Intervista a G. Battaglia di “China Files”
– E’ ormai opinione comune che la grande sfida della Cina di oggi, finita la prima fase delle riforme, consista nel trovare un motore capace di sostenerne la crescita economica anche in maniera indipendente dalle oscillazioni dell’economia occidentale. Con la crisi del 2008, il passaggio da un’economia export-led ad una guidata invece dal consumo interno sembra un imperativo per il PCC, riflesso anche in numerose dichiarazioni di chi si è alternato al potere. Concordi con questa lettura?
Si assolutamente. La Cina deve cambiare il proprio modello di sviluppo, per diversi motivi riassumibili in un concetto, quello cosiddetto della “trappola del reddito medio”. Un concetto economico che afferma che un’economia in via di sviluppo ad un certo punto raggiunge un livello in cui non è più competitiva. Si alzano i salari e quindi tutta l’economia orientata all’export, con l’aumento del costo delle merci esportate, perde la sua ragione di essere.
Infatti oggi chi vuole produrre manifatture a basso costo non va in Cina, ma in altri paesi del sud-est asiatico; il problema è che si tratta di “trappola” perchè la Cina non è però arrivata ancora al livello delle economie più sviluppate, riguardo innovazione, consumi. La Cina è a metà del guado e deve quindi puntare tutto sul mercato domestico, che vorrebbe però dire creare una classe di consumatori che però in Cina ancora non c’è. Lo strumento che si vuole mettere in campo a questo scopo è un enorme processo di urbanizzazione, che dovrebbe creare un ceto medio disposto al consumo di massa.
– Difatti l’ultimo Plenum del PCC di novembre ha annunciato diverse riforme in potenza che dovrebbero andare a delineare questo scenario. Uno dei punti toccati è quello riguardante la disciplina dell’hukou, il sistema di registrazione della residenza che permette solo a chi è residente in un luogo di ottenerne i servizi di welfare (la quasi impossibilità di poter cambiare la propria residenza in Cina è alla base ad esempio delle pessime condizioni di vita e dell’enorme sfruttamento dei lavoratori migranti) Cosa c’è stato di concreto da novembre in poi, a livello di reali implementazioni? La scelta di Xi Jinping di accentrare a sé il coordinamento e l’implementazione di queste riforme che senso politico ha?
Il processo di accentramento da parte della leadership, a mio avviso, rivela che la volontà di procedere con le riforme è seria; perchè il più grande ostacolo sulla via di queste sono gli interessi costituiti soprattutto all’interno delle grande aziende di stato, che hanno poi molti agganci all’interno della dimensione politica.
Se mettiamo di fianco la creazione del nuovo Comitato per la Sicurezza Nazionale e la nuova Commissione Centrale per la messa in pratica delle riforme (che dovrebbe quindi “stare sopra” l’attuale Commissione Nazionale per le riforme e lo sviluppo) con la grande campagna anti-corruzione partita contestualmente alla salita al potere di Xi, vediamo che c’è un tentativo di abbattere tutte le resistenze alle riforme.
Cos’è stato fatto finora? Le uniche notizie che giungono sono quelle di sperimentazioni in corso. Un inciso: la Cina funziona in maniera diversa dalle nostre liberaldemocrazie. Da noi, almeno in teoria, una macropolitica viene decisa dallo stato, poi si fa una legge che ha un preciso dettato e su quel dettato successivamente si implementano politiche e ricorsi a quelle politiche. In Cina non è cosi: fin dagli anni ’30 si è sviluppato un processo detto ” dal punto alla superficie”.
E’ un modello “scientifico” che si basa su sperimentazioni locali, dove la macropolitica è decisa dal PCC e in particolare dalla Commissione Permamente del Politburo. In seguito, le varie province locali provano a sviluppare dei progetti di attuazione che poi vincono o falliscono (le Zone economiche Speciali ad esempio erano esperimenti di questo tipo). In corso d’opera, in base ai successi delle sperimentazioni e alla capacità politiche di chi le mette in pratica a livello locale di sapersi legare politicamente ai poteri forti centrali, una politica avanza o si ferma, diventando o meno modello nazionale che poi è esportato negli altri luoghi.
Anche per queste riforme, noi non vedremo mai una definizione dettagliata di come si faranno: prima vedremo la sperimentazione, e poi eventualmente la sua ratifica legale. Per la questione hukou ci sono quindi sperimentazioni in corso: in città come Chengdu, Chongqing, di cui però attualmente non si sa il successo. Di sicuro però la questione hukou non può proseguire senza la riforma complessiva del welfare e dei diritti di proprietà della terra nelle campagne.
