“Nel grigio dipinto di blu” appunti su una protesta radicale
Il noto “writer” ha deciso di cancellare tutte le sue opere, dipinte in quasi vent’anni d’attività, sui muri della città di Bologna come segno di protesta contro la mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano, che inaugurerà il 18 marzo e promossa da Genus Bononiae, con il sostegno della Fondazione Carisbo. Alcune delle opere esposte saranno staccate dai muri della città, con l’assurda volontà di «salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo» senza, così, riconoscere una delle essenze della street art: l’effimerità. Nel Grigio Dipinto di Blu è il titolo dell’azione dell’artista. Un titolo forte e complesso che riassume l’ampiezza della critica che viene così aperta.
L’azione di Blu ha generato molte reazioni. Ha aperto un dibattito. Dibattito troppo spesso, probabilmente per opportunismo, incentrato sulla sola azione e non sulla critica agita dall’azione. Come spesso capita si sposta il dibattito fermandosi al dito senza guardare la luna così da non dover dibattere sulle regole che reprimono giornalmente il writing o sulla retorica del decoro che vorrebbe città intonse, pulite e ordinate e che ricordino i salotti bene di una casa. I primi a spostare il dibattito sono giornalisti, intellettuali e politici della “sinistra moderata”. Così da non dover affrontare le contraddizioni del proprio agire e della retorica politico/culturale che viene agita, come per esempio Milano tra il fenomeno delle spugnette e di alcuni muri “concessi” agli artisti.
La scelta, non banale, di coprire i colori dei disegni con uno strato di grigio è importante e non casuale. Il grigio dipinto di Blu diventa grido di protesta radicale contro le speculazioni di Roversi Monaco, patron della mostra, e sulla street art ma più in generale solleva questioni culturali, e legali/burocratiche. Grigio come la direzione in cui va la società. Non bianco come vorrebbero le associazioni per il decoro urbano.
Chi decide cos’è imbrattamento o opera d’arte? Blu, o Bansky, nascono nell’illegalità e non hanno mai smesso di lavorare prendendosi gli spazi per disegnare. Come si esce da una contraddizione come questa? E se torniamo a Bologna strappare un murales da un muro per metterlo in mostra significa spostarlo da uno spazio pubblico a uno privato. Chi è il proprietario di quell’opera, visto che chi disegna sui muri rifiuta il concetto di “proprietà”? Cosa succederà a quel muro strappato una volta finita la mostra? Verrà rimesso sul muro? Verrà ridato all’artista? Verrà venduto? E c’è chi, come Michele Serra, definisce un operazione del genere solamente “un pò stupida, un pò arrogante”.
Si cambiano le regole del gioco. Si monetizza ciò che è stato per anni combattuto, represso, rimosso, zittito.
Blu, e forse solo Blu in Italia poteva farlo, abbatte la retorica della street art buona e della street art cattiva. Ricorda che l’attuale gestione delle città, per leggi, burocrazie, speculazioni sull’arte e politiche del decoro generano grigiore e controllo. Mentre nella stessa Bologna la writer AliCe veniva condannata per imbrattamento le fondazioni bancarie e culturali avrebbero voluto mettere sotto teca i “pezzi” che hanno un valore “monetario” prima che estetico e artistico. Speravano di farlo nel silenzio di artisti e città e nel nuovo tentativo di normalizzazione la storia dell’arte muraria, nata in Messico nel post rivoluzione di inizio 1900.
Qualcuno ha detto di no. Ha messo uno strato di grigio sulle sue stesse opere. Facendosi violenza. Ma facendo gridare il mondo intero. Se a coprirsi di grigio fossero stati i disegni di altri artisti, non considerati all’altezza di mostre e salotti speculativi, nessuno sarebbe stato scandalizzato. Forse si sarebbero addirittura raccolti applausi dal mondo degli “spugnettatori” e dai sostenitori del decoro urbano. Qualcosa è successo. E apre un dibattito che partendo dalla street art parla di regole e sviluppo delle città stesse. Un ritorno alle origini della rivendicazione dei “murales”.
Abbiamo discusso, prima, con Paola Donatiello, dottoranda di semiologia all’università di Bologna, ed esperta di arte e spazio urbano, a partire da un suo articolo intitolato “Tocco Blu non gioco più“, pubblicato su Doppiozero, del senso della protesta di Blu Ascolta e scarica
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Con Pino Cacucci, scrittore che vive a Bologna e grande conoscitore di storia messicana, ragioniamo sulla storia dell’arte muraria, nata in Messico, e sul significato dell’azionedi Blu per Bologna e gli equilibri politici/culturali nel nostro paese
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