Csa Murazzi: fuori regola per vocazione
L’assessore Ilda Curti tiene a sottolineare che il comune ha reiteratamente chiesto che il sequestro venga eseguito, mentre il suo collega Passoni chiama in causa il prefetto, sostenendo che l’intervento volto a mettere fine a questi 25 anni di dissenso deve essere deciso secondo le esigenze “dell’ordine pubblico”. Fassino temporeggia: non chiedendo il dissequestro per le arcate occupate, dopo averlo ottenuto per tutti gli altri locali, cede la patata bollente alla magistratura, da fiero combattente qual è… La soluzione sarà, come si era tentato nel 2013 con la muratura della struttura, l’aggressione poliziesca al centro sociale? Vedremo. Intanto i giornali asserviti invocano “il rispetto delle regole”: decine di altri locali, che tenevano viva la festa lungo il fiume fino al 2012, hanno dovuto chiudere i battenti perché accusati dal pm Padalino (un simpatizzante della Lega Nord che coordina, tra l’altro, le peggiori inchieste contro il movimento No Tav) di non obbedire ad alcuni dettami in materia di costruzioni, impianti sonori, dehor, orari di apertura, somministrazione di bevande, ecc. (L’inchiesta aveva toccato anche Chiamparino, guarda caso archiviato a ridosso della campagna elettorale …).
Eppure, in città sono in molti a credere che i Murazzi, se ridotti a pseudo-spiaggia senza musica e senza energia, se li potrebbe davvero tenere il sindaco. Per questo l’ondata di spettacoli che attraverserà il centro sociale da venerdì vuole essere anche uno stimolo a pensare non soltanto i Murazzi, ma la città intera diversamente da come la vorrebbero gli spacciatori di “regole” e ricettatori di “permessi” annidati in Sala Rossa o al palazzo di Giustizia. Sarà un omaggio a tutto ciò che eccede tanto i calcoli di questi burocrati quanto i progetti degli speculatori che si celano dietro le loro firme. Torino attraversa processi di cambiamento importanti. Essi non sono il frutto della natura o del destino, ma di interessi privati o sociali (molto spesso tra loro in conflitto) di chi abita il territorio: le migliaia di giovani (e meno giovani) che vendono il loro lavoro (fisico, creativo, intellettuale) investendo spesso ciò che gli resta nella produzione di cultura, socialità e avventura, e forme di espressione e contaminazione, e poche decine di predoni che hanno accumulato in questi anni, sulla pelle di tutti noi, i milioni necessari a farsi firmare carte e permessi, contratti e cessioni di ciò che gli serve a mortificare la città.
Tendenze, novità, tradizioni, bisogni primari: tutto ciò che sostanzia la vita reale di Torino, fuori dalle limitate descrizioni del potere, è in questi anni oggetto dell’assalto indiscriminato degli squali di cui Fassino e Padalino curano gli interessi. I due anni di deserto ai Murazzi, come le lotte contro gli sfratti, le proteste dei Campus Invaders o l’attuale controversia sul destino della Cavallerizza Reale, sono espressione di questa tensione. Il modo in cui viviamo le nostre vite, di notte come di giorno, è terreno di contesa fondamentale per i detentori della rendita capitalista sulla metropoli. La compagnia di San Paolo e i suoi alleati plasmano la città come una torta, mirando a disciplinare non soltanto le vite al lavoro, o i tempi formalmente sottratti al lavoro, ma le stesse modalità, le direzioni e le forme del consumo metropolitano. Estrarre profitto è un’attività che si perfeziona rendendosi efficiente nell’imposizione dei tempi e dei luoghi, degli orari, nell’eliminazione dei rischi legati all’imprevisto da cui sbocciano le nostri migliori esperienze: tutto deve assumere il bioritmo di un’enorme catena di montaggio consumistica, di estensione metropolitana, che non tollera non soltanto la diversità o l’originalità, i ribelli o gli scontrosi, ma neanche i “giovani” e la “movida”, perché soltanto “famiglie” e “turisti” devono contendersi le vasche lungo il fiume (e dire che ci son sempre stati entrambi, ma adesso dovrebbero limitarsi – chissà perché – a guardare il circolo canottieri da una sdraio).
