Nichi Vendola, un sognatore da incubo
Il sistema informativo in cui siamo immersi vive di scandali, sorprese e sensazione; il colpo di scena è il perno drammatico attorno cui ruota la trasformazione sistematica degli eventi in “notizie”, là dove la “notizia”, vera o falsa che sia, costituisce un intrattenimento per il quale occorre corrispondere una somma in denaro. Da questa condizione dell’industria dell’informazione non discende che tutte le notizie siano false, o che gli eventi reali scompaiano in una nebbia in cui il vero e il falso, come tali, si dissolvano. La telefonata tra Vendola e Archinà (responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva, il gigante industriale che da anni avvelena e uccide la popolazione tarantina) c’è stata, ad esempio; come reale è l’episodio precedente con il giornalista, cui Vendola si riferisce ridendo, e reali sono i morti di cui il giornalista (un “provocatore” secondo il governatore della Puglia) provava a chiedere. Ciò che il processo di produzione e distribuzione delle notizie rende possibile, semmai, è un apparente indebolimento del peso che i fatti e gli eventi hanno, anche a prescindere dalle diverse interpretazioni, sulla massa che ne ha conoscenza. Assistiamo a una sorta di progressivo adattamento del consumatore, dal punto di vista della reazione psichica, al continuo stimolo scandalistico.
Il copione dello scoop, della smentita e della contro-smentita, come quello della polemica che “infiamma” il palcoscenico dell’informazione finché un “fatto sensazionale” risulta spremibile nelle sue virtù legate all’accumulazione, tende ad anestetizzare la capacità di scandalizzarsi anziché approfondirla. Il pubblico matura la tendenza a una reazione debole, al commento indignato istantaneo, tende a non prendere in considerazione un’azione concreta in risposta a ciò che ha sentito. Sotto l’impatto del bombardamento mediatico il consumatore ha difficoltà persino a conservare memoria di ciò che sa, di ciò che un tempo (magari tre mesi fa) lo ha indignato. Ti ricordi di Ligresti, della Cancellieri? Di Vendola, di Archinà? Tra poche settimane sarà come chiedere se ci si ricorda di Berlusconi e Saccà, Rutelli e Lusi, D’Ambrosio e Napolitano. (Per i più rilevanti crimini di stato si inserisce un correttivo poliziesco-giudiziario, e in quei casi gli scoop si identificano con i depistaggi; sono scoop di depistaggi, e questa è tutto tranne che un’altra storia, anche se qui non può essere approfondita).
Circoscriviamo l’analisi al caso in esame e chiediamoci: come è possibile che, dopo che è stata resa pubblica questa telefonata, Vendola sia ancora il leader di una forza politica che porta l’ecologia e la libertà nel suo stesso nome? Non è incredibile? Gli attivisti del suo partito, almeno quelli che ancora non percepiscono stipendi da assessori o parlamentari, dovrebbero avere già abbandonato il movimento; eppure, ciò che sembra prevalere tra molti sostenitori di Sel è la speranza di uno shock passeggero, di uno scandalo che sia possibile credere finto, anche contro tutto il resto d’Italia, contro ogni lampante e rivoltante evidenza. Il sostenitore di Sel si scopre, contrariamente a ciò che credeva e alle pose che assumeva, una variante del consumatore medio dell’informazione: individuo che si sottopone a continui traumi, cui fa seguire altrettante (colpevoli, se le relazioni sociali contemplano anche il fenomeno della responsabilità) rimozioni.
La tipica reazione isterica e incattivita alla critica, come la tendenza a eludere il problema nelle conversazioni ordinarie, sono sintomo della difficoltà a compattare quintali di evidenza rimossa – per anni, giacché non è il primo caso – nell’angusto spazio che un super-Io piuttosto ingombrante (leggi: moralismo inconcludente e perciò insopportabile, di cui la Boldrini è incarnazione trasfigurata dalla celestiale elezione) può concedere agli spazi dell’inconscio, almeno sul terreno vigile della politica. In questo chi oggi non prende posizione contro Vendola, sperando che possa guadare il fiume in tempesta, non è diverso, nella sostanza, da chi non ha preso in questi anni posizione contro D’Alema, Napolitano, Veltroni, Chiamparino, Fassino & Co., contro tutti quelli che bisognava votare o appoggiare perché eravamo in missione contro quello con cui poi tutti loro ora governano e si sono alleati. (A coronamento della farsa sarà lui, poi, a mandarli a quel paese.)
