Con 2 rolex sul palco del Primo maggio
Intorno alla performance del rapper Sfera Ebbasta al concertone del Primo maggio si è scatenato una polemica che sta investendo social network, mondo musicale e circoli di sinistra. Ma chi non vuole essere “ricco per sempre”?
L’altra sera Sfera Ebbasta, al suo esordio sul palco del “concertone” del Primo maggio, si è esibito con una scaletta che prevedeva il pezzo “Ricchi per sempre”. La canzone contiene un tema piuttosto classico nella cultura hip hop, quello del riscatto personale dopo una vita di privazioni e abusi che finalmente si concretizza con l’approdo a uno status di benessere e ricchezza (pur sempre relativa, se si pensa alla fluidità del mercato musicale) che viene ostentata e idealizzata fino agli eccessi estetici e contenutistici visibili a tutti (a partire dall’outfit esibito da Sfera sul palco).
Attenzione però, il potenziale di emancipazione rivendicato nel testo non è autoreferenziale e individualista tout-court, ma contiene la possibilità e la speranza di un riscatto collettivo generalizzato. Non a caso la seconda barra recita: “Scrivo una canzone, sì, quella è per sempre/ Per certe persone sarà un salvagente”, parole di chi ha la consapevolezza di rappresentare non solo se stesso e il proprio entourage, ma un intero movimento di giovanissimi che ha trovato nella musica (trap, in questo caso) la propria ancora di salvezza da un presente di precarietà ed emarginazione. La citazione non riguarda solo i colleghi di Sfera, protagonisti assoluti delle classifiche degli ultimi anni, ma anche (e sopratutto) il pubblico presente al concerto di piazza San Giovanni, lo stesso che permette ai rapper di campare ma che, dettaglio ben più macroscopico, si rivede completamente nei loro testi. Anche quando – se ne facciano una ragione i benpensanti della sinistra salottiera – parlano di soldi, auto, droga, donne e abiti firmati.
Come era prevedibile, le polemiche nate dopo l’esibizione di Sfera hanno riguardato esattamente questi aspetti: l’ostentazione del lusso da parte del rapper e la presunta vacuità contenutistica dei suoi testi. Chi avanza queste accuse, oltre a palesare una lacuna evidente in termini di cultura musicale contemporanea (ma non sono qui a parlare di questo), non riesce ad andare oltre la provocazione (peraltro telefonatissima) dell’artista in questione, ma ci casca dentro a piedi uniti dando sfogo alla più scontata delle discussioni virtuali.
Chi ha modo di frequentare e conoscere un po’ il mondo dei fan di Sfera e della cultura hip hop in generale, si sarà reso contro che i fan più giovani si sono schierati compatti a difesa del trapper di Ciny, mentre i cultori di un certo tipo di rap “vecchia scuola” si è unito al coro di giornalisti e benpensanti attaccando frontalmente sia lui che gli organizzatori del concertone. A questo punto è bene precisare due cose: innanzitutto che gli organizzatori del concerto (i sindacati conferderali Cgil, Cisl e Uil) erano più che consapevoli della scelta di chiamare Sfera e altri rapper, con tutte le ambiguità che ne potevano conseguire. È ovvio che il ritorno in termini di visibilità, pubblicità e partecipazione è stato certamente potenziato dalla presenza di questi artisti, che non a caso hanno richiamato un pubblico vasto e diverso dal solito. Chi vuole trovare una mancanza di coerenza del personaggio-Sfera con l’evento Primo maggio se la prendesse allora con gli organizzatori e non con un artista che ha fatto esattamente quello che ha sempre saputo fare – e che dietro le quinte speravano facesse, ovvero scandalizzare e far puntare i riflettori sul palco di Roma.
C’è poi il problema dell’ostentazione e dell’arroganza di Sfera in una giornata che molti vorrebbero delegare solamente alla narrazione della desolazione del mondo del lavoro e all’autocommiserazione, e dove l’ostentazione di ricchezza effimera è vista decisamente male. Poco dopo la fine del live, però, Sfera ha twittato orgoglioso: “Avevo 2 Rolex sul palco”, ricevendo in cambio una pioggia di critiche e insulti tra chi lo accusava di avere lasciato a casa la dignità e chi invocava l’esibizione della cultura e non del “vile denaro”. Tra le tante, spicca la risposta della top model Elisa D’Ospina, secondo la quale in una giornata dove erano state “lette lettere di disoccupati, precari e gente che lavora per pochi euro al giorno”, l’aggiornamento sui Rolex di Sfera fosse quantomeno indelicato.
