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Un anno di rivoluzione in Tunisia

Il 15 gennaio vengono saccheggiate le ville di proprietà della famiglia del rais in fuga, l’esercito resta ancora neutrale nello scontro che continua tra polizia e manifestanti. Entra in scena la milizia e si costituiscono i comitati di difesa dei quartieri. Intanto i rais e i monarchi dei paesi arabi inizano a preoccuparsi: dopo l’Algeria, anche l’Egitto, il Bahrain, lo Yemen, l’Oman, la Libia, e la Giordania vengono attraversate da prime manifestazioni di protesta. Il movimento tunisino non si ferma con la fuga di Ben Ali, continuano manifestazioni e scontri legati alle lotte contro l’RCD, il vecchio partiti del regime, che si sta riorganizzando anche nel primo governo di transizione guidato da Mohammed Ghannouchi. Al quarto giorno dalla fuga di Ben Ali il messaggio è “Questa rivoluzione ha avuto i suoi martiri, e noi non contiamo di tradirli e non ci scoraggiamo. Lancio l’appello a tutta le forze della società civile, sindacalisti, avvocati, politici… per fare un fronte comune contro questo governo, con tutti i mezzi possibili, cortei, scioperi generali, presidi e altro.” Mentre la diplomazia USA entra in scena pubblicamente per la prima volta. Dal centro della Tunisia parte la Carovana della Liberazione e arriva a Tunisi piazzando le prime tende nell’antico quartiere del potere nella capitale, ha inizio la Prima Casbah. Il proletariato giovanile tunisino tra la rete, le sedi sindacali e le barricate continua ad essere il motore del processo rivoluzionario che nella Casbah mostra l’alto livello di autonomia e radicalità raggiunto.

Ormai molte altre piazze arabe sono in fermento mentre la crisi economica continua a sconvolgere il mondo. La Prima Casbah di Tunisi viene sgomberata mentre gli scioperi si susseguono e i militari iniziano a perdere pubblicamente la posizione di osservatori neutrali degli eventi, ma la parola “dégage” viene ripetuta ovunque… è caccia all’RCD.

Intanto le frontiere con l’Italia sigillate con accordi di ferro tra i governi italiani e il regime di Ben Ali vengono attraversate da centinaia e centinaia di uomini e ragazzi che approfittando della situazione tentano di raggiungere le coste europee. Il tentativo dei migranti spesso si traduce in nuovi lutti e tragedie per le famiglie tunisine.

Il 20 febbraio il movimento rivoluzionario tunisino tenta di riconquistare la Seconda Casbah e ci riesce rilanciando la lotta contro il governo di transizione Ghannouchi. Il 25 febbraio almeno duecentomila manifestanti gridano “Dégage Ghannouchi” e reclamano la convocazione di una assemblea costituente. Durante la manifestazione la polizia spara ed uccide diversi manifestanti, la tensione in Tunisia è alle stelle mentre anche a Bagdad iniziano le prime manifestazioni. A Tunisi viene dichiarato il coprifuoco. Ma il 27 febbraio il primo ministro Mohammed Ghannouchi dichiara le sue dimissioni: il movimento fa un nuovo passo avanti. Negli altri paesi del Nord Africa continuano le rivolte e i movimenti rivoluzionari si trovano davanti ad una reazione imponente.

In Tunisia ufficialmente viene sciolta la polizia politica e il movimento spinge avanti con le proprie rivendicazioni. Dopo poco è il turno dello scioglimento dell’RCD, il vecchio partito del regime oggetto della collera del popolo tunisino. Il partito viene chiuso durante il governo di Beji Caid Essebsi, anziano uomo politico che dichiara la disponibilità delle autorità a lavorare per l’elezione dell’assemblea costituente. Ormai è fine marzo e dalla redazione di Infoaut raggiungiamo la Tunisia durate i preparativi della Terza Casbah di cui testimoniamo gli scontri, la tenacia del movimento e la dura repressione. Raggiungiamo Sidi Bouzid e altre città della costa e del centro per intervistare militanti e attivisti. Intanto a Tunisi è atteso il governo italiano per regolare la situazione delle frontiere e dell’immigrazione con le autorità tunisine, contemporaneamente poco distante dalla capitale alcuni ragazzi presi dentro una barca dalla guardia costiera vengono riportati a terra, poco dopo si ardono vivi in segno di protesta. Le corrispondenze, gli approfondimenti e le interviste vengono raccolte dalla redazione nel DIARIO TUNISINO, infoaut nel cuore della rivoluzione araba.

