Crowdfunding • Ma chi ha detto che non c’è
MA CHI HA DETTO CHE NON C’È – 1977 l’anno del big bang
il nuovo libro di Gianfranco Manfredi in uscita a settembre 2017
Ma chi ha detto che non c’è è una canzone d’amore che racchiude in sé molte contraddizioni e utopie, ma non si tratta solo di desiderio per qualcosa che forse un giorno ci sarà e che noi non vedremo mai.
Qui, adesso, quello che c’è prendilo tutto.
Questa canzone è stata forse la più importante del 1977 italiano, sicuramente quella che meglio ha raccontato gli amori travolgenti, lo splendore e la ferocia di quei 12 mesi. Un vero e proprio manifesto esistenziale e poetico su un periodo carico di significati che l’autore ha vissuto da protagonista e che, con maestria, ha saputo riassumere in una canzone.
Ma chi ha detto che non c’è ora è anche un libro sul 1977, una serie di affreschi letterari per capire e immergersi nelle ragioni di un movimento complesso e visionario, denso di creatività, negazioni e conflitti radicali.
Un big bang, una rivoluzione irrisolta che ha in sé le chiavi del nostro futuro.
La copertina è stata realizzata da Elfo.
Per una realtà come Agenzia X avere in catalogo un libro scritto da uno dei più efficaci narratori contemporanei rappresenta un passo importante, ma anche un difficile impegno finanziario e di risorse.
LA PREVENDITA
Ma chi ha detto che non c’è – 1977 l’anno del big bang, a differenza di molte altre pubblicazioni sullo stesso argomento, ci restituisce i mille piani intrecciati di immaginazione, rivolta e pratiche concrete. Si tratta di un libro di 500 pagine, un impegno economico importante per una piccola realtà editoriale come Agenzia X.
Agenzia X e Gianfranco Manfredi vi chiedono di acquistare in anteprima il libro che uscirà ai primi di ottobre 2017, oppure di sostenere questo progetto attraverso le 5 proposte di sovvenzionamento che troverete su:
http://sostieni.link/15139
Qui sotto troverete un testo di narrativa a puntate che scriverò a sostegno della campagna di prevendita del nuovo libro in uscita a settembre di Gianfranco Manfredi.
Con queste puntate che pubblicherò a distanza di qualche giorno una dall’altra è mia intenzione spiegare anche le ragioni per le quali il 1977 ha ancora molto da dire ai nostri giorni.
Prima puntata
Nel 1977 avevo 15 anni e non capivo un cazzo di quanto che mi stesse succedendo intorno. Frequentavo il secondo anno in un istituto tecnico di periferia in cui vigeva il regime del sei politico, c’erano picchetti per impedire l’entrata a chi non partecipava ai cortei, occupazioni e l’autogestione delle lezioni. L’aula magna era un luogo magico di assemblee infuocate e nottate dionisiache tra sacchi a pelo, chitarre e primi registratori a cassette. Fu lì che imparai a fare sesso e fumai la prima canna. Fu lì che ascoltai, per centinaia di volte insieme a una mandria di ragazzini selvatici, “Ma chi ha detto che non c’è”, la canzone di Gianfranco Manfredi.
Seconda puntata
Ma cos’era? Una canzone d’amore? Mi chiedevo mentre un’amica mi proponeva una sveltina nell’aula professori occupata, dove c’era un bel divano. “Sta nel fondo dei tuoi occhi, sulla punta delle labbra”, cantava Manfredi e per noi il significato era ancora un mistero. Per capirlo meglio ci eravamo portati dietro il mangiacassette per riascoltare quel brano ancora una volta e naturalmente un piccolo spinello per allargare gli orizzonti. Fino alla frase “nel profondo del tuo ventre” erano stati momenti perfetti tra me e lei, ma a quel punto, non si poteva “attendere il mattino”. Dovevamo tornare al più presto nel trambusto dell’aula magna. L’azione chiamava. Un compagno del quinto anno che se la tirava da maoista urlava forte nel microfono che per fare la rivoluzione ci voleva organizzazione, demagogia e attacco. “Il sogno realizzato” si faceva con “il mitra lucidato”? Cercavo delle spiegazioni in quel testo, ma più tentavo di decifrarlo e più mi incasinavo. Cosa voleva dire “nella gioia e nella rabbia” e soprattutto, qual’era la “gabbia da distruggere”?
Terza puntata
“Nella morte della scuola” era un concetto che capivo benissimo. Ero in un istituto tecnico con il 99 per cento di maschi, per incontrare un po’ di donne si doveva per forza occupare, così arrivavano quelle del commerciale o addirittura le liceali. Le lezioni e i professori erano a dir poco noiosi rispetto a tutto il resto. La scuola era solo da ammazzare. “Nel rifiuto del lavoro” era invece per me una frase incomprensibile. Gli unici disoccupati che conoscevo non se la passavano molto bene, anzi. Forse Manfredi si riferiva a una vita libera dal denaro in cui tutti se la spassavano? Boh… Sarebbe stato troppo bello. Se provavo a chiedere lumi a quelli di quinta sentivo versioni contrastanti tra leninisti, fioruccini e stalinisti che allora erano come delle bande di strada in West Side Story. Poi chi avrebbe mai potuto fare vestiti, costruire auto e lavatrici se “la fabbrica è deserta”? Eravamo nel mondo dei sogni, senza alcun dubbio. Poi vai a dire a mio padre che vorrei vivere in “una casa senza porte”.
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