Carne da Macello – Le lotte degli operai della logistica e il teorema repressivo contro il SI Cobas e le conquiste dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia
Pubblichiamo di seguito l’introduzione del libro “Carne da macello” ( edizioni Red Star Press), opera collettiva del sindacato SI Cobas in merito a quello che ormai è un decennio di lotte nel mondo della logistica e in generale del lavoro.
Il libro coglie anche l’occasione per soffermarsi sull’attacco subito dal coordinatore Aldo Milani negli scorsi mesi e in generale sulle velleità repressive nei confronti di quanto si muove nel mondo dello sfruttamento sul lavoro nel nostro paese. L’opera uscirà con in allegato il Dvd con il film-documentario “FINO ALLA VITTORIA” dedicato alle lotte del settore carni nel modenese.
Ricordiamo che domani InfoAut seguirà in diretta la giornata di sciopero generale lanciata dal SI Cobas ed altre sigle sindacali del paese.
Buona lettura.
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Questa è la cronistoria ragionata di un decennio di lotte dei facchini e dei proletari organizzati nel SI Cobas. È stata scritta per contrastare l’attacco più duro e, nello stesso tempo, più vile che queste lotte abbiano subito dall’azione combinata dei padroni (i Levoni, in questo caso), della magistratura e dei mass media: la montatura giudiziaria ordita nel gennaio scorso contro il compagno Aldo Milani e l’intera organizzazione. Alla campagna di fango e di repressione, rispondiamo qui rivendicando, con limpido orgoglio di classe, l’esperienza di questi anni.
Lo facciamo rivolgendoci a lavoratori, a giovani, a militanti della causa proletaria che ancora non la conoscono, o la conoscono poco, perché siamo convinti che le lotte che abbiamo condotto e stiamo conducendo hanno qualcosa da dire a tutti coloro che si sudano la vita, all’intera classe lavoratrice.
Per almeno tre buone ragioni.
Innanzitutto perché sono state, e sono, delle lotte vere, fatte di scioperi veri, di picchetti veri, di veri coordinamenti tra le diverse realtà, con piattaforme di lotta vere, e non semplicemente esibite per poi dimenticarle. Lotte che hanno saputo spostare, in alcune situazioni, i rapporti di forza a favore degli operai della logistica (e non solo), conseguendo in diversi casi dei significativi miglioramenti della condizione lavorativa e contrattuale.
In secondo luogo perché sono state, e sono, lotte realmente auto-organizzate dai lavoratori in prima persona che hanno dato vita a un’esperienza di nuovo sindacalismo militante. Che si è differenziata dal sindacalismo di base più tradizionale in quanto ha combinato l’auto-organizzazione, la massima partecipazione diretta dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolti, e l’organizzazione, che è comunque vitale per le lotte auto-organizzate, grazie all’apporto di militanti politici internazionalisti di lungo corso. E tanto più si è differenziata dalla pratica di Cgil-Cisl-Uil rivolta a passivizzare i lavoratori, a fargli introiettare la logica aziendale e di mercato, trasformandoli in disciplinate macchine da lavoro e in clienti e utenti dei loro servizi.
In terzo luogo perché le lotte presentate in questo opuscolo hanno visto come protagonisti di prima fila i proletari immigrati, e costituiscono perciò la più bruciante smentita del luogo comune razzista secondo cui i lavoratori immigrati “ci” rovinano, essendo pronti ad accettare ogni forma di sopruso e di sfruttamento o, tutt’al più, a fare gesti isolati e improduttivi di ribellione. Ed invece è partita proprio da loro, da proletari srilankesi, egiziani, marocchini, eritrei, pakistani, tunisini, rumeni – l’elenco completo delle nazionalità sarebbe lunghissimo – la rivolta coraggiosa, l’autentico grido di battaglia collettivo contro il moderno schiavismo del sistema delle cooperative che è agli ordini delle più grandi imprese transnazionali. È probabile che nell’onda lunga delle lotte nella logistica abbiano giocato un ruolo non secondario le rivolte sviluppatesi nella gran parte dei paesi arabi e del maghreb tra il 2010 e il 2011: rivolte che per quanto siano state strangolate nel sangue, rifluite o “recuperate” dagli imperialismi occidentali, hanno lasciato un segno indelebile nella vita e nelle coscienze di milioni di giovani e di lavoratori arabi, iniettandogli fiducia nella lotta e consapevolezza dei propri mezzi.
