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Caso kazako. Tra servilismo e incapacità

Su Ablyazov pende infatti un mandato di cattura internazionale emesso dal kazakhstan e valido anche in Russia. Considerato il nemico numero uno del presidente del Kazakistan, Nursultan Nazabarayev, Ablyazov è anche ricercato dalla Gran Bretagna dove gode di uno status un po’ particolare: da un lato gli è stato riconosciuto l’asilo politico, dall’altra è sotto accusa per non essersi presentato a un processo per la sottrazione di 5 miliardi di euro alla banca di cui è stato a lungo presidente (la BTA). Per questo è stato condannato a 22 mesi. Quello che più risalta nella vicenda, senza soffermarci troppo sulla figura di Ablyazov, sono tuttavia ben altre considerazioni riguardo a quanto sta uscendo nelle ultime ore attraverso dichiarazioni et similia che sembrano aver messo in moto un meccanismo che coinvolge diversi aspetti di un potere attuato e di un servilismo concesso. A partire dall’utilizzo del termine e della conseguente applicazione della categoria “dissidente” con la quale è stato etichettato Ablyazov, che risulta essere il costrutto residuale dell’imperialismo umanitario anni ’90, per legittimare in qualche modo le azioni riservate ai casi particolari come questo. Eppure, Ablyazov certamente non fa parte di nessun movimento di liberazione nè tanto meno è un rappresentante di una lotta specifica nella stessa direzione. Eppure le associazioni umanitarie eccedono nell’utilizzo del concetto, forti delle considerazioni fatte invece dalle autorità del kazakhstan che lo ritengono “un criminale collegato al terrorismo internazionale”, che già la dice lunga sull’implementazione di costrutti sovradeterminati.

Ma a tener banco in questa vicenda, sono ancora una volta le questioni economiche e politiche nel connubio di politica estera e energetica che riguarda l’Italia, soprattutto dopo la crisi libica e il colpo franco statunitense alla Libia con l’estromissione di Roma. A partire da quel momento, inizia a mancare per l’Italia il gas proveniente dalla Libia e gli interessi strategici che vi sono dietro. Da qui il repentino tentativo di spostarsi sul territorio dell’Azerbaijan, ritenuto un partner troppo poco affidabile e la successiva necessità di tessere relazioni e rinsaldare legami commerciali e economici con il Kazakhstan. Questo è dovuto anche al ruolo della Russia nella questione energetica petrolifera e i rapporti che i due Paesi hanno.

All’interno di questo quadro, si prefila quindi una sceneggiata facilmente ricostruibile. L’interesse nazionale in materia energetica sovrasta su tutte le altre questioni, dando vita di riflesso ad un problema politico: tra accuse, smentite, dichiarazioni e lavate di mani, si trova l’equilibrismo perenne in cui oscilla Letta. All’interno del così chiamato governo delle larghe intese, vi è da una parte il Pdl che sembra avere un margine di manovra più esteso rispetto a quello del Pd, dovuto anche dalla linea berlusconiana di attuare un tentativo, fallito miseramente, di ritagliarsi una sfera di autonomia in Est Europa. Certo è che questo governo, giusto per non smentirsi, dimostra ancora una volta la sua incapacità nel gestire situazioni in cui prevale il caos sistemico che rende difficile ogni politica estera che sia un minimo organica. Un problema endemico destinato a ripetersi in futuro.

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