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Renzi manda 450 soldati a Mosul a proteggere gli interessi di un grande privato

Chi si rammenta i soldati italiani mandati a Nassiriya principalmente a difendere gli interessi petroliferi per conto dell’ ENI? Lo scenario non è tanto dissimile per quello che è in procinto di accadere nei pressi di Mosul, dove 450 militari del Bel Paese insieme ad altri della coalizione anti-ISIS si appresteranno a proteggere la diga ai bordi della città in mano alle milizie dello stato islamico.

Se da una parte la ragione ufficiale e ufficializzata a livello internazionale è scongiurare che un sabotaggio della diga porti al conseguente disastro sommergendo Baghdad, dall’ altra é il Premier Renzi senza fronzoli a entrare nel merito del perché dell’impiego prossimo dei soldati: presidiare la ristrutturazione dell’impianto, in quanto l’opera vede il coinvolgimento importante di una ditta italiana.

Usando la forza del ragionamento inscalfibile della difesa dell’umanità – in questo caso la popolazione di Baghdad – Renzi non si fa scrupoli di sbandierare ai quattro venti il vero retroterra dell’operazione. Anche in questo caso l’ esportazione di democrazia é un prodotto elaborato e affinato durante e a seguito della logica della guerra infinita, semanticamente tradotta poi in preventiva, sdoganata dal post-Settembre 2001 e che ha echi anche in questo periodo susseguente agli attacchi parigini dell’ISIS.

Di certo, a emergere con forza è la logica del profitto che rinsalda interessi statali a quelli direttamente privati, in cui lo scacchiere bellico – in primis quello mediorientale – è quello prediletto per raggiungere obiettivi trasversali a una commistione di poteri molto differente dalla linearità della catena di comando descritta dal media mainstream.

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