economista, docente universitario e collaboratore de “Il Manifesto”. Ascolta qui.
REAZIONI – Il primo paese ad apre un’inchiesta interna è stata l’Australia, mentre il governo dell’Inghilterra, interrogata dai giornali anglosassoni sul caso del padre del premier Cameron (un ricco agente di cambio che per trent’anni, fino alla morte nel 2010, avrebbe eluso il fisco, mentre il figlio da tempo ha lanciato una campagna “antievasione”) parla di una “questione privata”.
In Islanda, invece, quella del premier Sigmundur Davíð Gunnlaugsson è la prima testa che potrebbe cadere. Oggi pomeriggio, lunedì, è già stata convocata una manifestazione fuori dal Parlamento. Il tema delle banche è particolarmente sentito nel Paese, dopo il sostanziale fallimento del sistema nazionale nel 2008.
I documenti diffusi oggi mostrano però una società off shore legata a Gunnlaugsson, fondata nel 2007 con l’aiuto di Mossack Fonseca, che aveva contratto un grosso credito nei confronti di tre banche islandesi. Nel 2008 queste tre banche sono state parzialmente nazionalizzate dopo che avevano dichiarato bancarotta.
Gunnlaugsson è quindi accusato di conflitto di interessi e di non avere detto all’opinione pubblica di avere interessi diretti nei salvataggi delle banche. In poche ora, oltre 20mila persone hanno firmato una petizione che di fatto lo “licenzia” (in Islanda ci sono in totale 320mila persone).
La reazione più dura è invece quella della Russia. Per il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov “A Mosca sappiamo bene chi fa parte di questa cosiddetta comunità giornalistica, ci sono molto giornalisti la cui occupazione principale non è il giornalismo, ci sono molti ex rappresentanti del dipartimento di Stato, Cia e altri servizi speciali”.
Gli Usa hanno ritenuto fosse necessario denigrare Putin in seguito ai successi dell’esercito russo in Siria e alla liberazione di Palmira, passata sotto silenzio dai media occidentali”.
Sulle varie tesi “complottiste”, che in sostanza vedrebbero questa fuga di notizie pilotata da chi apparentemente non è stato ancora al momento coinvolto nell’inchiesta (politici e imprenditori Usa) abbiamo raggiunto telefonicamente il giornalista e blogger Mazzetta, che in un post mette in evidenza numerose contraddizioni, al momento, di queste tesi, data la mole di materiali ancora da pubblicare, che lo studio panamense è solo uno delle centinaia che si occupa di questo genere di operazioni, ma soprattutto l’ennesima dimostrazione di pochezza di buona parte dell’informazione mainstream italiana.
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