Jo le Pheno e gli altri. Storia dei rapper messi sotto processo dallo stato francese
Il 27 settembre si terrà il processo del rapper francese Jo le Pheno, accusato di incitazione all’odio per il suo pezzo “Bavure”. È l’ennesimo caso di un cantante di musica rap portato a processo per i suoi testi.
Il pezzo di jo le pheno denuncia il ripetersi, da decenni, di crimini da parte della polizia nei confronti dei giovani dei quartieri popolari che restano puntualmente impuniti (uno degli ultimi casi, che risale a qualche mese fa, è quello di Théo, violentato da un poliziotto, un altro caso recente è quello di Adama Traoré, che nel luglio dell’estate scorsa è morto durante un controllo di polizia)
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♫ « Quante morti? non si contano più. dove sono gli sbirri? Li prenderemo a botte / chi si rivolta aspetta, sta per esplodere / i quartieri sono scatenati, pronti a mangiarseli / non vogliono bere latte a colazione ma solo mangiarsi qualche sbirro » ♫
Qualche mese dopo la notifica del processo, Jo le pheno ha fatto uscire un nuovo pezzo “Bavure 2.0” che suona come una risposta:
♫ « Quelli che si rivoltano mi hanno detto non mollare, continua a denunciare quei fascisti / datemi la multa, mai la pagherò / se mi date qualche mese, fuck, continuerò/ figli di puttana non mollerò / chiunque denuncia questi crimini lo sosterrò voi siete Charlie, io sono pazzo » ♫
Si tratta dell’ultimo di una serie di innumerevoli procedimenti giudiziari che colpiscono i rapper francesi da più di vent’anni. Il primo caso risale al 1995, quando fu messo alla sbarra il gruppo Ministère A.M.E.R. per il suo pezzo “Sacrifice de poulets” (“Sacrificio di polli”, in francese “poulet” è un’espressione gergale per indicare il poliziotto) composto per la colonna sonora del film L’Odio. Il gruppo è stato riconosciuto colpevole di “incitazione all’omicidio”, obbligato a pagare 250 mila franchi e costretto a sciogliersi.
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Un anno dopo, uno dei membri del famoso gruppo NTM, attaccato più volte per dei pezzi come « Mais qu’est-ce qu’on attend pour foutre le feu? » (« Ma cosa aspettiamo per appicciare il fuoco?”), o « Police », viene condannato a 3 mesi di carcere con la condizionale per aver gridato durante un concerto “Nique la police!” e “Gli uomini in divisa blu sono i nostri nemici”. È il periodo dell’affermarsi del Front national, il partito di estrema destra contestato fin da subito da NTM.
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Nel 2002, nuovo processo contro Hamé, mc del gruppo La Rumeur. La denuncia viene presentata direttamente da Nicolas Sarkozy, allora ministro degli Interni. In causa, una dichiarazione di Hamé espressa in una sorta di manifesto che accompagna l’uscita del loro disco:
♫ « I rapporti del ministero degli Interni ignoreranno sempre le centinaia di nostri fratelli uccisi dalle forze dell’ordine e per i quali mai un assassino è stato condannato » ♫
Sarkozy denuncia Hamé per “diffamazione” segnando l’inizio di un percorso giudiziario che durerà ben otto anni che vedrà finalmente il rapper prosciolto da ogni accusa. Nel frattempo la Rumeur non molla e continua a pubblicare un album ad ogni elezione presidenziale, con una scrittura sempre più potente, affermando la propria partecipazione al dibattito pubblico, rivendicando di essere una voce che conta.
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♫ « Mentre la censura ci prova in tutti modi, i sindacati di porci (sbirri) invocano la sorte per spiegare i loro ingombranti “abusi” e convocano per noi il loro stato maggiore… » ♫
Un anno dopo, Sarkozy se la prende con un’altro gruppo, Sniper per il suo pezzo “La France”.
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♫« La legislazione è fatta per distruggerci, fratelli dietro alle sbarre e ora pensano che ci arrendiamo. Non siamo illusi, siamo carichi, missione : sterminare ministri e fascisti. Perché oggi non serve a niente urlare o parlare ai muri, sembra che l’unico modo per farci sentire sia bruciare macchine. / Fa piacere a questa cosidetta democrazia se ci divoriamo tra di noi, davanti agli occhi di un popolo addormentato » ♫
Nel 2005, anno delle sommosse che incendiarono le periferie parigine (e non solo), sono quasi 200 i deputati e i senatori che si associano per trascinare in tribunale sette gruppi rap : Ministère A.M.E.R. (nonostante il gruppo si è, di fatto, sciolto alla fine degli anni 90…), Fabe, Salif, Lunatic (anch’esso dissolto nel 2002…), Smala, Monsieur R e 113. La denuncia è per “incitamento al razzismo” anti-bianchi. È in quel momento che l’idea di “razzismo anti-bianchi”, oggi tanto in voga, emerge nel discorso politico. La denuncia viene però rigettata delle istanze giudiziarie.
Nel 2011 un deputato chiede di nuovo il “controllo di certe opere musicali” dai testi “violenti e misogeni” scritti da “alcuni gruppi rap dalle origini immigrate”. Nel 2013 è il turno di Manuel Valls (primo ministro del socialista Hollande) di dichiarare di voler denunciare gli autori che hanno propositi “insultanti” contro i “simboli delle Repubblica, lo Stato e i suoi funzionari”. Infine, proprio quest’anno, durante la campagna per le ultime elezioni presidenziali, un candidato dichiara voler fare vietare la “musica negra” (un pezzo dei rapper Kerry James, Lino e Youssoupha intitolato “Musique nègre” risponderà a quest’ultima provocazione).
