‘Lenin e la scienza. Verità senza soggetto’
Ci troviamo d’accordo con queste linee guida, ma ci sentiamo di dover spezzare una lancia a favore del leader bolscevico. Egli non fu mai un filosofo puro, né un macro-economista, o un fisico teorico. Egli fu un’espressione, e allo stesso tempo, dialetticamente, una interpretazione, delle condizioni storiche che portarono all’esplodere della rivoluzione russa. Soggettivamente, fu un uomo votato alla tattica: egli aveva una linea strategica ben chiara in mente, e la sua formazione gli permise di prevedere anche il secondo conflitto mondiale, sulla scia delle considerazioni engelsiane circa la prima metà del novecento; durante la sua vita, però, dovette fare sempre i conti con i fatti, che come agli notò a più riprese, “hanno la testa dura”. Se Marx teorizzava la dialettica tra contro-tendenze particolari ed una probabile tendenza generale, Lenin parlò di inevitabilità della rivoluzione, se Marx aveva sempre individuato nella classe operaia il soggetto rivoluzionario, Lenin cercò l’alleanza tattica di contadini e operai, se Marx tratteggiò i caratteri generali della dialettica struttura/sovrastruttura e le influenze dell’economia sulla politica, Lenin teorizzò la possibilità, seppur per un breve periodo, di mantenere il potere politico bolscevico avviando però sul piano economico lo sviluppo del capitalismo in Russia.
La sua “epistemologia” non poteva che avere, anch’essa, un valore “tattico”: allontanare i giovani aderenti al partito bolscevico dal canto delle sirene dell’ideologia scientifica dominante, allora rappresentata da Mach. Volendo velocizzare la formazione dei quadri di partito, non c’era tempo per continuare a sviluppare una concezione materialistica della storia ed una visione dialettica della natura, così come volendo sfruttare la crisi mondiale che stava bussando alle porte non c’era tempo per aspettare che tutti i contadini russi diventassero proletari per avere una situazione sociale “da manuale”: il messaggio di Lenin è quello di un uomo che tra le bombe e i colpi di mortaio trovava la forza per organizzare la prima rivoluzione comunista della storia nel mentre che riassumeva in sole 40 pagine la “Scienza della Logica” di Hegel, o la “Metafisica” di Aristotele, per semplificare l’autoformazione dei compagni.
L’insegnamento di Lenin non è di tipo libresco, ma, più in generale, umano: nello spendersi per organizzare in totale clandestinità i circoli bolscevichi non smise mai di studiare il secondo libro del Capitale, di cercare di applicare la scienza marxista al controverso mondo agricolo russo (cfr. “Chi sono gli amici del popolo”) e, ancora a pochi mesi dallo scoppio della rivoluzione (cfr. “L’imperialismo”, del 1916), egli continua imperterrito a leggere, prendere appunti, raccogliere articoli, studiare, socializzare con i compagni i propri spunti geniali e le proprie riflessioni.
Dei suoi libri resta una lezione di metodo e passione rivoluzionaria: sarebbe sbagliato cercare nelle sue parole la lungimiranza secolare propria degli scritti teorici di Marx ed Engels. Questo libro si rivela utile proprio nel farci notare, attraverso la filosofia teoretica, la distanza tra due epoche storiche, tra due mondi, tra due esigenze; insomma tra una teoria generale ed una pratica particolare. Questa dialettica resta ancora tutta da svolgere, e da superare: solo (eventualmente…) in un altro tipo di società “la filosofia si supererà nel reale”, e la teoria coinciderà con la prassi.
Continuando a organizzarci, a cercare legami tra le singole lotte, pensando a un futuro “giornale come organizzatore collettivo”, l’esempio dell’Ottobre Rosso non può che essere un continua fonte di ispirazione: “bisogna sognare!”.
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