Violenza poliziesca, capitalismo, razza e genere. Una chiacchiera con Mathieu Rigouste
Abbiamo posto alcune domande a Mathieu Rigouste, ricercatore in scienze sociali e militante di Tolosa, rispetto all’attuale movimento contro le violenze della polizia che, a partire dagli Stati Uniti in seguito dell’assassinio di George Floyd da parte delle forze dell’ordine, ha scosso il mondo intero. In Francia, il contesto delle banlieues rende note a tutti e tutte le quotidiane violenze della polizia, sistemiche e su tutti i livelli, di classe, di razza e di genere. Ed è in questo contesto che da anni si sono costuiti numerosi collettivi di familiari delle vittime che pretendono giustizia e verità. È per questo che ci sembra interessante approfondire come l’istituzione poliziesca sia nata, si costruisca, quali stretegie adotti. Ma soprattutto, come immaginare un sistema sociale che possa farne a meno? Mathieu Rigoste considera legittima la ricerca solo nel momento in cui è messa al servizio delle lotte, ha scritto “La dominazione poliziesca. Una violenza insustriale”, “Il nemico interno: genealogia coloniale e militare dell’ordine securitario nella Francia contemporanea”, per spiegare come l’istituzione della polizia sia totalmente funzionale alla riproduzione di un sistema capitalista, razzista e patriarcale.
Negli ultimi movimenti sociali, contro la loi travail o contro la riforma delle pensioni, in generale da quando è cominciata la fase neoliberale e securitaria, lo stato francese delega la gestione dei movimenti sociali pricipalmente alla polizia e ai suoi regimi differenziali. I regimi più feroci sono riservati ai quartieri popolari, alla gestione delle prigioni, ai campi e alle prigioni per stranieri, alla polizia delle frontiere. Dunque un po’ come contro un’insurrezione bisogna avere del “soft power” e dell’ “hard power” così come un’azione psicologica, la chiamano “la conquista dei cuori e delle indoli”, c’è un lavoro permanente di egemonia ideologica, ciò che viene inteso con “sviluppare il rapporto polizia-popolazione”, non funziona mai molto bene con le classi subalterne, perché le classi subalterne non si lasciano dominare facilmente, inoltre i rapporti di oppressione concreti, i rapporti di sfruttamento e di dominazione, fanno sì che gli apparecchi ideologici di promozione della polizia e dell’ordine sociale siano meno efficaci in questi contesti. Ma ci provano comunque, l’abbiamo appena visto a Saint Denis per esempio, periferia di Parigi, la polizia distribuisce caramelle e giocattoli nei quartieri popolari, una cosa surreale, ma è davvero la stessa modalità utilizzata dagli eserciti imperialisti durante le guerre coloniali, perché così cercano di conquistare “i cuori e le indoli” dei colonzzati.
Non c’è alcun ruolo di mediazione tra la polizia e la popolazione, è un sistema di controllo, di sorveglianza, di repressione e oltre questo ha anche una funzione particolare nei quartieri popolari, non solo, anche per quanto riguarda il movimento dei gilet gialli per esempio o in altri movimenti recenti, ciò che la polizia vuole rompere è la possibilità di organizzarsi e la capacità di costruire l’autonomia… perchè in realtà un po’ ovunque le classi subalterne appena possono si riorganizzano attraverso reti di solidarietà, di mutuo aiuto, quindi l’azione della polizia non è solo repressione, è anche sorveglianza, controllo per impedire che si vengano a creare queste situazioni. Non sempre funziona molto bene.
A livello storico quando e come questo modello di polizia si è affermato… diciamo che ci sono dei regimi di polizia diversi e che essi si strutturano in funzione dei rapporti di dominazione capitalista, autoritari, razzisti e patriarcali, dunque si utilizza un diverso regime in base alla composizione sociale specifica alla quale sono rivolti. Quindi non è un modello fisso, è costantemente in evoluzione, ciononostante si possono trovare delle genealogie delle forme che derivano dalla schiavitù, per esempio. Quando in quel sistema si sono sviluppate delle forme di cattura degli schiavi in fuga, o di caccia all’uomo, di cattura e dunque di contenimento, strangolamento, soffocamento… queste sono forme che attraversano i secoli di storia, che marcano tutta la storia coloniale influenzando l’istituzione della polizia anche nel cuore della “metropole” (del territorio francese in senso stretto).
