‘A Franca Salerno’ di Oreste Scalzone
“Liberi e diversi come uccelli, e fraterni come stormo”, diversi – voglio continuare a pensare – per motivi non infimamente “identitarî” (« identità », è figura che rinvia al patrimonio, ad assi ereditarî, alla proprietà – « privata » o « pubblica », persino « di Stato » –, e fa pensare all’apertura notarile dei testamenti, che il più spesso divide, semina invidie, odî mortali, rancori, vittimismi, figure riflessive transitive, attive passive singolari plurali della “Colpa”, « passioni tristi » forme del risentimento, odio per la vita e autodivoramento suicidario-assassino…). Diversi nascevamo, come lèssico, come “dialetti” rispettivi, costitutivi e al contempo sotto-insiemi di una lingua che però aveva un'”anima” nel profondo, comune. Diversi come eravamo, per lingua, nojaltri di Potere Operaio, per esempio, e le compagne e i compagni di Lotta Continua. Al di là delle futilità, vanitas di concorrenze peraltro « mimetiche », c’erano alcune ragioni di approccio, di punto di vista, rispetto alle quali ci si addensava, ci si polarizzava diversamente – diciamo, ‘secondo inclinazioni’ rispettive, e che poi mettevano in forma anche i modi di esserci, le accentuazioni delle passioni – ciò che in versione nobile e non insignificante si chiamava « teoria », eppoi « linea ». Eguale, sotto, era l’istanza della ribellione. (Rivolta che è denominator comune, come lo è la Gemeinwesen, il ‘fundus’ comune che costituisce e distingue la specie, « razza umana » di esseri parlanti, aventi inferito la mortalità dunque consapevoli della propria morte, di sé e del resto, dell’alterità, gettatisi nel tempo e dannati[si] all’angoscia degli enigmi, fino ai dilemmi morali, senza più l’innocenza, anzi, l’estraneità a questa dialettica, dell’animale predatore e preda, e dannati a “conoscenza” e impossibilità di arrivarvi, a Storia e « cultura » e al fiume di sangue che ne segue, fino all’epoca della sua « riproducibilità tecnica » e della sua infinita clonazione virtuale.) Uguali, nella comunanza in quell’altro ‘specifico’ assoluto di questa « razza animale » irreparabilmente sui generis : la rivolta. Che noi vedessimo l’epicentro dello sprigionarsi della potenza, della « disperata vitalità » delle genti sottoposte a gerarchia, a utilizzazione strumentale, comando e qualsivoglia altra forma di mutilazione, d’ interdizione e confisca di ogni capacità di comunanza auto-determinata, d’autonomia singolare e comune – …, che noi collocassimo questo epicentro alle linee di montaggio delle Mirafiori, e poi in qualsivoglia altra forma che pur dissimuli e occulti l’economia di tempo-di-vita, di « nostra vita mortale » (come quello di Antonio figlio di Franca, ammazzato nella catena di montaggio dell’estrazione del plusvalore sociale, pur fatta risultare invisibile come la nebbia quando ci avvolge, e non è più “solo” banco di cui scorgiamo il profilo) ; e che invece Franca, e Maria Pia, e Anna Maria, e Antonio, e Luca, e Giovanni, Mimmo, Nicola, Pietro, Fiorentino, Alfredo e chi altro purtroppo non mi viene adesso al ricordo, vedessero il punto di svolta nel cortile di Attica !, e lo immaginassero, lo sognassero nel gesto semplice di Jonathan Jackson che si alza nell’aula del tribunale col suo fucile, enorme e austero per i sedici anni che lo impugnano, e dice a Corte e scorte armate, e contro gabbie e ferri, « Adesso decido io ! », non era un dettaglio, epperò era distinzione successiva, secondaria alla fraternità nella necessità/scelta primale della rivolta sovversiva di liberazione.
Ho conosciuto Franca qui all’Akrobaz. Chiederò al compagno che la filmava come ipnotizzato dall’intensità del suo volto e delle sue parole, di ripescare quel frammento e mandarvelo, come un fiore per lei. Non l’avevano piegata, Franca, gli anni del feroce totale isolamento in « braccî morti ». Ho imparato in galera la modestia e la grandezza dei “nappisti” : la vita, la cosiddetta Storia, sono feroci : non solo Loro, “LorSignori”, i funzionarî delle teologie di Capitale/Stato/tecnica integrati, e di tutte le forme moderne, antiche e ultra-moderne, di gerarchizzazione comando sfruttamento, tentativo di confisca ultima della potenza di persistere, d’inibizione in radice del principio attivo di comunanza auto-determinata, autonoma di questi animali parlanti, comuni mortali che ci troviamo ad essere, “razza paroletaria” ; anche le nostre rivolte sono state sanguinarie – e alla domanda di Canetti, “Quando si finirà di uccidere ?” non possiamo rispondere incollando sul cosiddetto “futuro”, a cominciare da quello “prossimo-venturo” nel ‘presente largo’ che è l’unico consistente (che passati, « futuri anteriorti », e « futuri remoti » continuamente ci confiscano, talché “il morto vuol seppellire il vivo”…), non possiamo rispondere alla domanda con alcuna certezza, una qualsivoglia ‘filosofia della Storia’. Una cosa ho visto : che quando avevano paura “dei Nap”, i guardiani e all’occorrenza massacratori di altri “animali di razza umana” rasentavano i muri, e le “squadrette” erano come sospese – migliaia di murati là dentro respiravano, respiravamo, un po’ meglio : questo ho visto. Dopodiché, una cosa è certa : forse era stato ottimista il Doktor Marx, nel suo incipit « … Abbiamo regolato i conti con la critica dell’al-di-là ; ora resta da passare alla critica dell’ al-di-qua ».
Sotto, ancora sotto la questione di mortalità/tempo/estrazione del plusvalore, c’è la dannazione quasi “archetipale” del « Giudizio di Dio ». « Per farla finita col Giudizio di Dio », urlava rauco alla radio Antonin Arthaud. In effetti, possiamo dire che prima viene il Giudizio, la pulsione mortifera mortale alla designazione della Colpa e alla punizione infinita e all’infinito del Colpevole, poi l’ipotesi–Dio. Ben oltre un Leviathano microfisico, fino alla singolarizzazione, un’ossessiva centralità del “giudizio di d’IO” rifratto in tutte le forme, fa affondare nell’universo della peggiore, annichilante servo/padronalità tendenzialmente « di ciascuno contro ciascuno”. Contro la caccia all ‘uomo , l’Inquisizione, il linciaggio (peggio, frustrato dal legalismo e dato in appalto a chi lo demandi al “braccio violento della Legge”, del Dio-Stato,), l’inimicizia è limpido stato di guerra. Le forme – violenta, non… – sono solo corollario : il primo discrimine è qui. La nuvola di fiele di pensare solo e sempre in termini di Colpa, di Colpevoli, di delitto e castigo, è forse il consumo di merce tòssica più capace di far schermo e diversione alla rivolta di liberazione, e forse, alla vita stessa di una specie, che se si fa radicalmente logopatica si avvia allo ‘spavento senza fine’ della lunga agonia di un corpo col cervello avvelenato, che marcisce. Mi scuso delle divagazioni, un saluto per Franca, fuor di retorica bellissima persona.
Parigi, venerdì 4 febbraio 2010, Oreste Scalzone, e col dolore, il vuoto, l’amore anche di Lucia , di RossaLinda e altre e altri
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