– Infatti sono molte le riforme che dovrebbero procedere contestualmente a quella dell’hukou. Ne cito alcune oltre a quelle che accennavi: riforma della fiscalità in riferimento al ruolo dei governi locali, riforma della proprietà in relazione alle requisizioni illegali di terra nei confronti dei contadini, sviluppo delle aree urbane delle zone non-costali del paese..
Sono tutte riforme collegate. Ad esempio Yukon Huang, ex responsabile Medio Oriente della Banca Mondiale, pensa che sia tutto un problema fiscale, di bilancio. In Cina c’è un sistema fiscale molto sbilanciato, per il quale di tutte le tasse il 50% va al governo di Pechino, che ne reinveste sul territorio solamente il 15% dell’ammontare complessivo dei progetti di sviluppo locali. Il restante 85% lo mettono i governi locali, a cui vanno tasse che ammontano solo al restante 50%, e per questo si trovano in cronico indebitamento.
A questo si unisce il fatto che Deng, all’inizio del suo programma di riforme, cercò di cambiare la mentalità dell’apparato dei funzionari statali, che erano uomini scelti su base politica ai tempi di Mao e che nei progetti di Deng dovevano diventare una sorta di manager. Si lancia così lo slogan “Arricchirsi è glorioso!” al quale però si affianca un altro slogan sottovalutato che era “Qualcuno si arricchirà prima di altri!”. Comincia così la storia della Cina capitalista di oggi, dove decine e decine di funzionari locali – tramite i primi effetti della crescita e pratiche di corruzione diffuse – si arricchiscono e diventato il primo embrione di ceto medio cinese.
Da quel momento in poi questi funzionari vengono giudicati solo in termini di crescita del PIL; unendo la necessità di raggiungere elevati livelli di PIL al fatto di aver poche risorse dalla tassazione, nasce il fenomeno del classico funzionario corrotto e cattivo. L’unico modo per fare soldi è la terra; l’istituzione dal 1958 delle comuni popolari era un problema, perchè portava i terreni ad essere di proprietà collettiva, dati in gestione ai contadini. Ma con lo smantellamento delle comuni, le terre tornano ad essere delle municipalità. Che al giorno d’oggi le requisiscono e le vendono ai palazzinari.
Torna tutto: il PIL si alza, le casse si riempiono e magari arrivano anche le mazzette e appoggi ai livelli alti. Ad uscirne male sono solo i contadini, ma ci sono dei ma. Molto spesso quando si è data possibilità ai contadini di cambiare hukou in cambio della cessione del loro terreno, questi non l’hanno fatto; perchè anche se espropriati dei loro terreni, preferiscono andar nella città a raggranellare più soldi che possono e poi in momenti di crisi tornare a casa e beneficiare delle poche forme di welfare che questo gli garantisce ancora.
– Altro tema al centro del dibattito politico è la questione dell’inquinamento e delle ricadute di questo in termine di conflitti sociali, ma anche di crescita distorta dell’economia sotto forma di costi aggiuntivi sul PIL. Un problema che riguarda anche gli stessi contadini, perchè le terre che questi coltivano sono sempre più improduttive: fenomeno che potrebbe essere invece un incentivo al cercare di ottenere l’hukou urbano nonché mettere a rischio la stabilità.
Inanzitutto va detto che il PIL è un meccanismo antiquato, che ad esempio mette alla voce “più” sia il profitto dell’azienda che inquina il lago sia di quello che lo bonifica. In Cina non ci si è resi conto in fretta dell’enorme problema ecologico, tanto che alcuni analisti lo ritengono già irresolvibile: ed è un problema che non riguarda solo aspetti risaputi come quello dell’aria, ma anche quello del suolo, che implica rischi su cosa si mangia, su cosa si beve, su dove si è costruito il patrimonio immobiliare.
Anche questo problema è indicativo del fatto che questo modello di sviluppo non può essere mantenuto: la Cina investe moltissimo sulle energie alternative, ma non basta rispetto ai consumi che si registrano nel paese. Bisognerebbe proprio invertire la rotta. Ad esempio nell’Hebei sono state spostate decine di centrali a carbone dell’area di Pechino; una loro chiusura avrebbe procurato diversi problemi sociali tra la popolazione. Problemi che il governo potrebbe affrontare riconvertendo queste aziende nel campo della produzione di energia rinnovabile. Cosa che però non sappiamo se vorrà o potrà fare.
