A fianco dei trattori in lotta – no alla transizione per pochi dell’UE!
Il paradigma di sviluppo dell’industria agroalimentare delineato nella Pac 2023-27 (Politica Agricola Comune) rispecchia il più ampio progetto del Green Deal, ovvero un insieme di strategie volte a raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Tuttavia, emerge una contraddizione evidente quando i costi della transizione ecologica vengono trasferiti verso il basso. Come già accaduto nel 2018 con il movimento dei gilet gialli in Francia, anche oggi ci troviamo di fronte a un crescente dissenso popolare nei confronti dell’austerity green. Nonostante variazioni legate a circostanze specifiche dei singoli Stati membri e, talvolta, anche a livello regionale all’interno degli stessi Stati, ciò che rende unico questo movimento è la sua diffusione diretta a livello europeo.
Immersi tra forme di sfruttamento, auto-sfruttamento e varie modalità di espulsione dalla terra, le dinamiche del settore agricolo europeo riflettono le tendenze del sistema agro-alimentare globalizzato. È una tendenza che dura da un secolo quella di integrazione verticale dei piccoli produttori che messi alla fame, cedono il posto a grandi aziende multinazionali e plurisettoriali che si assicurano il controllo sull’intera filiera. La protesta dei piccoli produttori agrari è il prodotto di un processo di “proletarizzazione” dove questi ultimi, pur essendo proprietari, sul mercato non hanno margine di contrattazione. Da un lato il prezzo sui prodotti non consente margini di profitto: questo viene di fatto imposto al ribasso dall’azione combinata di un mercato aperto alle importazioni e dalle pressioni agite dai grandi monopolisti della filiera, grandi aziende di trasformazione o della grande distribuzione; dall’altro, proprio a causa di questi meccanismo, gli agricoltori si ritrovano a dipendere da un sistema di sussidi europei alla produzione estremamente complesso, molto problematico da gestire per le tante piccole e medie imprese prive di una gestione manageriale avanzata ed invece (non a caso ) perfettamente adeguato alle modalità produttive dei grandi attori dall’agrobusiness . A questa sistuazione si va a sommare la congiuntura della crisi degli ultimi anni, dovuta principalmente alla guerra, che ha provocato un aumento dei costi di produzione, e allo stress climatico che ha portato alla riduzione della resa delle colture.
Le condizioni di lavoro sempre più difficili nel settore agricolo hanno portato a un calo dell’occupazione nel settore del 5%. All’interno di questo dato, è evidente che il declino è stato più pronunciato tra i lavoratori dipendenti (-2,5%) rispetto a quelli autonomi (-1,3%), e che questa tendenza è stata particolarmente marcata nel sud del Paese (Calabria -7%, Puglia -5,7%, Abruzzo -5,6%).
Questi dati possono essere interpretati considerando che le condizioni di lavoro sempre più gravose hanno spinto molti lavoratori ad abbandonare il settore, soprattutto giovani, che costituiscono solo il 21% del totale degli occupati nell’ambito agricolo. Questa mancanza di ricambio generazionale ha contribuito alla fuga dei giovani dal sud, che rimane ancora il fulcro della produzione agricola nazionale.
Oltre al piano puramente economico e di mercato, esiste anche uno scontro ideologico, dove la posta in gioco è il concetto di sovranità alimentare, manipolato dalla destra. Questo concetto viene ora utilizzato per promuovere un modello di agrobusiness e di consumo alimentare simile a quello associato a Eataly, creando una discrasia rispetto all’idea di favorire una relazione diretta tra produttore e consumatore, che è possibile solo attraverso la protezione delle economie a scala ridotta. Questo rappresenta l’inganno demagogico del discorso contro la carne sintetica o gli insetti, che consente alla destra di puntare il dito contro prodotti specifici, mantenendo allo stesso tempo un modello di mercato che favorisce le grandi aziende a spese dei piccoli produttori.