Queste lotte non si svolgono in qualche angolino arretrato del sistema produttivo o distributivo, ma in un settore nevralgico, strategico del processo di accumulazione del capitale che, dopo decenni di intense delocalizzazioni, dopo l’eliminazione delle scorte nelle singole aziende e la creazione di sempre più mastodontici centri commerciali, ha il compito di collegare nel modo più efficiente possibile la produzione delle merci e la loro circolazione. E sono andate dunque ad impattare contro imprese gigantesche che dalla logistica hanno, o possono vedersi sottratta, linfa vitale (Ikea, Carrefour, Lega Coop, Dhl, TNT, tanto per citarne alcune). La durezza, la difficoltà e il significato generale di queste lotte sono dovuti anche all’imponenza delle forze nemiche contro cui si sono battute – che, è questo il rovescio della medaglia, ha favorito la loro eco a livello internazionale.
C’è un’altra cosa che rivendichiamo: avere sollevato il coperchio su ciò che sono oggi realmente la gran parte delle cooperative, un campo di schiacciamento e di torchiatura brutale del lavoro, in cui la violazione delle leggi e dei contratti, l’intimidazione e la violenza mafiosa, il disconoscimento dei diritti più elementari, la truffa, sono la norma, nella più completa impunità. Le abbiamo chiamate “cooperative spurie” perché infangano ogni giorno una storia che è stata, alle origini, una storia di solidarietà, di reale mutuo aiuto, tra lavoratori. Oggi la gran parte di esse cooperano soltanto con le grandi imprese nel rendere impossibile, precaria e umiliante fino alla esasperazione, l’esistenza dei loro “soci” coatti, e in questo modo sono diventate una componente essenziale del capitalismo made in Italy, che punta tutte le sue carte sulla svalorizzazione del lavoro.
Ma loro e i loro committenti hanno trovato in questi anni pane per i loro denti. Ed è per questo che hanno attivato in tutti i modi gli apparati dell’ordine pubblico, che mai come in questo caso si sono svelati per ciò che realmente sono: apparati dell’ordine privato, a esclusiva difesa delle imprese e della loro pretesa di fare illimitati profitti sulla pelle di chi è costretto a vendere la propria capacità di lavoro per sopravvivere. Come vedremo, polizia, carabinieri, finanzieri, e se questi non bastassero, mazzieri e guardiaspalle delle imprese sono stati una presenza fissa, quasi sempre aggressiva e violenta, nelle nostre lotte, mentre al varco ci aspettava abitualmente qualche magistrato zelante, pronto ad usare contro di noi quella legge che le imprese possono violare senza rischiare mai nulla, o a cercare di annullare le rare sentenze o decisioni istituzionali a noi favorevoli.
Ecco perché queste lotte hanno anche un significato politico in quanto hanno dovuto confrontarsi, debbono costantemente confrontarsi, con l’azione repressiva delle istituzioni statali e dei governi di questi anni – nei quali è insediato da tempo il ministro Poletti, massimo rappresentante del trust capitalistico delle attuali cooperative. Nel tentativo di spezzare le lotte, nei confronti dei lavoratori e militanti del SI Cobas e dei compagni dei centri sociali realmente solidali sono stati rispolverati addirittura provvedimenti dell’epoca fascista quali i fogli di via, gli obblighi di domicilio, etc., che si sono aggiunti ad arresti, denunce, multe e quant’altro, fino ad arrivare al colmo dell’accusa di “estorsione aggravata” contro il coordinatore nazionale Aldo Milani, “reo” secondo la Questura di Modena di aver costretto il gruppo Levoni a dover trattare sul destino di 55 licenziati e di spingerlo con la pressione degli scioperi a riconoscere almeno una parte economica e il versamento dei contributi utili per l’accesso all’assegno di disoccupazione!
Ma noi siamo qui, fermi, al nostro posto. Convinti della giustezza della nostra causa. Non ci siamo montati la testa. Sappiamo di essere ancora una goccia nell’oceano del lavoro salariato, di essere una minoranza nella stessa logistica (una minoranza attiva però!), e mirante a conquistare e organizzare l’intera massa dei lavoratori. Non ci sentiamo autosufficienti. Abbiamo ricercato e continueremo a ricercare testardamente l’unità nelle lotte al di là delle sigle e degli sterili steccati delle appartenenze formali. E siamo ben coscienti che la lotta immediata, anche la più determinata, ha un bisogno vitale di una prospettiva politica generale, di un movimento generale della classe in cui inserirsi e sprigionare tutta la sua forza. Non ci sentiamo dei maestri, che propongono agli scolari un modello da imitare. Siamo dei militanti di classe fieri di avere indicato un metodo, una pratica di lotta, una prospettiva in cui muoversi. Chiamiamo altri lavoratori e lavoratrici, molti altri lavoratori e lavoratrici, a rompere gli indugi, scendere in campo.
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