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La street art al femminile

Da Alice, che promuove un’arte di strada che porta un messaggio e che crea l’immaginario di una donna forte, indipendente, con una grande personalità e mai subordinata a figure altre, la mia ricerca mi conduce in un’altra città europea: Parigi, il luogo dove lavora Miss. Tic . L’artista, nata nel 1956 a Parigi, non ha mai rivelato il proprio nome e fin dall’inizio della sua attività, negli anni ’80, ha usato per taggarsi il soprannome tratto dai fumetti di Paperon de’ Paperoni: nella versione francese del fumetto Disney, Miss. Tic è Amelia, la strega che ammalia. Miss. Tic decide di dedicarsi alla street art dal 1985, colorando di stencil i muri di Parigi. I soggetti da lei rappresentati sono belle donne: le ragazze sensuali e ammiccanti delle immagini femminili stereotipate che i media, le riviste di moda, la tv e i manifesti diffondono per assecondare la fantasia maschile. Tuttavia Miss. Tic le trasforma da oggetto in soggetto, soggetto pensante, quasi parlante, attraverso i frammenti di pensieri scritti accanto ai sinuosi corpi disegnati. Le frasi che accompagnano gli stencil sono il punto di partenza del lavoro dell’artista. Spesso usa giochi di parole e svela donne, non solo belle, ma disinibite, sfacciate, orgogliose, indipendenti e dominatrici. AliCè ribalta i luoghi comuni femminili proposti dai media e basa la sua arte su un’immagine della donna forte, indipendente, creativa e libera, mentre Miss. Tic prende in prestito gli stessi stereotipi della donna esposti dai media per ribaltarli con le frasi che accompagnano gli stencil. Un modo diverso di fare arte e di rivendicare l’autodeterminazione femminile. C’è poi il discorso della deriva della street art: molti storcono il naso alla vendibilità di opere nate in un ambiente underground e poi sdoganate nelle mostre e nei musei. Ma questo discorso meriterebbe un articolo a sé stante.

Spostandoci verso luoghi in cui la street art è nata di recente e con una forza elevata e diffusa vediamo come anche in Egitto, con la fine del regime, la figura femminile si sta imponendo nel panorama dell’arte urbana: “Il panorama metropolitano del Cairo, di Alessandria, Mansoura, Luxor e di altre città si sta colorando di graffiti e murales. Molti hanno contenuto politico. Ma ad essi se ne stanno affiancando altri che inneggiano alla dignità e alla parità di diritti della donna.” La primavera araba ha visto sorgere una sfida alla società patriarcale, lotta che vede nascere sempre più “crew” al femminile. I due gruppi più famosi sono Noon El Neswa e le Mona Lisa Brigades. Le loro opere parlano il linguaggio della parità dei sessi e dei diritti delle donne.

Negli ultimi tempi si sta facendo conoscere anche un gruppo, WOW – Women on Walls, che oggi conta sessanta artisti, tra cui una decina di donne. Il progetto coordina la produzione artistica in quattro città egiziane: Il Cairo, Alessandria, Luxor e Mansoura, promuovendosi come difensore dei diritti delle donne, per l’emancipazione e contro la violenza. In Egitto la street art ha reso possibile il passaggio di messaggi politici, ha permesso di colorare quartieri periferici, ha fatto sì che si creassero zone di socialità e condivisione. Non è solo arte, non è profitto né narcisismo estetico, è una risorsa, per qualcuno è lasalvezza . Sono molti gli artisti egiziani che si impegnano per combattere la corruzione, per mettere a fuoco la realtà e le problematiche del paese, per portare l’attenzione sulla figura femminile. Così, scorrendo fra le immagini trovo una Nefertiti con la maschera antigas, l’ha ideata El Zeft, artista de Il Cairo, che racconta: “Ho scelto la più famosa delle nostre regine, Nefertiti, e l’ho dipinta con la maschera antigas, come se lottasse insieme a noi. Perché senza donne non si va da nessuna parte. La gente l’ha riprodotta ovunque e oggi è uno dei simboli della lotta delle donne.”

La regina egizia ha lo sguardo adirato, macchie di colore rosa shocking circondano il suo volto, la maschera antigas copre la bocca. Sotto una scritta in arabo: “La voce di una donna é una rivoluzione”. E mi torna alla mente, in un’altra lingua lontana, la frase: “Sin Las Mujeres No Hay Revolucion”. Non c’è molto altro da dire.

di Stephania Giacobone per Il Post

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