Ilia Kareli torturato e ucciso in carcere [Le immagini delle torture]
è perché suonano più dolci, e l’orrore
non si discute perché è vivo
perché taciturno incede”
(Ghiorgos Seferis, Ultima Fermata)
Ilia Kareli era un uomo di origine albanese, detenuto in Grecia. La settimana scorsa ha ucciso a coltellate un secondino del carcere di Malandrino. Pochi giorni dopo l’omicidio è stato trovato morto nella cella della prigione di Nigrita, dove era stato trasferito. In queste ore stanno iniziando a trapelare le prima notizie su questa seconda morte.
Orrore. Le immagini delle torture subite da Ilia Kareli registrate dalle telecamere a circuito chiuso del carcere di Nigrita aprono una finestra su un sistema chiuso e violento e rivelano il volto dell’orrore. Rivelano ciò che conoscevamo tutti, ciò che sussurravano tutti coloro che sono stati in carcere, ciò che i criminologi hanno studiato ma che lo stato fa finta di non vedere…e, cosa peggiore, che lo stato fa finta di non permettere.
Alle 3:45 del 27 marzo gli agenti penitenziari spingono Kareli nella “stanza d’accoglienza”.
Due ore e 45 minuti dopo lo trascinano seminudo e malridotto verso la sua cella, dove poco dopo esala l’ultimo respiro.
I fotogrammi del video del pestaggio nel carcere di Nigrita che ha spinto gli agenti del Servizio Affari Interni della Polizia Greca a identificare gli autori dei maltrattamenti.
Video e foto su tovima.gr
Ma è proprio lo stato che ha formato il sistema penitenziario del paese come un enorme e misero ripostiglio di anime e ha legittimato la barbarie nei confronti dei detenuti. Così abbiamo imparato che esistono corpi che contano e corpi che vengono semplicemente contati. Anche per quanto riguarda la perdita di vite umane si è distinto tra vite degne di essere ricordate e vite che non vale la pena piangere. In questo senso, il corpo di Kareli è stato semplicemente inserito in una lista nera sempre aperta di morti nelle carceri greche. La sua perdita è stata menzionata solo nell’ambito di un’ipocrita sorpresa sull’esistenza di “leggi non scritte” nelle carceri, come un’ “eccezione” e un “caso isolato”, e non è stata considerata degna di lutto, visto che nel discorso pubblico è stata allusivamente collegata al ricordo dell’omicidio dell’agente Ghiorgos Tsironis, come argomentazione legittimante per tutto ciò che è accaduto in seguito.
E va bene, quindi vedremo la notizia tra entusiastici articoli sul rientro del paese nei mercati e sul preannuncio della revoca della permanenza nel settore pubblico, sentiremo un nodo allo stomaco grazie al surplus di sensibilità rimastaci all’epoca dell’immiserimento generalizzato, seguiremo per un po’ la trasformazione del “guardiano nazionale” Aravantinos da gran sacerdote della corruzione nelle carceri in un personaggio televisivo che piange per i problemi psicologici degli agenti penitenziari e aspetteremo la proposta di legge del ministero della giustizia per le carceri di “massima sicurezza” che ci farà avere delle piccole Guantanamo ad ogni angolo del paese. Life goes on.
Solo che in questo percorso contiamo delle perdite, ci abituiamo all’orrore, impariamo a convivere con la barbarie e a non dispiacerci del fatto che, nonostante sia arrivata la primavera, ci sentiamo come se l’inverno non fosse mai finito. Il lutto che non è stato riconosciuto dalla società a Kareli e a centinaia di altri detenuti morti in carcere è il lutto per la democrazia.
Di Maria Louka
Fonte: stokokkino.gr
Traduzione di AteneCalling.org
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