Roma: presidio per la liberazione di Bahar
Stamattina la Rete di solidarietà con Bahar Kimyongur di Roma ha organizzato un presidio davanti al Ministero per la Giustizia in piazza Cairoli. Un appuntamento per ribadire la solidarietà con il compagno turco arrestato a novembre a Orio Al Serio e al momento con obbligo di dimora a Marina di Massa a causa di un mandato di estradizione verso la Turchia.
Dopo il presidio di sabato a Bruxelles, oggi era previsto infatti un incontro tra la moglie e i figli di Bahar e i funzionari ministeriali. Al centro del colloquio è la libertà negata a Bahar da più 100 giorni visto il dossier turco, che ne richiede l’estradizione. Nonostante l’Interpol abbia oscurato il mandato per la sua cattura, respingendo le accuse a suo carico e due processi in Belgio e in Olanda l’abbiano completamente assolto, l’epopea di Bahar non è ancora finita: dovunque l’attivista turco vada, egli finisce sotto processo con accuse di terrorismo. D’altronde la strategia di Erdogan, con il quale i paesi europei vogliono risultare a tutti i costi accondiscendenti, si basa proprio sull’isolamento e sullo sfiancamento sia psicologico sia economico degli attivisti che osano denunciare gli abusi e le ingiustizie commesse durante gli 11 anni di potere dell’attuale leader turco. Negli ultimi 14 anni Bahar è stato arrestato in Belgio, Olanda, Spagna e ora Italia. Bahar è tuttora in attesa del processo presso il tribunale spagnolo e ora è perseguitato anche in Italia. Dunque, un centinaio di persone hanno partecipato al presidio per richiedere al ministero della Giustizia di prendere atto della valutazione condotta dall’Interpol, delle due precedenti sentenze e che pertanto si proceda con la liberazione di Bahar. Una soluzione logica e immediata, che però, a quanto pare, non è tale per i funzionari del ministero: oggi l’avvocato di Bahar ha scoperto che lo scorso 17 febbraio il Ministro della Giustizia ha trasmesso all’autorità giudiziaria competente e alla Corte d’Appello di Brescia il fascicolo riguardante l’attivista. Il ministro non ha fatto altro che allungare i tempi e scaricare la responsabilità sulla magistratura, anche se aveva la possibilità di mettere fine a questo situazione surreale. Ora quindi si tratta di aspettare la decisione della Corte di Brescia, mentre l’attivista belga rimane ancora bloccato con l’obbligo di dimora in Italia.
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