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Fino alla vittoria! Fino alla fine! Sul caso di Kostas Sakkas

Lo sciopero della fame di una persona incarcerata ingiustamente e tenuta in prigione illegalmente è stato considerato da molti come un urlo di dolore contro il modo di applicazione della giustizia. Potrebbe anche esserlo, se la carcerazione illegale di Kostas Sakkàs fosse una semplice deviazione di un sistema di attribuzione della “giustizia”. Ma non è così. Al contrario, è il vero volto di un regime legale. Facilmente ci si può rendere conto del fatto che le migliaia di pagine che formano le regole della giustizia non sono altro che uno straccio consumato, che finisce nella spazzatura ogni qualvolta non fa comodo a governi di estrema destra composti da stupidi paesani, da lobby di giudici corrotti, da appalti e favori nascosti dietro una vetrina di dubbia estetica.

Kostas Sakkàs ha 29 anni. Appartiene alla generazione che solo i disfattisti tristi chiamano “persa”. La generazione che ha mangiato più lacrimogeni che cibi buoni, che ha trascorso più tempo nelle aule dei tribunali che negli spazi di divertimento, la generazione che ha preso i pochi soldi che le venivano offerti e li ha rifiutati ridendo, mentre costruiva la propria condizione e la propria politica in ogni angolo del paese, in ogni angolo che aveva a disposizione, senza bisogno di essere difesa dagli attacchi del regime.

Appartiene a quella generazione che questo regime vuole vendicare, perché essa è composta da chi lo ha ridicolizzato molte volte e senza fine. È quanto cercano di mettere in atto con tutti i mezzi a loro disposizione, dall’arbitrarietà legale fino ai cani statali e parastatali di Alba Dorata, senza riuscirci, perché ricevono come risposta l’ironia e le risate. E così assomigliano a ciarlatani in preda al panico, che ricorrono alla mossa successiva in modo incostante, ricominciando il cerchio da capo, con le risate che si sentono ogni volta di più. Kostas Sakkàs dalla finestra dell’ospedale non piange. Alza il pugno e urla, strofinando sul viso di ogni Dendias [Ministro dell’Interno, n.d.t] l’intenzione di svalutarlo in qualcosa che vale meno di un essere umano, privo di diritti. Fin quando sarà costretto a rifiutare la sua esistenza e la sua identità.

È noto che ogni sciopero della fame, indifferentemente dal suo esito, taglia di anni la vita dello scioperante. Con questo dato di fatto, anche la triste prospettiva della morte elude dalla pietà della sorte e diventa oggetto di organizzazione strategica. Lo stato vuole tenere rinchiuso un Sakkàs sano, formalmente vivo, perché non sia l’idolo morto che fa da esempio a chi sceglie le Altre strade nella società dell’obbedienza. Lui vuole se stesso fuori dal carcere, ma non gli basta questo. Vuole anche schiacciare la politica dell’esempio che usa il corpo come canale per la sua applicazione. È proprio questo lo sfondo che ci fa dire che in questo momento Sakkàs non si sta auto-distruggendo, ma sta usando tutte le armi a sua disposizione, essendo un militante politico che rivendica e non una “vittima” che implora.

Quando i media dicono che lo scioperante della fame Kostas Sakkàs “nuoce al suo corpo”, finendo così per rappresentarlo come una “persona scarsa”, cercano di creare lacrime là dove lui chiede rabbia. Τravisano la sua volontà, uccidendo una persona prima che sia il suo momento. Una persona che con questo suo atteggiamento diventa più viva che mai, controllando i termini della sua esistenza molto meglio di tutti coloro che preferiscono piangere invece di agire, che scelgono la sottomissione della volontà, l’apatia di quella magica spiritosaggine che abbiamo visto in varie occasioni mostrarsi intorno a noi. Questa magica spiritosaggine che si chiama vita e che, nel caso in cui nessuno l’ha notato, è un ciclone particolarmente multiforme.

“Dai! Fino alla vittoria! Fino alla fine!”

di Normo Gin

Fonte: luben

Traduzione di Atene Calling

Il video del presidio sotto l’ospedale in cui è detenuto Kostas Sakkas e la sua reazione da dietro le sbarre della finestra:

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