Dopodiché, il capitalismo si sviluppa attraverso la schiavitù e la colonizzazione, articolandosi con il patriarcato. Abbiamo un regime di polizia che si è dedicato alle classi popolari dal punto di vista economico, per esempio contemporaneamente alla formazione della classe operaia c’è un regime poliziesco specifico al mondo del lavoro che si forma. Questo regime di polizia per tutto il XX secolo, in particolare all’interno delle metropoli imperialiste, ha conpartecipato all’addomesticamento del movimento operaio, insieme alle burocrazie sindacali e ai partiti della sinistra istituzionale, ha fatto sì che si desse una progressiva attenuazione del livelo di violenza, andando a istituire ciò che viene chiamato “il mantenimento dell’ordine alla francese” e che da quel momento in poi venne riservato a quei movimenti già di per sé pacificati. Per quanto riguarda il regime differenziale di polizia strutturatosi sul sistema patriarcale è evidente che nel sistema polizia si riproducano le differenze di genere, di classe e di razza.
Abbiamo visto però con il movimento dei gilet gialli che, quando un movimento sociale anche non specificatamente afferente ai quartieri, né alle prigioni, né ad altri luoghi di segregazione, si radicalizza e passa a forme d’azione offensive, incontrollabili, insubordinate, in quel caso il blocco del potere reinventa dei regimi più feroci, ne sperimenta di nuovi, andando a cercare nei repertori della violenza permanente, nei repertori della polizia dei quartieri popolari, della polizia militare coloniale, della polizia che controlla le frontiere.. ogni volta il potere riattualizza e adibisce delle forme nuove di polizia. È un’evoluzione permanente che reagisce e si trasforma anche in conseguenza alle forze che le resistono.
Costruire una società senza polizia.. io faccio parte di collettivi in lotta che considerano che l’autorganizzazione sia la maniera per farne a meno. Vorremmo portare un discorso che si basa sul fatto che si deve, si dovrà, fare a meno della polizia ma così come di tutti i rapporti di dominazione, questo enunciato e basta non serve a niente, occorre autorganizzarsi con chi subisce questi rapporti di sfruttamento e dominazione quotidianamente, localmente ma anche coordinandosi a livello globale, in ogni caso partendo dal proprio territorio per far in modo che tutti e tutte si possa riprendere in mano le proprie storie di giustizia, perché anche della giustizia dei tribunali occorrerà sbarazzarsi, così come della prigione, ma per poter attaccare queste istituzioni bisogna anche essere in capacità di farne a meno, ciò significa che si devono mettere in campo, per esempio nei quartieri popolari, dei modi e degli strumenti per regolare i problemi tra le persone che non passino attraverso il fatto di ricorrere alla polizia. Sono delle forme di giustizia riparatrice, che possano basarsi su dei modelli tradizionali ma che debbano anche essere reinventate rispetto a delle dinamiche completamente nuove, delle nuove modalità di occupare e abitare collettivamente lo spazio pubblico, le strade, ad esempio facendo pranzi popolari o ambulatori popolari, tutte cose che permettono alle persone di riprendere la propria vita in mano, di prendersi cura di sé, di fare a meno dei sistemi delle classi dominanti, nel senso dell’insieme delle istituzioni che organizzano la società. Dunque, questo movimento che ha come obiettivo quello di attaccare e denunciare le violenze della polizia e dello Stato non è che un punto di partenza. A partire da qui, si possono prendere in carico i bisogni delle classi popolari, per esempio attraverso l’autodifesa, attraverso modi concreti di proteggere le proprie vite, per andare nella direzione di un’auto organizzazione della vita sociale, della quotidianità, che sia capace di fare a meno di questo sistema e allo stesso tempo di costruire dei mezzi per distruggerlo… perchè non basta farne a meno, bisogna disfarlo pezzo per pezzo. È un sistema nelle mani delle classi dominante e queste faranno di tutto per riorganizzarlo, ottenerne profitto, costruirlo di nuovo.
Ci sono delle strategie ben consapevoli della dominazione e dello sfruttamento, ci sono delle dottrine, delle teorie, che si mantengono su un sistema di tecnologie del potere, contemporaneamente ci sono delle tattiche, ognuna relativa a un segmento della classe, che possono anche essere in contraddizione tra di loro e che a volte funzionano ma altre no, anche perchè le decisioni e l’azione delle classi dominanti sono mosse da opportunismi e interessi diversi, da volontà di potere insaziabili, da volontà di conquista, ma in ogni contesto sociale e storico ci sono delle differenze. Ciò vuol dire che i sistemi di dominazione non sono una regola assoluta, sono istituiti e regolati in un certo modo ma non sono dei meccanismi che funzionano perfettamente, sono degli assemblaggi di meccanismi, dunque è possibile bloccarli, sabotarli, perchè non bisogna vederli come una macchina inattaccabile ma come un meccanismo assemblato insieme più o meno bene e che dunque possiamo studiare e analizzare. E sabotare. Nel movimento attuale contro le violenze della polizia, siamo di fronte a una nuova generazione politica che tenta di tenere insieme tutti questi livelli di dominazione e oppressione, e che sta sperimentando a partire dalla base, a partire dagli oppressi, delle nuove forme di organizzazione e di resistenza, questo movimento sta sperimentando in sé nuove forme di società.
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