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Turchia. Gli studenti si schierano contro Erdogan!

Questi ultimi erano accorsi in massa ad immortalare un nuovo importante evento di costruzione di consenso ad opera del governo turco, impegnato in un difficile percorso che cerchi di conciliare un liberismo sfrenato ad un’islamizzazione di facciata, intreccio disegnato per conservare l’appoggio sia delle istituzioni internazionali sia della base elettorale dell’AKP, islamista “moderato”.

La battaglia che si gioca in questi anni di potere dell’AKP in Turchia infatti è quella riguardo la progressiva islamizzazione della società, portata avanti dal partito di Erdogan e accettata da ampie fasce della popolazione in cambio della prosperità economica, che negli ultimi anni ha reso la Turchia una delle principali potenze regionali del Medio Oriente, con l’ambizione di espandere ulteriormente la propria influenza.

E proprio questa battaglia, questo rifiuto di un’islamizzazione dall’alto e delle politiche neoliberiste del governo, ha portato gli studenti della METU a contestare Erdogan, protettissimo da centinaia di volanti e blindati che hanno riempito di lacrimogeni le zone circostanti alla METU, nonché usato spray urticanti e cannoni ad acqua per allontanare i manifestanti, mentre questi rispondevano costruendo barricate per difendere il corteo, che ha comunque dovuto registrare diversi feriti (qualcuno anche in maniera seria) per via della reazione poliziesca.

Il presidente della YOK (il board per l’istruzione universitaria turco) ha avviato l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto dichiarando però immediatamente che non sarebbe assolutamente corretto prevedere da parte del governo una reazione tale a restringere gli spazi di espressione e di dissenso negli atenei. Dichiarazioni non casuali da parte di chi certo non è un pericoloso sovvertitore dell’ordine costituito, ma consce dell’importanza della posta in gioco.

L’AKP da anni persegue politiche repressive e di intimidazione nei confronti degli studenti, giustificati da discorsi sulla necessità di raggiungere lo stato di “democrazia avanzata“. Per far questo si serve di tribunali speciali e di leggi antiterrorismo “TMK” (terörle mücadele kanunu),utilizzate in Turchia come strumento di repressione e di opposizione ai movimenti sociali. Si finisce in carcere per poco, basta una telefonata “compromettente” o possedere in casa un libro di Marx. Queste leggi prevedono indagini,sanzioni,carcere e possono anche comportare l’espulsione temporanea o definitiva dall’Università. Sono più di 600 gli studenti turchi in carcere con l’accusa di far parte di “associazioni terroristiche”. Per non parlare del fatto che, per intimidire gli studenti, la “polis” è presente in ogni angolo dentro i Campus.

Lo stesso Erdogan ha bocciato come “inaccettabili poiché violente” le proteste nei suoi confronti, mentre l’opposizione lo attaccava parlando di uso sproporzionato della forza da parte della polizia, ammesso dal ministro dell’Interno Idris Naim Sahin il giorno dopo per placare le critiche.

Ad essere messe sotto attacco, vista la presenza del premier all’università, sono state anche le politiche di svendita e privatizzazione dell’istruzione superiore che hanno contraddistinto il cammino dell’AKP in materia. Il 20 dicembre, due giorni dopo gli scontri alla METU, gli studenti dell’università della capitale hanno boicottato le lezioni ed effettuato un corteo interno per denunciare la repressione poliziesca. Il giorno dopo un altro corteo interno all’università ed uno invece tenutosi in centro città hanno tenuto alta l’attenzione sui fatti del 18 dicembre.

Il tutto avviene in un periodo di forte agitazione in Turchia, dove anche sulla questione del dispiegamento Nato (e benedetto dall’Unione Europea fresca di Nobel per la pace) dei missili Patriot al confine con la Siria ci sono state dimostrazioni. Moltissimi cortei si sono già sviluppati in tutta la nazione con le parole d’ordine del rifiuto della guerra e della lotta contro le ambizioni militari espresse dal governo Erdogan. A seguito delle proteste alla METU è stata bruciata una bandiera dell’UE proprio per questo motivo.

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