L’idea di sovranità alimentare è invece un campo di battaglia su cui è necessario agire, una partita per ridisegnare il sistema agro-alimentare globale e promuovere una visione del cibo come non merce. A proposito riportiamo un passaggio del comunicato del coordinamento Via Campesina : «Gli agricoltori europei hanno bisogno di risposte concrete ai loro problemi, non di fumo negli occhi. Chiediamo la fine immediata dei negoziati sull’accordo di libero scambio con il Mercosur e una moratoria su tutti gli altri accordi di libero scambio attualmente in fase di negoziazione. Chiediamo l’effettiva attuazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e il divieto a livello europeo di vendere al di sotto dei costi di produzione, utilizzando come esempio quanto sviluppato dallo Stato spagnolo nella sua legge sulle filiere agroalimentari. I prezzi pagati agli agricoltori devono coprire i costi di produzione e garantire un reddito dignitoso. I nostri redditi dipendono dai prezzi agricoli ed è inaccettabile che questi siano soggetti a speculazioni finanziarie. Chiediamo quindi una politica agricola basata sulla regolamentazione del mercato, con prezzi che coprano i costi di produzione e la gestione di scorte pubbliche di derrate. Chiediamo un bilancio adeguato affinché i sussidi della Pac vengano ridistribuiti per sostenere la transizione verso un’agricoltura in grado di affrontare le sfide della crisi climatica e della biodiversità. Tutti gli agricoltori già impegnati e che vogliono impegnarsi in processi di transizione verso un modello agroecologico devono essere sostenuti e accompagnati nel lungo periodo. È inaccettabile che nell’attuale Pac la minoranza di aziende agricole più grandi monopolizzi centinaia di migliaia di euro di aiuti pubblici, mentre la maggioranza degli agricoltori europei non riceve alcun aiuto, o solo le briciole».
Durante i presidi o le manifestazioni, soprattutto nel sud e in Sicilia , emerge come problematica la correlazione tra il diritto al lavoro e il diritto di restare. Preservare i posti di lavoro nell’agricoltura significa prima di tutto agire per salvare il Sud e le zone interne dall’abbandono. A complicare ulteriormente la situazione, ci sono le tensioni legate ai nuovi progetti estrattivi basati sulle fonti rinnovabili, come l’agrofotovoltaico, che preoccupano molti operatori del settore agricolo. I grandi colossi dell’energia hanno di fatto un alto potere di ricatto sui piccoli produttori, che ormai stremati da terreni poco produttivi si ritrovano costretti a vendere o affittare le terre alle multinazionali energetiche, favorendo di fatto la scomparsa del settore e la desertificazione dei terreni agricoli.
Nelle città del nord, tanto in un centro urbano come Torino quanto nella più piccola Trento, non può invece essere ignorata la riemersione dei movimenti NoGP, che hanno fatto da cassa di risonanza alla protesta fin da quando si trattava di un fenomeno limitato alla Germania, ed hanno poi mobilitato le proprie basi giocando il ruolo di sponde urbane ad un movimento altrimenti interamente confinato alle campagne e alle province.
In conclusione, non possiamo non riportare come, nelle parole dei molti agricoltori con cui abbiamo avuto a che fare in queste settimane, non vi sia da parte degli agricoltori un opposizione tout-court alla sostenibilità ambientale della produzione, come da nessuna parte viene negato o minimizzato il cambiamento climatico in atto. Questi agricoltori sono orgogliosi di produrre ciò che mangiamo, e per questo disponibili a cambiare e produrre meglio, in maniera più sostenibile, purché riescano a lavorare. Ciò che viene richiesto a gran voce è una politica in cui la sostenibilità ambientale sia associata alla sostenibilità economica.
Che la transizione dall’alto del capitale fosse una grande beffa, che scarica i costi verso il basso, favorendo solo la transizione di profitti dei grandi colossi l’abbiamo già ribadito in diverse occasioni. Le mobilitazioni di questi giorni, come quelle che ci sono state e che ci saranno solo la manifestazione di questo dato; come movimenti e realtà ecologiste non possiamo girarci dall’altra parte, ma anzi partecipare e creare convergenze contro chi usa la scusa della crisi climatica per imporre condizioni di lavoro peggiori e per far fatturare gli stessi che la crisi l’hanno creata.
Bisogna lottare insieme, contro la transizione dell’Europa, per una vera transizione dal basso che sia veramente a favore della vita e della terra!
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