Approdo sui territori che combattono la speculazione energetica
Lo scrivevamo in conclusione al Manifesto di Confluenza:
La grande contraddizione della nostra epoca si potrebbe riassumere così: la smania di produrre e quindi di devastare i territori, proprio nel momento in cui il contrasto al cambiamento climatico e l’attenzione ecologista sono diventati il paradigma dominante, deve conciliarsi con una logica di legittimazione della produzione ad ogni costo procurandosi un impianto discorsivo all’altezza.
Questo è ciò che rappresenta la speculazione energetica tramite energie rinnovabili che vede in alcuni territori un attacco molto avanzato.
Riprendiamo ancora un passaggio:
La narrazione green serve precisamente a legittimare il capitalismo, tramite un pretestuoso artificio retorico con il quale si dice di voler declassare le energie fossili a beneficio delle rinnovabili, mentre non si fa mai riferimento alla necessità di imporre un freno alla produzione e al consumo sfrenati. Anche i potenti hanno la necessità di dichiararsi ambientalisti, ma la progettualità miope di chi gestisce risorse e territori fa crollare come un castello di carte il loro adoperarsi di facciata. Non soltanto per pulire le coscienze ma anche per una necessità pratica, le energie rinnovabili occupano il centro della scena oggi. Mentre continua l’erosione delle risorse e delle materie prime e si generano crisi geopolitiche, mentre si riduce l’accesso a fonti fossili come gas e petrolio e la guerra viene sdoganata come possibilità a cui ricorrere nella corsa all’egemonia mondiale, il sistema capitalista si rivolge alle fonti gratuite e illimitate per poter garantire la propria riproduzione e restare così com’è.
Per quali usi e per quali consumi il vento, il sole, l’acqua vengono mercificati e sfruttati, in una logica in cui si tutela il capitale e non il territorio?
È a partire da questa domanda che vogliamo aprire un terreno di ricerca, partecipazione e attivazione intorno ai movimenti e ai comitati che lottano in difesa dei territori su questo tema. Oltre alla premessa di cui sopra, pensiamo ci siano altri due validi motivi per esplorare questo terreno: da un lato, per anticipare una tendenza che vediamo come prossima rispetto al Piemonte ma che è già in atto su altri territori e, dall’altro, per contrastare la narrazione tossica che viene imposta dall’alto sulla pelle di chi si mobilita contro l’ennesimo attacco ai territori.
Il paternalismo e la retorica usata dai governi nei confronti del “popolo contro il progresso e lo sviluppo” la conosciamo da vicino, basti pensare alla Val di Susa e all’etichetta dei “montanari contro il treno” che la classe dirigente ha confezionato ad hoc per tutelare i propri interessi. La stessa dinamica sta accadendo a coloro che in Sardegna si stanno opponendo alla colonizzazione energetica volta al profitto. Ma non solo, perché basta sollevare lo sguardo verso l’orizzonte e rendersi conto del rischio che la Liguria e i suoi monti stanno correndo. E bisogna andare oltre, perché la frontiera dello sfruttamento non conosce confini, verso la Toscana, la Calabria, la Puglia, la Sicilia, la Basilicata dove enormi parchi eolici e sterminati campi di agrivoltaico proliferano sui territori.
Ulteriore ostacolo all’azione dei Comitati è il fatto che le Amministrazioni si servano degli organi di stampa e dei mezzi di comunicazione come di armi contro i cittadini attivi […] Attraverso la narrazione, si creano ad arte anche spaccature ideologiche tra la popolazione, rinnovando il motto divide et impera.
E infatti, per riprendere ciò a cui accennavamo nel Manifesto, la necessità urgente che riscontriamo è quella di costituirsi fronte comune attraverso la costruzione di contesti che abbiano un’ambizione ricompositiva, per produrre una narrazione forte e chiara sulle legittime istanze di chi si mobilita.
Questo è un annuncio a tenersi pronti per un nuovo capitolo di approfondimento di Confluenza che si pone la sfida di oltrepassare i confini regionali per costruire alleanze con chi già sta lottando su nuove crepe del sistema estrattivista.
Affinando le nostre pratiche e le nostre intelligenze potremo attivarci e mobilitarci in maniera da spiazzare chi vorrebbe imporre opere e progetti inutili e dannosi per trasformare i nostri territori da zone di sacrificio a zone da difendere di cui riappropriarci per il bene collettivo.
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