Un bel regalo agli speculatori sull’arte urbana, a firma Blu
Tra ieri notte e questa mattina si è passati alla pratica. Blu, notissimo writer a livello internazionale ha deciso oggi, aiutato da altri artisti e da compagni e compagne di alcuni degli spazi sociali su cui campeggiano alcune sue opere, di mettere in campo una sorta di eutanasia di queste ultime impedendo così agli speculatori d’arte di appropriarsene e mettendo una volta di nuovo in chiaro come l’arte urbana sia di per sé impossibile da valorizzare al di fuori del luogo dove è stata concepita, e soprattutto al di fuori da una dimensione collettiva, non musealizzata.
Blu sta cancellando opere in tutta la città, e soprattutto nel quartiere Bolognina, simbolo dei processi di gentrificazione in corso da parte delle istituzioni cittadine, il suo gesto assume valenza particolare. L’iniziativa è iniziata nella notte ed è sostenuta da tanti artisti cittadini nonché da compagni di realtà come Xm24 e Crash che nei loro spazi (o ex-spazi, come nel caso di Crash) hanno ospitato per anni alcune delle opere in via di cancellazione.
Un gesto che per quanto toglierà dalla città meravigliosi frammenti di arte urbana, dall’altro potrà servire anche da esempio su un’attitudine artistica che non è mai solamente dimensione estetica ma che necessariamente è inserita in una società dove il turbocapitalismo cerca di mettere a valore tutto il possibile e dove anche sottrarsi in occasione come queste è gesto di resistenza.
Per ulteriori approfondimenti consigliamo questo pezzo da Giap:
Il 18 marzo si inaugura a Bologna la mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano, promossa da Genus Bononiae, con il sostegno della Fondazione Carisbo. Tra le opere esposte ce ne saranno alcune staccate dai muri della città, con l’obiettivo dichiarato di «salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo», trasformandole in pezzi da museo.
Il patron del progetto è Fabio Roversi Monaco, già membro della loggia massonica Zamboni – De Rolandis, magnifico rettore dell’università dal 1985 al 2000, ex-presidente di Bologna Fiere e di Fondazione Carisbo, tuttora alla guida di Banca Imi, Accademia di Belle Arti e Genus Bononiae – Musei della Città.
Il nome di Roversi Monaco, più di ogni altro nella storia recente di Bologna, evoca la congiuntura di potere, denaro e istituzioni, con la repressione che li accompagna. Ai tempi delle celebrazioni per il Nono Centenario dell’Ateneo cittadino rifiutò qualunque dialogo con gli studenti che protestavano per i costi della festa. Alla cerimonia di inaugurazione, nell’aula magna di Santa Lucia, la polizia tenne i contestatori fuori dalla porta. Il gran galà si concluse con 21 denunce a carico dei manifestanti. Era il 1987. Tre anni dopo, per le occupazioni della Pantera contro la Legge Ruberti che apriva l’università ai finanziamenti privati, le denunce furono 127.
Niente di strano, allora, nel vedere Roversi Monaco dietro l’arroganza piaciona di curatori, restauratori e addetti alla cultura, che con il pretesto dell’amore per l’arte di strada trovano un’occasione di carriera, mettendo a profitto l’opera altrui.
Non stupisce che ci sia l’ex-presidente della più potente Fondazione bancaria cittadina dietro l’ennesima privatizzazione di un pezzo di città. Questa mostra sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist, con grande gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti di opere rubate alle strade.
Non stupisce che sia l’amico del centrodestra e del centrosinistra a pretendere di ricomporre le contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte.
Non importa se le opere staccate a Bologna sono due o cinquanta; se i muri che le ospitavano erano nascosti dentro fabbriche in demolizione oppure in bella vista nella periferia Nord. Non importa nemmeno indagare il grottesco paradosso rappresentato dall’arte di strada dentro un museo. La mostra Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.
Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art.
Tutto questo meritava una risposta.
La risposta è giunta la scorsa notte e prosegue nella giornata di oggi, durante la quale uno degli artisti che figura suo malgrado nel cartellone della mostra risponde per le strade della città a ciò che si prepara nelle stanze di Palazzo Pepoli.
Blu cancella i pezzi dipinti a Bologna nel corso di quasi vent’anni.
Di fronte alla tracotanza da landlord, o da governatore coloniale, di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni. Agire per sottrazione, rendere impossibile l’accaparramento.
A dare una mano a Blu ci sono gli occupanti di due centri sociali – XM24 e Crash – che non a caso si trovano lungo la direttrice del canale Navile, là dove ogni forma di partecipazione reale è morta sotto il peso di fallimentari progetti edilizi di riqualificazione e di strumentali emergenze come quelle contro i campi nomadi.
Questo atto lo compiono coloro che non accettano l’ennesima sottrazione di un bene collettivo allo spazio pubblico, l’ennesima recinzione e un biglietto da pagare.
Lo compiono coloro che non sono disposti a cedere il proprio lavoro ai potenti di sempre in cambio di un posto nel salotto buono della città.
Lo compiono coloro che hanno chiara la differenza tra chi detiene denaro, cariche e potere, e chi mette in campo creatività e ingegno.
Lo compiono coloro che ancora sanno distinguere la via giusta da quella facile.
Wu Ming, Bologna, 11-12 marzo 2016
(trentanovesimo anniversario dell’uccisione di Francesco Lorusso)
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