– Cambiando argomento. Molto spesso in Occidente, almeno nelle narrazioni dei media mainstream, il PCC è visto come un monolite inscalfibile popolato da automi quasi privati di volontà. Qual è la realtà del dibattito interno al Partito, tra le fazioni che invece lo compongono e ne determinano gli indirizzi creando e disfacendo equilibri? Credi che ci siano degli avanzamenti rispetto alla libertà di espressione nel paese dovuti anche a questa presenza di fazioni?
Il PCC è un partito con 82 milioni di iscritti, il più grande del mondo. Al suo interno c’è di tutto: sia a livello ideologico (dai nostalgici del maoismo agli ultraliberisti) sia a livello di filiazione personale. Su questo piano si confrontano i cosiddetti “principini”, i figli dell’aristocrazia rossa (6 su 7 dell’attuale Politburo ne fanno parte, Xi Jinping compreso), e i cosiddetti “burocrati”, che hanno fatto tutta la trafila e che escono dalla Lega dei Giovani Comunisti (come ad esempio l’attuale premier Li Keqiang e il precedente presidente Hu Jintao).
Detto questo ci sono ulteriori differenze interne, talvolta impercettibili, che dipendono da interessi familiari e personali in varie industrie di Stato. Nel momento in cui ci sono cambi al modello economico, ci sono vincitori e perdenti. La campagna anti-corruzione di Xi Jinping va letta in questo schema: si vogliono colpire sì gli avversari politici, ma anche colpire quei potentati interni al partito e allo Stato che si oppongono a queste trasformazioni.
Si pensi ad esempio all’ex zar della polizia Zhou Yongkang, una delle persone più potenti di Cina a cui si sta facendo oggi terra bruciata intorno nei termini dell’esclusione di tutti i suoi uomini dai ruoli di potere nelle grandi aziende di Stato. Probabilmente verrà anche lui poi messo sotto processo; teniamo conto che era anche uno dei grandi protettori di Bo Xilai. Ad ogni modo, tutto questo ci dice che Xi Jinping è politicamente forte se può permettersi un tale accentramento di potere.
– Sono quasi 25 anni ormai dai fatti di TienAnMen. Spesso in Europa si parla di una Cina dove l’accesso alle informazioni su quanto successe è completamente negato, in modo da evitare di affrontare questa ferita. Ma è davvero così? Come si relaziona il popolo cinese con quei fatti, e in particolare come ci si relazionano i giovani cresciuti dopo quanto successo il 4 giugno 1989?
La vicenda Tienanmen oggi è inchiestata in termini di richiesta di verità su quanto accaduto solamente dalle Madri delle vittime di Tienanmen e da alcuni dissidenti, gruppi che non hanno presa sull’immaginario collettivo dei cinesi. La maggior parte degli attivisti di Tienanmen hanno scambiato il diritto democratico all’opposizione con il diritto all’arricchirsi: molti dei tycoon, dei manager cinesi vengono da lì. Va osservato anche che la prossima generazione al potere sarà proprio quella di Tienanmen, e come spesso accade in Cina potrebbe non esserci una rilettura critica di quei fatti (come non ce n’è stata una che riguardasse la Rivoluzione Culturale).
Probabile che piuttosto alcuni dei valori espressi da quel movimento entrino in discussione nella vita politica pubblica cinese. Detto questo la censura c’è, ovvio, e negli ultimi anni si è molto spostata dalla carta stampata al web; non funziona neanche qui in modo monolitico, dipende spesso da quanto è zelante il singolo funzionario. Ad esempio ai Rolling Stones a Shanghai hanno censurato alcuni pezzi come Satisfaction ma non invece altri ancora più critici verso il potere in generale! Il punto è un altro: è che in Occidente c’è una falsa credenza per la quale tutti i cinesi vorrebbero leggere la nostra stampa e poveretti non possono farlo. Non è cosi: sebbene sia facile utilizzare VPN per aggirare il Grande Firewall, alla grande massa dei netizen cinesi non interessa neanche il nostro web. Usano Weibo, Youku che sono strumenti che hanno sviluppato anche altri tipi di utenza di internet, certo con filtri che implicano una diversa possibilità di coltivare una coscienza politica rispetto a come la intendiamo noi.
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