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Leonardo occupata: costruire una prassi per boicottare la guerra

L’Intifada ha annunciato sin dall’inizio dell’anno accademico l’intenzione di proseguire con l’azione di boicottaggio contro Israele e i suoi alleati.

da Collettivo Universitario Autonomo – Torino

L’occupazione della sede Leonardo di Corso Francia è stata la prosecuzione coerente delle dichiarazioni e del programma del movimento studentesco. La differenza tra chi sproloquia in Parlamento su una presunta “pace” o su soluzioni diplomatiche naif, e chi ha intenzione di fermare con i mezzi necessari l’escalation di brutalità che le forze di occupazione sioniste stanno perpetrando in tutto il Medio Oriente, sta nell’intenzione di essere concreti ed efficaci. Mercoledì mattina 100 studenti dell’università e del politecnico torinesi hanno superato i cancelli della fabbrica di morte Leonardo con le bandiere palestinesi sulle spalle, per dichiarare quanto sia vergognoso e inaccettabile il sostegno al genocidio palestinese che il colosso nostrano dimostra. Una volta entrati abbiamo avuto il piacere di partecipare al buffet gentilmente offerto dal Ministero della Difesa che, proprio in quella giornata, ha programmato una riunione con tutti gli onori e i comfort del caso. Questa ipocrisia è vomitevole e ci restituisce la fotografia chiara dello stato attuale delle cose: i politicanti di questo Paese banchettano in barba (o meglio, in virtù) alla crisi sociale che ci causano e alle guerre che gli stessi gentiluomini contribuiscono a foraggiare, sicuramente siamo felici di aver guastato la festa di questi ignobili signori in giacca e cravatta. Il corteo studentesco ha poi proseguito all’interno dello stabilimento disturbando e interrompendo le attività aziendali. Dopo molto tempo è arrivata l’ignara polizia, completamente impreparata a gestire la situazione. Nonostante abbiano tentato la via dell’intimidazione per mettere fine all’iniziativa, gli studenti hanno proseguito senza difficoltà per tutta la mattina l’occupazione della Leonardo. Una volta terminato il giro e le azioni di disturbo siamo usciti dai cancelli, che nel frattempo erano presidiati da altri 50 studenti, solo lì la celere è intervenuta per far vedere ai primi giornalisti accorsi che loro avevano il polso della situazione attraverso un goffo tentativo di forza.

L’intifada studentesca ha deciso di colpire la Leonardo perchè è l’incarnazione più esemplare del sostegno alla guerra. Il governo italiano partecipa al 30% di investimento alla direzione dell’azienda Made in Italy e Leonardo Spa è il primo produttore di armi nell’Unione Europea, il secondo in Europa, il 13° nel mondo. Leonardo definisce in sintesi il proprio profilo scrivendo: «Leonardo è leader industriale e tecnologico del settore Aerospazio, Difesa e Sicurezza, forte di una presenza industriale in Italia, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Polonia e Israele». Israele quindi non è da considerare solo un cliente, ma come un partner che collabora attivamente alla produzione di Leonardo. Il governo aveva solertemente dichiarato che l’esportazione di armi verso Israele sarebbe stata sospesa in seguito al 7 ottobre ma è stato ripetutamente smentito da evidenze in flussi di merci e denaro resi pubblici da piattaforme di informazione come Atreconomia che segnalano le complicità. E’ stato testimoniato più volte l’impiego di mezzi Leonardo per l’invasione e le operazioni militari su Gaza, parliamo di sistemi di protezione per mezzi come giganteschi bulldozer blindati Caterpillar D9 impiegati per la distruzione delle case e dei territori palestinesi, e radar tattici di DRS RADA. Il gruppo Leonardo ha reso noto che fornisce “assistenza tecnica da remoto senza presenza di personale nel Paese, riparazione materiali e fornitura ricambi” per la flotta di velivoli addestratori M-346 prodotti da Alenia Aermacchi (sempre della Leonardo) per un guadagno stimato da 7 milioni di euro nel 2024.

Questi M-346 sono, come detto, mezzi da addestramento e non vengono impiegati direttamente sul campo di battaglia, chiaro è che l’addestramento è finalizzato alla preparazione delle incursioni e degli stermini armati che l’esercito di occupazione sta perpetrando ad alta intensità in territorio palestinese, ma anche delle azioni militari indirizzate allo Yemen, alla Siria, alle incursioni in Libano e all’assedio del Nord della Striscia di Gaza. Sul fatto che non ci sia personale a lavoro nella Palestina occupata si potrebbe avere da ridire poichè nel 2022 è stata conclusa un’operazione per acquisire la società israeliana RADA Electronic Industries, specializzata in radar per la difesa a corto raggio e anti-droni, e risultano esserci 248 dipendenti in tre sedi israeliane (uffici a Netanya, stabilimento principale a Beit She’an, centro ricerche presso il Gav-Yam Negev Tech Park di Beer Sheva) della DRS RADA Technologies controllata da Leonardo DRS Inc. I ministri provano a prenderci in giro sostenendo che ci sono delle differenze tra le esportazioni per la guerra ed altre esportazioni e che il governo ha cura di non esportare “materiali che possono essere impiegati con ricadute nei confronti della popolazione civile di Gaza”, nonostante sia sotto gli occhi di tutti che l’intero sistema sionista che controlla lo stato israeliano sia orientato all’incremento di uno scenario di guerra totale e sempre più devastante e che è necessario, dunque, boicottarlo sotto qualunque punto di vista.