Il 24 aprile il movimento rivoluzionario torna a darsi appuntamento per le strade del centro della capitale al grido di “abbiamo detto game over non try again” per una manifestazione partecipatissime contro ogni possibilità di ritorno delle politiche del vecchio regime, in modo particolare rispetto a giustizia sociale e indipendenza della magistratura. Tornano in strada i giovani della rivoluzione e gli scontri con la polizia durano fino a notte. Arriva il Primo Maggio nordafricano che mostra al mondo gli importanti livelli di organizzazione politica e sindacale a cui sono arrivate le piazze tunisine ed egiziane. Il 5 maggio l’ex ministro degli interni Rajhi viene filmato mentre parla della possibilità di un colpo di stato a guida dell’esercito, il video viene pubblicato e in Tunisia si riaccende la rivolta. Gli scontri durano per giorni sia nella capitale che altrove ed in rete torna la censura che colpisce alcuni siti del movimento rivoluzionario. Il 9 maggio scatta ancora una volta il coprifuoco e durante le manifestazioni muore l’ennesimo manifestante nella capitale.

In un contesto ad alta tensione il KLF arriva a Tunisi per il Liberation without Border Tour che porterà nella capitale tunisina molto attivisti europei a confrontarsi con i militanti e i giovani della rivoluzione tunisina in vista del grande meeting transnazionale “Réseau des Luttes” previsto per l’autunno. Vengono scritti e pubblicati molti reportage e commenti di un esperienza che a detta dei partecipanti è stata straordinaria quanto formativa, gli ultimi appunti che vengono pubblicati parlano della Tunisia come una università per i movimenti. Viene tradotto in diverse lingue l’appello al meeting transnazionale.

Le contestazioni al governo Essebsi non finiscono e si ripetono scioperi generali e manifestazioni per tutto il mese di maggio. Come in Egitto anche in Tunisia il processo rivoluzionario va avanti e anche il desiderio di libertà dei giovani del paese magrebino che senza soste tentano di raggiungere le coste europee, in molti ci riescono e raggiungono Parigi, rivendicando il diritto alla casa e alla dignità i Tunisini di Lampedusa, così si definiscono, occupano nella capitale francese un vecchio palazzo di proprietà dell’RCD.

Il 15 luglio il movimento tenta ancora di raggiungere la Casbah per costruire il terzo sit-in per proseguire la lotta per la conquista degli obiettivi della rivoluzione, la repressione di cui siamo testimoni è fortissima e in segno di indignazione per i pestaggi e le violenza poliziesche anche il resto della Tunisia nei giorni seguenti si solleva. Ma la Terza Casbah non riesce a piantare le tende. Durante gli scontri scoppiati anche a Sidi Bouzid viene ucciso un ragazzino di 14 anni e viene annunciato il coprifuoco. Il 15 agosto per celebrare i primi sei mesi dalla fuga di Ben Ali dalla Tunisia il movimento convoca ancora una grandissima manifestazione che come sempre viene attaccata dalla polizia che al contrario lascia sfilare un piccolo corteo che altrove aveva riunito le alte burocrazie del sindacato con parte di alcuni rappresentati dei partiti e dei movimenti islamisti.

Ma ormai il primo meeting transnazionale, il primo meeting delle lotte nella Tunisia rivoluzionaria è alle porte e nella capitale c’è grande attesa mentre non cessano le manifestazioni. L’appuntamento che ha visto la partecipazione di centinaia di militanti e attivisti dal mondo si conclude il 2 ottobre dopo giornate di intensi dibattiti e confronto sulle lotte globali. La dichiarazione conclusiva rilancia la lotta comune promuovendo una ricca agenda di mobilitazioni. E’ metà ottobre e le elezioni per l’assemblea costituente sono alle porte quando un gruppo di ragazzi inizia uno sciopero della fame, sono i feriti della rivoluzione che rivendicano giustizia e verità da mesi.

Chiuse le urne elettorali per l’assemblea costituente, a novembre si avranno i risultati ufficiali che parlano di poco più della metà dei tunisini aventi diritto al voto orientare le proprie preferenza sul movimento islamista moderato Ennahda. Un risultato scontato che punisce i partiti della sinistra che dopo aver imposto la cesura netta con il passato tramite la convocazione della costituente abbandonano la lotta nei comitati di quartiere e nelle strade lasciandosi trascinare nel dibattito su islam e laicità con gli islamisti che si presenteranno come partito della stabilità e dal programma economico-sociale decisamente neoliberista. Intanto le lotte continuano, risultato degli importanti livelli di organizzazioni raggiunti dai disoccupati e dai proletari tunisini. A Gafsa in segno di protesta per la pubblicazione delle liste degli ammessi all’impiego nell’azienda della regione che preleva fosfati scoppia come nel 2008 la rivolta, questa volta però la repressione non sembra più avere la vita facile.

 

 

 

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