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I casi sarebbero ancora molti da elencare, ma è importante invece fare un’altra riflessione. I processi intentati contro i rapper francesi hanno anche come oggetto insulti alla dignità delle donne. Tra i cantanti attaccati non ci sono solo quelli che insultano la polizia, ma anche quelli di cui i testi se la prendevano pesantemente col genere femminile. Qui però, molte compagne – di cui faccio parte – hanno sottolineato quanto anche questi attacchi fossero in realtà frutto di processi di classe (e di razza). Perché se il rap è considerato sessista, non lo è in realtà molto più del rock. Designare i giovani di periferia come principali fautori del sessismo nella società occidentale contemporanea ha in realtà uno scopo ben preciso volto a nascondere il “sessismo legale”, magari quello che si esprime in televisione o negli ambienti più “progressisti”, e permettere al contempo di costruire una figura molto utile, quella dell’uomo “di banlieue” – e quindi dell’arabo e del nero – come soggetto sessista e pericolosa per essenza, che costituirebbe la minaccia principale al modello culturale occidentale.
L’attacco contro il rap in Francia è infatti anche di tipo culturale, le critiche arrivano anche da figure intellettuali e non solo da politici. Il rap continua a non essere riconosciuto come un genere musicale legittimo, tantomeno come arte, la cultura dominante si accanisce sopratutto sul suo linguaggio. Una lingua troppo esplicita, troppo volgare, ma anche troppo strana perché “parla ai suoi” ed è comprensibile solo da una certa categoria di popolazione. Spesso infatti, la lingua del rap è segnata dal parlato di “banlieue”, uno slang complesso e dinamico (che le traduzioni qui proposte non possono purtroppo rendere…). Un modo di parlare che fa spesso subire discriminazioni a chi proviene dai quartieri popolari. Il rap sarebbe la lingua degli “analfabeti”, come affermava l’intellettuale di estrema destra stramediatizzato Éric Zemmour (e anche intellettuali più “frequentabili” hanno sempre sostenuto questo discorso). Anche qui, molti rapper hanno risposto nei loro testi a questo discorso infamante, rivendicando le proprie forme di espressione. Cosi, la rapper Casey, conosciuta per i suoi testi particolarmente radicali sul rimosso coloniale, intitola un pezzo “Apprends à t’taire”, “Impara a tacere”, rappresentando la violenza subita da chi non si esprime “come si deve” :
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♫ « È incomprensibile, la tua grammatica è instabile, la tua dizione supera l’innamissibile / la tua lingua è debole, la tua carriera vulnerabile / cosa? a casa tua non c’è il dizionario? dai, impara a scrivere o impara a tacere » ♫
Certo, la storia dei rapper perseguitati dai tribunali non è solo una storia francese. Qualche anno fa, il pezzo “Boulicia kleb” (Polizia cani) era costato la prigione al giovane rapper tunisino Weld El 15. Ma l’accanimento particolare da parte dei politici e della giustizia francese (e il disprezzo del mondo intellettuale) rivela un’ossessione contro un certo tipo di popolazione “dalle origini immigrate”, questi ingombranti francesi non-bianchi che la Repubblica non vuole vedere… né sentire.
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Ultimamente le accuse portate al rap evocano il pericolo terrorista e i rapper che osano rivendicarsi dell’islam, come Médine, sono immediatamente denunciati da ogni frangia della destra, estrema o repubblicana, come dalla sinistra. Gli attacchi al mondo del rap si sono così spostati dalla costruzione di “moral panic” intorno alla categoria del giovane di banlieue alla categoria puramente razziale/religiosa, utile ad alimentare l’immaginario del “nemico interno”.
In Francia, insomma, c’è una scena rap che combatte da almeno tre decenni, facendosi di fatto portavoce di una Francia che stona nel quadretto idilliaco della République. Il rap non si limita a testi incendiari contro i poliziotti ma produce una critica di tutto un sistema che mette ai margini interi pezzi di popolazione, che costringe alla miseria, che reprime e che rifiuta di confrontarsi col suo passato coloniale. Questa cultura musicale, altro che minoritaria, fa parte della cultura francese e continua a partecipare in modo esplosivo al dibattito pubblico, prendendo parte, denunciando, facendo appelli alla ribellione, ma anche dando il suo contributo nel portare avanti la memoria delle lotte. Oggi, dei rapper come Médine, Youssoupha, Sofiane, Kerry James, Casey, Jo le Pheno… continuano a prendere posizione e a pagarne le conseguenze.
L. G.
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♫ Chi sono i criminali?
Chi sono quelli dietro le sbarre?
A scuola ci impongono modelli
Ma la vita rivela
La vera natura dei figli di troia che ci governano
Neanche una parola sul crimine quando è lo Stato che assassina
Ti opprimono e se non funziona ti sopprimono
Ecco come la polizia si esprime
Nessuno di noi vuole finire come Malek Oussekine [studente franco-algerino ucciso nel 1986 da un poliziotto durante un corteo]
Big bang, la polizia è una gang
Dall’Africa nera, al Maghreb, alla Corsica all’Irlanda,
Le minoranze si alzano, il nostro sangue viene della stessa fonte
E per questo non c’è tregua ♫
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