Queste sono le “regole”, ben al di là dei provvedimenti amministrativi, entro cui comune e procura intendono restringere i Murazzi, seguiti da alcuni locali e associazioni (spesso obtorto collo e senza entusiasmo, perché chiunque vede la malafede e l’incapacità, oltre che la disonestà, dei funzionari comunali). Chiaro che il CSA non rispetta queste regole, e non semplicemente perché è un’occupazione formalmente sotto sequestro, ma perché è nato e vive con l’obiettivo di stare fuori e contro le regole del mondo in cui si trova e che in questi 25 anni si è affermato: essere “fuori regola” è, per i ribelli del Po, scelta e vocazione.
Basterebbe ascoltare le strofe nate tra le sue mura, o cantate mille volte al suo interno, per farsi un’idea di cosa ha resistito in questi 25 anni: dalla protervia dei Fucktotum (“Siamo in tanti assai diversi/piemontesi ciucchi persi/calabresi e mustafà”) all’immediatezza dei Mirafiori Kids (“Dalla giungla d’asfalto si impara una cosa sola/o trovi un posto di lavoro, o ti procuri una pistola”), tutto il patrimonio musicale che è passato per il Csa allude ad una concezione “irregolare” del mondo. Ogni fase musicale che abbia atteso o cavalcato il giro di millennio si è specchiata nelle sponde del fiume alla sua altezza, sempre insinuando il seme del ricordo, della promessa o dell’indefinito tra una nota e l’altra: dal Partigiano John (che fu cantata subito prima, nel 1996, che un corteo guidato dal centro sociale cacciasse la Lega Nord dal Lungo Po tra barricate e auto della polizia ribaltate: “Ha settant’anni e tornerà/ad abbracciare il suo fucile, se deve andrà/è un partigiano e lotterà”) alle ispirazioni dei primi Subsonica (“Sorrido fuori tempo/non riesco ad adattarmi e galleggiare”) fino ai versi odierni di Errico canta male: “Feticisti delle vetrine/non ci metterete sotto/tenete pure la ragione/perché agiremo in torto”.
Se proprio non bastasse, si osservi il grande ritratto di Lenin vergato a bombolette spray sulla parete interna, o i colori delle bandiere palestinesi, e No Tav, per capire che chi ha occupato e fa vivere questo luogo non intende sottomettersi all’uniformazione culturale prodotta per il profitto, per il semplice motivo che esiste – come giustamente ha detto qualcuno – con il semplice e chiaro obiettivo di contrapporsi alla società capitalista e alle sue istituzioni, a cominciare da quelle – miserabili e decrepite – della città di Torino. Immergersi nell’incredibile miscuglio sociale, linguistico e di stili (non di rado improbabili e involontari, mai patinati, talvolta ruvidi) delle serate più affollate al CSA permette di comprendere che esso condensa un pezzo importante del potenziale di irrequietezza proprio della Torino proletaria di oggi come di quella di ieri: un pezzo di città che è tanto più pregevole perché godibile in questa sua versione eccentrica, spiazzante e sorprendente.
Non possiamo sapere come finirà questa storia, ma festeggiamo con piacere il modo in cui è durata fino ad oggi. I nemici del Csa hanno un vantaggio: poter contare sulla disarticolazione profonda dei soggetti urbani, tanto più sul terreno della riproduzione, dei tempi liberi incanalati nell’aggregazione temporanea e nel consumo. Le masse della movida, che spesso condividono bisogni e vissuti sul piano delle condizioni di sfruttamento, difficilmente riescono a coalizzarsi su un terreno così avanzato come quello dell’autonomia dei piaceri, se non in maniera estemporanea e contingente. Eppure, il vantaggio di chi vuole resistere in questa lotta ad armi impari è – per un paradosso – proprio il capovolgimento di questa circostanza: poter scuotere, come in altre occasioni, le arterie del tessuto “giovanile” di vecchia e nuova generazione con modalità (e soprattutto costi politici) senz’altro imprevedibili per il nemico. Il CSA è stato in questi venticinque anni un baluardo, insieme a tanti altri, della Torino che non ha chinato il capo e non ha rinunciato alla sua dignità negli anni della deindustrializzazione selvaggia, come in quelli – attuali – della sua criminale svendita finanziaria. Anche stavolta, andrà così. Passate per il compleanno: è il compleanno di tutti, se si esclude chi abita le tristi stanze che nulla sanno, né possono sapere, di questa rabbia antica e di quest’energia.
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