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Dove viaggia il premier

 

Paradiso dei petrodollari, inferno del lavoro e dei diritti civili

Dove viaggia il premier. La missione di Letta in paesi con centinaia di migliaia di “schiavi”, donne oppresse e minoranze senza voce. I rapporti di Human Rights Watch, Ilo e Walk Free Foundation.

Con il piglio dell’agente di com­mer­cio, il Pre­si­dente del Con­si­glio Enrico Letta cerca di aggan­ciare le nostre imprese, pri­vate e pub­bli­che, a quell’immenso ser­ba­to­rio di miliardi di dol­lari che è il Golfo e di atti­rare gli inve­sti­menti dei petro­mo­nar­chi arabi annun­ciando un «piano di pri­va­tiz­za­zioni» in Italia.

In nome della «ripresa», Letta dimen­tica che l’Italia si pre­para a fare buoni affari con Paesi che vio­lano siste­ma­ti­ca­mente diritti umani, poli­tici, del lavoro e pren­dono parte attiva alla desta­bi­liz­za­zione (armata) di altri Stati della regione (e non solo).

Tanto per comin­ciare il pre­mier potrebbe chie­dersi per­ché gli studi della tv sau­dita al Ara­biya, dove ha con­cesso un’intervista tutta miele, siano stati aperti negli Emi­rati e non in Ara­bia sau­dita. Sco­pri­rebbe che la scelta è stata obbli­gata, per­ché a Riyadh uomini e donne, con raris­sime ecce­zioni, non pos­sono lavo­rare assieme nello stesso luogo. Senza dimen­ti­care le for­tis­sime resi­stenze nel regno dei Saud all’apparizione in video delle donne. Divieti che sono spie­gati come «tra­di­zioni da rispet­tare» ma che rap­pre­sen­tano vio­la­zioni di diritti della persona.

Ancora più gravi sono le leggi anti-terrorismo. Secondo la monar­chia Saud, di fatto, è un ter­ro­ri­sta qual­siasi cit­ta­dino che chiede riforme e diritti. Una norma in vigore da qual­che giorno sta­bi­li­sce che chiun­que sia impe­gnato a «minare» la sta­bi­lità del regno sarà pro­ces­sato per ter­ro­ri­smo, reato che è punito seve­ra­mente in un Paese dove si appli­cano in abbon­danza la pena di morte e le puni­zioni corporali.

Per il mini­stro sau­dita della cul­tura e dell’informazione Abdel Aziz Khoja que­sta nuova legge crea un «equi­li­brio tra la pre­ven­zione dei reati e la tutela dei diritti umani secondo l’Islam».
Letta dovrebbe pren­dere in mano il rap­porto pub­bli­cato lo scorso 30 dicem­bre da Human Rights Watch. Dal 2011, scrive Hrw, Riyadh ha per­se­guito un numero cre­scente di atti­vi­sti per i diritti umani incar­ce­rati per «disturbo dell’ordine pub­blico». Un atti­vi­sta, Fad­hil al-Manasif, è sotto pro­cesso per aver preso con­tatto con agen­zie di stampa straniere.

Non va molto meglio negli Emi­rati arabi uniti, tanto lodati dal pre­mier ita­liano, dove si può finire in car­cere per «cyber­crime». Decine di per­sone sono state arre­state in que­sti ultimi due anni per aver postato sui social net­work com­menti cri­tici verso gli emiri o che fanno rife­ri­mento a gruppi isla­mi­sti che il governo ritiene una minac­cia. Gli Emi­rati defi­ni­scono reato deri­dere o cri­ti­care lo Stato e le sue isti­tu­zioni e orga­niz­zare mani­fe­sta­zioni di pro­te­sta. La pena è la pri­gione per un minimo di tre anni. Non è certo migliore la situa­zione in Qatar, Bah­rain. Kuwait e Oman.

Dram­ma­tico è anche il qua­dro nel mondo del lavoro. Un rap­porto dif­fuso lo scorso autunno dalla ong Walk Free Foun­da­tion denun­cia che circa 100 mila lavo­ra­tori sono tenuti in con­di­zione di schia­vitù dai petro­mo­nar­chi. Gli «schiavi» nel Golfo sono 95.411, scrive la Wff, in mag­gio­ranza in Ara­bia sau­dita (57.504), negli Emi­rati arabi uniti (18.713) e nel Kuwait (6.608). Si tratta di per­sone, molto spesso stra­niere, che sono vit­time di traf­fico di esseri umani, di matri­moni for­zati, di situa­zioni debi­to­rie, di sfrut­ta­mento di minori.

A ini­zio 2013 l’Ilo, l’Ufficio inter­na­zio­nale del lavoro, aveva denun­ciato che in Medio Oriente circa 600 mila migranti sono costretti al lavoro for­zato (i migranti nella regione sono oltre 2 milioni). A gui­dare la spe­ciale clas­si­fica dello sfrut­ta­mento del lavoro manuale è il Qatar, dove il 94% dei mano­vali è for­mato da stra­nieri. Doha è for­te­mente cri­ti­cata per le duris­sime con­di­zioni a cui sono sog­getti i lavo­ra­tori asia­tici impe­gnati nei can­tieri degli stadi per i Mon­diali di cal­cio del 2022.

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