Per essere stringenti, il dilemma è tutto culturale e riflette il portato morale di una “sinistra” che non riesce a disfarsi di due fardelli ereditati dalla cultura sindacale: 1) il mito del “lavoro” inteso come concetto puro e illibato, garante della dignità delle persone. Peccato che non esista. Esiste, per la stragrande maggioranza dei lavoratori, il lavoro sotto padrone, la fatica di alzarsi tutte le mattine e spendere le proprie energie per il guadagno di qualcun altro, il lavoro non garantito e precario, il lavoro in nero ecc… E lavorare, in queste condizioni, non piace a nessuno; 2) guadagnare tanto, tantissimo, senza fare (quasi) nulla e divertendosi – come succede, per esempio, cantando – piace praticamente a tutti. Chiunque vorrebbe essere “ricco per sempre”, usando “lo champagne solo per bagnare la folla” ed esibendo 2 Rolex al polso con cafonaggine.
Questi sono dati di fatto, caratteri ben radicati nel tessuto proletario delle nostre città e dei nostri hinterland, che anche senza bisogno di analisi approfondite possiamo prendere per buoni anche perché rappresentano, tra gli altri, i motivi del successo di Sfera&soci. Quando tre/quattro anni fa l’ondata trap si apprestava a diventare tsunami nell’asfittico mercato musicale italiano, il dato più evidente nei testi rappati da Ghali, Tedua, Izi, Rkomi, Laioung ecc… era soprattutto l’impazienza di emergere, la “fame” di prendersi tutto e subito per fuggire finalmente dai palazzoni, dai quartieri ghetto, dalle case in affido, dallo spaccio di droga e dalle sirene della polizia. QUELLA rabbia, quella frustrazione sono il motore che muovono Sfera nel momento in cui sente la necessità di trollare il pubblico della Rai rivendicandosi di avere indossato due orologi da migliaia di euro sul palco della “musica impegnata” per eccellenza.
La mossa degli organizzatori è ovviamente una paraculata, ma se non si riconosce che la musica di Sfera e Achille Lauro (presente anche lui sul palco) è oggi l’unica musica della lotta contro l’emarginazione sociale e la precarietà esistenziale, non si capisce niente del mondo giovanile. In un post virale girato ieri, si legge che la trap non può essere paragonata al punk degli anni ’70-’80 perché la ribellione di quell’epoca fu “una ribellione consapevole”, mentre la trap sarebbe una “ribellione a niente”. Lasciando da parte i trattati di sociologia, bisogna concentrarsi sul fatto che è proprio questo il potenziale immaginativo e ribellistico della musica, la possibilità di incazzarsi e gridare il proprio disagio (magari con un po’ di autotune) senza sapere bene né da dove esso arrivi né verso dove indirizzarlo. È un problema che chiama in questione un paradigma della postmodernità, secondo cui la difficoltà a costituire una propria identità che chiami in causa le tradizioni del passato spinge sempre più persone a ricercare nuovi modelli “ideologici” di identificazione e appartenenza; il fatto che le nuove generazioni di millennials ascoltino e si rivedano nei modelli di vita proposti dai trapper è una conferma (parziale) di questo atteggiamento. Tant’è vero che l’alzata di scudi contro il live di Sfera non ha prodotto che risentimento e stizza da parte dei più giovani verso il concertone, verso la “cultura del lavoro” e, ahimè, anche un po’ contro il Primo maggio in sè, visto come momento in cui l’elitarismo di sinistra può permettersi di attaccare nuove controculture considerate volgari e inadatte al contesto.
Pur capendo che una certa retorica sull’abuso di sostanze, sull’ostentazione del denaro e sul concetto di “live fast, die young” possa dare fastidio a molti, soprattutto coloro che si spaccano la schiena tutti i giorni per arrivare a fine mese, non è, purtroppo, attaccando a spada tratta la “degenerazione” culturale di Sfera che si risolverà questa situazione. L’invito è semmai quello di ascoltare attentamente i testi della trap-generation, superando quel fastidio superficiale che nasce al primo impatto, per scoprire cosa si nasconde sotto l’estetica del bling-bling e delle pellicce rosa di Gucci. Forse allora vi sembrerà più familiare il racconto di persone che non avevano niente tranne “qualche sogno infranto e le sigarette” e che oggi, con la rabbia e l’arroganza di chi vuole prendersi tutto e subito, sono diventare il punto di riferimento di centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze non disposti a pensare la propria vita solo sulla base delle cose che non potranno mai permettersi.
Chiudo con una provocazione. Achille Lauro, per pubblicizzare il lancio del suo nuovo singolo “Midnight carnival”, ha invitato i propri fan ad infrangere, almeno una volta al giorno, una regola che non ritengono giusta rilanciando il motto “Eccesso. Follia. Rivoluzione”. Gli eccessi e la follia sono sotto gli occhi di tutti, non resta che sperare che, prima o poi arrivi, anche la Rivoluzione. Sicuramente quella non verrà trasmessa in diretta Rai grazie al finanziamento dei sindacati.
Corisco
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