Il governo di Netanyahu, come qualsiasi altro governo di stampo occidentale e imperialista, viene colpito quando si toccano i rapporti economici e quelli di ricerca orientati al progresso tecnologico per l’incremento produttivo che gli conferiscono competitività e prestigio. Noi sappiamo solamente un’infinitesima parte di tutti quelli che sono gli scambi economici, i favori politici, le manovre di sostegno fatte per Israele e in favore di tutte le guerre che stanno attanagliando l’intero mondo, senza dimenticarci che anche qui alle porte dell’Europa, ad esempio, si gioca un conflitto voluto per la spartizione delle ricchezze tra grandi capitali imperialisti che ha fatto impennare le condizioni nefaste della crisi per le persone in tutta l’Europa e nel mondo. La politica neoliberale europea accelera l’intruppamento diffuso, incrementa gli scenari bellici e incarna solamente gli interessi dell’establishment occidentale che prova a tenersi a galla nel più completo caos capitalista; questa idiozia fanatica da parte della cosiddetta “sinistra istituzionale”, lascia spazio all’emergere di posizioni destre che si propongono di guidare un processo di ri-stabilizzazione della “pace”, i compromessi che impongono sono l’aumento del controllo sociale e di farlo alle condizioni delle borghesie nazionali impoverite dall’aumento dei costi delle materie prime necessarie alla produzione, queste non sono interessate all’inasprimento degli scenari bellici nel mondo ma ad investimenti verso le economie nazionali, che in ogni caso porterebbero benefici solo ai padroni perchè la torta da spartire sarebbe comunque troppo piccola.

C’è un grosso rimosso di rappresentanza in questo bipolarismo: nessuno, ad oggi, si fa (o finge di farsi) portatore degli interessi della gente comune che semplicemente non guadagna in termini di qualità della vita dal finanziamento né della guerra globale né dei padroni nazionali sfruttatori. Dobbiamo, dunque, costruire dal basso questa forza sociale e politica. Una forza che sia in grado di portare avanti e in alto le istanze della maggior parte della popolazione e che deve essere credibile e determinata. Senza disperarsi più di tanto sul più destro eletto in questa o quell’altra parte del mondo; non c’è un meglio o un peggio, sono due facce dello stesso nemico e la nostra risposta può essere, in ogni caso, soltanto una: l’autonomia del movimento per la lotta di classe.

Tante strade parallele sono aperte nel panorama globale, che possono dare una direzione rispetto al dove agire e cosa fare: le mobilitazioni nelle università, le lotte sindacali contro la razionalizzazione del lavoro e il peggioramento delle condizioni di vita, le rivolte contro la polizia nei quartieri popolari e nelle carceri, la sollevazione globale per la Palestina dell’ultimo anno, le lotte decoloniali in Africa e in Medio Oriente e potremmo proseguire a lungo. Il punto è capire dove risiede un elemento di congiunzione che può farci riconoscere come una parte in causa totale e popolare e poi accumulare le forze per sfidare il sistema che sta attanagliando le vite di tutti. Iniziative di boicottaggio come quella di mercoledì segnano una tappa rilevante perchè, in prima battuta, danno prova della vulnerabilità della controparte e poi mettono in luce le contraddizioni più controverse di questo sistema, come ad esempio il fatto che il governo prediliga investire nel mercato delle armi piuttosto che nel sostegno alla crisi economica che rende dura la vita di moltissime persone attualmente.

Bisogna rendere evidenti gli effetti distruttivi che le politiche nazionali ed europee hanno e contrapporre a queste soluzioni sensate e praticabili, che siano negli interessi di chi sta in basso. La prospettiva di vita delle persone è sempre più incerta, vuota di senso, faticosa e cara; bisogna rispondere a questa esigenza facendo una proposta che possa anche dare senso a tutte quelle esistenze altrimenti spremute completamente dallo sfruttamento capitalista. Il corteo regionale di sabato 16 novembre a Torino si pone l’obiettivo di allargare il fronte dell’opposizione al genocidio e alla guerra. Questa piazza nasce dall’esigenza di ricomposizione che emerge dopo più di un anno di intense mobilitazioni. I livelli da colpire per sabotare concretamente l’escalation bellica sono infiniti, allora si riconosce diffusamente che c’è bisogno di rappresentare una forza composita, in grado rispondere efficacemente ad ogni livello del sistema. Sarà necessario affrontare quante più sfide possibile, grazie all’intelligenza collettiva e il coraggio di chi sa di avere ragione, nella ricchezza delle differenze che possono diventare opportunità per disarmare la controparte. Sabato, come nelle occasioni future, sarà importante non solo esserci ma contribuire attivamente al percorso che, nonostante la disabitudine ad allearsi, si sta delineando. Ci opponiamo alle industrie belliche perché, al momento, è il modo più concreto per sostenere la resistenza palestinese, ma siamo consapevoli che la liberazione della Palestina sarà opera del suo stesso popolo. Piuttosto, nel riconoscerci complici e al fianco della resistenza, cogliamo anche l’opportunità di infrangere le nostre catene, e questo non può che rafforzare chi combatte contro il nostro stesso nemico.

Abbiamo detto fino alla Vittoria e lo vogliamo fare sul serio! Boicottiamo la guerra ovunque!

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