Ponte: avvio dei cantieri rinviato. Ora chiudere la Stretto di Messina S.p.a.
Il comunicato di Antudo a seguito della notizia del rinvio dei cantieri per il ponte sullo Stretto..
L’estate che viene avrebbe dovuto essere quella dell’avvio dei cantieri del ponte sullo Stretto. Salvini e tutta quanta la governance dell’opera più imponente al momento prevista in Europa da più di un anno spargono, a larghe manate, rassicurazioni sulla tempistica stringente che si erano dati. Superato lo scoglio della Valutazione d’impatto ambientale sarebbe arrivata l’approvazione del progetto definitivo da parte del CIPESS. E con questa la dichiarazione di pubblica utilità e l’avvio degli espropri. Da lì le prime opere propedeutiche e d’un sol balzo la stesura del progetto esecutivo. Un gioco da ragazzi, a sentirli parlare.
Cosa è accaduto, invece?
E’ accaduto che prima il Comitato Tecnico-Scientifico nominato dalla stessa Stretto di Messina Spa (la società concessionaria dell’infrastruttura per conto dello Stato) aveva posto 68 rilievi, in particolare sull’impatto di vento e terremoti.
Successivamente sono arrivate le 239 osservazioni del Ministero dell’Ambiente. A queste L’AD della Stretto di Messina Spa Pietro Ciucci aveva risposto in un primo momento cercando di manifestare tranquillità sulla tenuta dei tempi previsti, ma in questi giorni è stato chiesto più tempo per rispondere “bene”. Come se avessero anche potuto decidere di rispondere in maniere superficiale … Tutto rinviato, dunque, a novembre.
Per i primi cantieri se ne parlerà nel 2025, ma nei prossimi mesi verranno inviati i tecnici incaricati di acquisire le informazioni necessarie a rispondere alle osservazioni.
Messa così, sembrerebbe una normale dinamica legata all’iter progettuale. In fondo, si sa che in Italia le cose vanno sempre un pò a rilento. Non è così, però. É accaduto ciò che gli ideatori dell’operazione politica “ponte sullo Stretto” non si aspettavano. Pensavano che la comunità dello Stretto li avrebbe accolti a braccia aperte, accontentandosi di collanine e perline, come spesso accade nelle imprese di ordine coloniale. E ci erano anche riusciti con la classe dirigente locale, un pugno di politici e qualche filiera di tecnici pronti a svendere la propria dignità e accettare la devastazione del proprio territorio in cambio delle briciole che cascavano dalle tasche di Webuild, la società capofila di Eurolink (General Contractor per la progettazione e costruzione dell’infrastruttura).
La comunità locale non ci è cascata
Prima le mobilitazioni di piazza e poi la manifestazione di una diffusa opinione no ponte hanno chiarito che il territorio il ponte non lo voleva. E’ stato così che anche forze politiche che hanno a lungo “flirtato” con l’idea dell’attraversamento stabile hanno preso posizione contro il progetto. Sono arrivati, poi, anche ex pasdaran dell’opera e infine persino qualche ordine professionale fatto di veri e propri agit prop ha minacciato un dietrofront. É accaduto, insomma, che il ponte è diventato non più spendibile politicamente e il rinvio di questi giorni ha tutta l’aria di un rinvio politico a dopo le Europee.
Non possiamo ritenerci soddisfatti
Potremmo esserne contenti. Potremmo dire che abbiamo ancora una volta rintuzzato l’assalto delle ruspe, che l’attivismo no ponte è in sintonia col territorio. Potremmo anche gongolare nella nostra vittoria, quantomeno momentanea, e spiegarlo a chi tante volte ci ha detto che non serviva a nulla manifestare, che “tanto, se vogliono farlo, lo fanno”, mentre è stato proprio il movimento no ponte a fermare la devastazione. Sarebbe, però, il più grave degli errori. Il ponte, infatti, è questa cosa qui. Non è un’opera pubblica. É una procedura, un iter, un dispositivo politico-finanziario. Possono utilizzarlo tutti. Possono saltarci tutti sopra e godere dei flussi di denaro che genera. Qualunque forza politica, qualunque filiera di tecnici potrà raccoglierne le insegne e utilizzarlo. E’ sempre stato così. Da decenni.
E, quindi, bisogna continuare le mobilitazioni lo stesso. Di più. Bisogna liberarsi del ponte, di questa spada di Damocle che pende sulla nostra testa e impedisce ogni possibile futuro per i nostri territori. Bisogna cancellare il ponte dalla storia di questi territori e per farlo bisogna raggiungere l’obbiettivo di cancellare la Stretto di Messina Spa. Colpevolmente, i partiti che si sono succeduti al governo negli ultimi 10 anni l’hanno mantenuta in vita benché fosse in liquidazione dal 2013 e senza la società concessionaria l’operazione di “riviviscenza” del contratto non sarebbe stata possibile. Era tutto già scritto e assolutamente immaginabile la compromissione di gran parte del quadro politico.
Solo dalla comunità può venire l’uscita da questo imbroglio e l’imposizione di utilizzare le risorse impegnate sul ponte ai fini del soddisfacimento dei mille bisogni inevasi dei nostri territori.
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