Molte elettrici e molti elettori di Sel, d’altra parte, partecipano ai movimenti sociali nei territori, ma non come fanno i loro dirigenti, preda dell’esclusiva ricerca di un posto ben retribuito a nostre spese; semplicemente, supportano i movimenti senza credere che essi, privi di sponda istituzionale e in piena autonomia, possano ottenere dei risultati. A questo scetticismo corrisponde lo speculare atto di fede per cui essi non credono che operare cambiamenti effettivi attraverso le istituzioni sia impossibile. Se si vuole rompere il meccanismo della continua rimozione dello scandalo, e dello iato che sussiste tra fede ed evidenza, allora queste persone vanno affrontate: va loro chiesto come giustificano ciò che è accaduto, o meglio ciò che è venuto allo scoperto (che non è un episodio di corruzione, piuttosto di aperta e gratuita sudditanza); non deve essere loro permesso di derubricarsi a quei meri consumatori d’informazione che, probabilmente, non vorrebbero essere e in molte occasioni non sono.
Soffermandosi sullo scandalo, infatti, emerge chiaramente il secondo “problema” che lo accompagna: la necessità di un’analisi. Non esistendo assiomi nel politico, proviamo a proporre il metodo induttivo: se un fenomeno si ripete in un numero enorme di casi, ammetteremo l’ipotesi, che diremo giustificata in senso forte, che sussiste una qualche regolarità, nei processi, che fa sì che le cose avvengano in quel modo anziché in un altro. Ecco, allora, che anche i traumi plurimi dei consumatori dell’informazione potrebbero non rivelarsi inutili, almeno rispetto alla questione del voto e, dietro ad essa, delle forme dell’azione politica, se la delega elettorale riserva immancabilmente cattive sorprese. Si eleggono i Vendola e le Cancellieri, d’altra parte, ma non gli Archinà né, a maggior ragione, i Ligresti e i Riva. I Vendola potranno dirsi ambientalisti, comunisti, gay ed avere l’orecchino ma, una volta inseriti nelle procedure istituzionali, dovranno seguirne tanto le leggi scritte quanto quelle non scritte, e obbedire tanto ai poteri palesi (dell’ordinamento, che li pongono a distanza dai movimenti reali) quanto a quelli meno palesi, e più importanti (le proprietà dei capitali, che li pongono a distanza dai nostri interessi).
In fondo è questo che Vendola ci dice nella sua scomposta e patetica autodifesa: voi neanche immaginate, ha cercato di argomentare, cosa devo dire e fare, e di cosa devo ridere, per trattare con animali come quelli, per fare mediazione con loro, per fare politica a quei livelli. Appunto: il difetto della telefonata sta nel manico, per così dire; nel metodo, nell’idea iniziale. A quei livelli non si fa politica: politica significa, se intesa in senso degno, distruggere quei livelli. Se non si può distruggerli ora, operare affinché si accumuli forza per distruggerli poi, il prima possibile, e nel frattempo imporre dal basso risultati parziali – come hanno fatto i movimenti, e non il governatore, in Puglia (cfr. la lettera aperta di Alessandro Marescotti a Vendola sul Fatto Quotidiano, per cui tra l’altro Marescotti è stato querelato dallo stesso Vendola). Imporli senza e contro questi leccaculo, si badi, sempre pronti a dirci quando serve che siamo criminali da strada, o sognatori; ma sono sognatori peggiori i rivoluzionari senza rivoluzione o i democratici senza democrazia? La sentenza non va ai posteri, ma ai contemporanei, perché è più urgente di quanto si pensi.
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