La decisione e i comportamenti assunti in parlamento sul caso Cosentino hanno messo ancora in evidenza le divisioni nella Lega Nord, che hanno assunto espressioni molto più nette rispetto al passato.
Dopo la caduta del governo Berlusconi, la scelta della opposizione aperta e rumorosa al governo Monti aveva permesso al Carroccio di superare i contrasti fra la base e la leadership. Si erano attenuate anche le divisioni più complesse e articolate che erano emerse in diverse occasioni nel gruppo dirigente. Il caso Cosentino, le sue implicazioni sull’opinione pubblica e i suoi possibili effetti sulle alleanze politiche hanno creato la prima seria difficoltà al percorso avviato, mettendo in crisi il fragile compromesso nell’ambito dei dirigenti del partito.
Cosentino corrisponde perfettamente alla figure del «nemico» che caratterizza l’immaginario leghista: è meridionale, ha rapporti con la camorra e gode di tutti i privilegi della «casta» dei politici. La Lega lo aveva già salvato una volta dall’arresto, nel dicembre del 2009, per non incrinare l’alleanza con Berlusconi. Fuori dal governo, era diventato difficile sottrarsi agli orientamenti dominati nella base: la segreteria del Carroccio aveva infatti votato per l’arresto, e questa indicazione si erano dovuti piegare i leghisti nella commissione per le autorizzazioni. Bossi non vuole però lasciare cadere, al di la delle dichiarazioni pubbliche, l’alleanza con Berlusconi, che può rivelarsi molto utile nelle prossime scadenze elettorali. Il Senatur non ha votato, ha lasciato libertà di coscienza ai deputati ma non ha nascosto il suo orientamento contrario all’arresto. Dopo il voto che ha salvato Cosentino, Maroni ha cercato di minimizzare il contributo offerto da una parte dei parlamentari leghisti, cercando di contenere le proteste della base e le ripercussioni sull’elettorato. Le divisioni nella Lega non sono apparse mai così palesi e quasi istituzionalizzate. Maroni è riuscito questa volta a fare prevalere il suo punto di vista nella segreteria, e ha potuto usare a suo favore il richiamo alla disciplina di partito. È stato Bossi a dovere sfruttare il suo prestigio personale per indurre una serie di parlamentari del Carroccio a pronunciarsi, nel voto segreto, contro l’arresto. I malumori e le proteste nella base leghista a questo punto sono destinate a crescere.
Nei giorni scorsi avevano già suscitato molte perplessità e discussione le notizie sull’utilizzo dei rimborsi elettorali di cui dispone la Lega. I rimborsi non sono stati usati per le spese e le sedi del movimento, e neppure investiti in Padania, ma impiegati in operazioni finanziarie in Tanzania e in altri paesi. Anche in questi caso, è stato Maroni a stigmatizzare più duramente l’operazione, gestiti da un tesoriere legato al «cerchio magico» dei pretoriani di Bossi. L’ex ministro degli interni ha ormai ottenuto un largo sostegno fra i parlamentari, gli amministratori e i quadri del Carroccio. Non osa mettere in discussione il ruolo del leader storico del movimento, ma cerca sempre più di assumere la parte di difensore degli autentici valori della Lega, cercando di sintonizzarsi con le opinioni e gli umori prevalenti nella base. Ha avviato un percorso non facile per realizzare una progressiva sostituzione di fatto nel ruolo di leader del Carroccio. Bossi teme questi sviluppi e d’altra parte mantiene in modo ferreo il controllo delle risorse fondamentali del partito. La volontà di non rompere l’alleanza con Berlusconi lo costringe a scelte molto impopolari per la base, riproponendo anche dall’opposizione la logica della «Lega di governo», e lasciando paradossalmente a Maroni la possibilità di rappresentare le posizioni più combattive della «Lega di lotta».
Le tensioni fra bossiani e maroniani sono così destinate a crescere e diventare sempre più esplicite, senza che nessuna delle due parti abbia la forza necessaria per prevalere sull’altra. Ed entrambe sono bene attente (per ora) a non provocare rotture del partito. Tutto questo avviene in una fase politica in cui la Lega ha la possibilità non solo di recuperare un rapporto positivo con il proprio elettorato, ma anche di allargarlo a spese degli altri partiti. Nel contesto della crisi cresce il deficit di rappresentanza politica delle classi popolari. Si sono aperte negli ultimi mesi nuove opportunità politiche per rilanciare tutti i temi delle tradizionali campagne leghiste: lo stesso presidente Monti ha detto recentemente di temere la crescita della protesta popolare in Italia, declinata in chiave euroscettica.