La sentenza Cucchi e la realtà della giustizia italiana
Dodici anni. Una sentenza vergognosa, eccessiva, punitiva, sproporzionata.
E’ quella della Cassazione di Roma del 2012, emessa nei confronti di Vincenzo Vecchi rispetto ai fatti del G8 di Genova 2001. Fortunatamente Vincenzo ieri è stato liberato. Ma quella che ha subito è una sentenza praticamente pari, sei mesi in meno, a quella comminata nei confronti dei carabinieri che hanno ammazzato di botte Stefano Cucchi.
Da questo paragone dobbiamo partire, dal sottolineare l’ennesima applicazione del principio per il quale una vetrina ha lo stesso valore di un uomo. Nel day after della condanna, ci sembra questo il modo migliore di tenere la barra dritta. Di far risaltare il carattere infame di una giustizia che, dopo la sentenza romana, c’è il rischio di dimenticare, anche ingenuamente.
Soprattutto se, accecati dal sole frontista anti-salviniano, ci si fa fregare dal disgusto che emerge leggendo le dichiarazioni del ducetto leghista a Bologna. Sia quelle che infangano la memoria di Stefano, ancora una volta definito un drogato, sia quelle nei confronti dei giudici che hanno sancito la responsabilità di Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro nella morte del ragazzo.
Basterebbe però il primo processo-farsa sul caso Cucchi a far tornare in mente la realtà del sistema giuridico, sempre animato da uno spirito politico, mai tecnico. La realtà di un apparato penale che difende fino allo stremo il braccio armato della legge, crollando solo di fronte a sforzi impressionanti di ricerca della verità come quelli di Ilaria Cucchi.
Ma è lo stesso sistema che condanna senza appello chi scende in piazza per motivi politici, facendo ricadere tutto nelle semplici due paroline, devastazione e saccheggio. Con cui ormai si attacca ogni espressione non compatibile di dissenso, cercando di banalizzarla.
Da qui bisogna ripartire, perchè purtroppo non tutte le vittime di omicidio di stato in questo paese hanno e avranno una sorella con la stessa forza di Ilaria nel fare emergere la verità. In tanti altri casi la giustizia tornerà a fare il suo dovere, a insabbiare, a coprire, a depistare, ad agire come forza politica attiva nel sistema a tutti gli effetti. Impegnata nella conservazione degli interessi di pochi a scapito di quelli molti, nel difendere i servi del potere.
Così come ha fatto per tutta la sua storia recente, come a breve torneremo a ricordare pensando ai 50 anni già passati dalla morte di Pinelli e dalla strage di piazza Fontana.
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