InfoAut
Immagine di copertina per il post

Palestina: dovrei credere nella violenza?

Con il 2022 destinato a essere “l’anno più mortale” per i palestinesi in Cisgiordania, Mohammed El-Kurd rifiuta di essere costretto a giustificare il diritto del suo popolo di resistere all’occupazione israeliana, in particolare a coloro che approvano la violenza perpetrata su di esso.

Fonte.English version

Di Mohammed El Kurd – 22 novembre 2022

Immagine di copertina: Un artista palestinese dipinge un murale di cinque combattenti della resistenza palestinesi uccisi dall’esercito israeliano nella città vecchia di Nablus, nella Cisgiordania occupata, il 21 agosto 2022. (Getty)

Il 24 ottobre, ho partecipato a un dibattito sulla solidarietà tra afroamericani e palestinesi alla Harvard Kennedy School (un’istituzione accademica dell’Università di Harvard) insieme a Marcus McDonald, il principale coordinatore di una sezione indipendente di Black Lives Matter (Le Vite degli Afro Valgono) nella Carolina del Nord.

Non sorprende che i sionisti fossero costernati dall’evento, citando la presunta malvagità insita nella mia anima e il presunto sangue sulle mie mani. Hanno fatto circolare volantini pieni di pseudofatti forniti dalla Lega Anti-Diffamazione (Anti-Defamation League – ADL), una cosiddetta organizzazione pro-israeliana per i “diritti civili” che io chiamo ironicamente Lega per la Difesa dell’Apartheid.

Poche ore prima dell’evento, sia la polizia di Cambridge che quella di Boston hanno ricevuto telefonate che insinuavano vagamente una minaccia bomba, che ha costretto la sicurezza dell’università a cercare esplosivi.

Non ero sorpreso; questo non è stato il mio primo rodeo. Qualcuno fa un’affermazione misteriosa, un altro potrebbe scrivere sul giornale dello studente che la mia presenza minaccia direttamente la loro vita, quindi l’università schiera polizia e metal detector.

Queste, a mio parere, sono tattiche intimidatorie intese a sabotare gli eventi in difesa della Palestina o a cancellarli del tutto. Alla fine, l’evento della Kennedy School non è stato cancellato, ma è stata vietata la partecipazione di studenti non di Harvard, una parte considerevole degli iscritti.

Durante il dibattito, uno studente ha posto la domanda da un milione di dollari: Sostiene o condanna la violenza “commessa da attivisti palestinesi?”

Non appena sono sceso dal palco, ho appreso che, durante l’evento, i soldati israeliani avevano ucciso sei uomini palestinesi in una massiccia operazione nella Cisgiordania occupata che aveva provocato decine di feriti. Erano sei dei 199 palestinesi uccisi quest’anno dalle forze israeliane e dai coloni.

I sei uomini uccisi erano Qusai Tamimi, 20 anni, a Nabi Saleh e Hamdi Sbeih Qaim, 30, Ali Antar, 26, Hamdi Sharaf, 35, Mashaal Baghdadi, 27, e Wadee Al-Houh, 31, nella città di Nablus, che è sotto assedio da settimane.

Wadee Al-Houh era un comandante del gruppo di resistenza armata di recente formazione “La Tana dei Leoni”, che ha rivendicato la responsabilità di varie operazioni di tiro contro le forze di occupazione israeliane in Cisgiordania.

Il mio istinto, come scrittore che scrive in inglese, è quello di offrire un contesto che spieghi perché un gruppo di giovani vorrebbe imbracciare le armi contro i loro occupanti, ma il mondo anglofono, negli ultimi mesi, ha dimostrato che non serve un contesto per giustificare la resistenza alle occupazioni, fintanto che gli occupanti non sono israeliani.

Mentre mettere in discussione il mio sentimento sulla violenza può sembrare ovviamente ironico considerando i fatti sul campo, è fuorviante per definizione: un chiaro depistaggio. A volte esilarante. Prendiamo ad esempio gli ex soldati israeliani che partecipano ai miei discorsi per fare domande moralistiche, dopo essersi congedati da attività come la perquisizione di abitazioni e arresti di bambini.

O quando un giornalista televisivo della CNN, che quadra caso è un afrikaner, mi ha chiesto se “appoggio le proteste violente” mentre la rete trasmetteva filmati di soldati e coloni armati che aggrediscono la mia famiglia e i vicini.

In quel momento, quando ho appreso la notizia dell’esecuzione dei sei uomini, c’erano due mondi: il mondo della brutale occupazione militare in cui vivevano questi uomini e il mondo immaginato dallo studente che mi ha posto la domanda: Sostiene o condanna la violenza “commessa da attivisti palestinesi?”

Ma quello studente, quel conduttore televisivo, e diplomatici e osservatori di tutto il mondo non sono solo indifferenti alla causa principale delle nostre ribellioni, dopo averci ignorato per oltre sette decenni, il più delle volte risultano imperturbabili per la violenza inflittaci. La nostra morte ai loro occhi è normale, normale e ordinaria, dispensata da eroi in uniforme che seguono sistematicamente gli ordini. Nella migliore delle ipotesi, ucciderci è un male necessario.

Ma anche se non ci uccidono, l’occupazione è comunque violenta. E se il regime sionista non bombardasse regolarmente la Striscia di Gaza? Ciò renderebbe in qualche modo pacifici milioni di persone in una prigione a cielo aperto? Lo spargimento di sangue è l’unico indicatore di violenza?

E i palestinesi che vivono vicino al mare ma non possono raggiungerlo? Cosa dovrebbero fare per il tormento della sua umidità salmastra che pervade le loro cucine d’estate, le vecchie fotografie delle case dei nonni che ancora si trovano sulla riva? In quale mondo è condannabile resistere a questa privazione?

Preferisco concentrarmi sulla denuncia della brutalità sionista piuttosto che affrontare campagne diffamatorie o molestie e minacce di morte. Queste distrazioni impallidiscono inevitabilmente in confronto alla repressione, la reale e sistematica repressione vissuta costantemente dai palestinesi.

Ma quella repressione sul campo è proprio il motivo per cui devo affrontare la ridicola situazione che sta intrappolando i sostenitori della causa palestinese nel mondo occidentale.

Oggi negli Stati Uniti, l’attivismo politico palestinese e il sentimento nazionale allo stesso modo sono così censurati che gli attivisti si trovano a combattere accuse infondate invece di organizzarsi. Individui stipendiati dalle principali istituzioni sioniste perseguitano gli studenti universitari con campagne diffamatorie per scoraggiarli dal partecipare alla difesa della Palestina, a volte minacciando la loro carriera e le loro prospettive accademiche.

L’ex Direttore Generale del Ministero degli Affari Strategici israeliano (ora parte del Ministero degli Affari Esteri) lo ha definito “condurre una campagna globale contro l’altra parte. Esporla. Farla stare sulla difensiva”. Ci trasformano in criminali del pensiero, colpevoli della nostra rabbia e dei nostri rancori, delle nostre risposte naturali alla brutalizzazione, messi alle strette e processati.

Eppure, in qualche modo, coloro che condannano la resistenza palestinese la lodano quando sono i bianchi a organizzarla o, più precisamente, quando viene attuata da persone che non sono nemiche del loro più grande alleato e che non minacciano i loro interessi regionali.

Negli ultimi mesi, un articolo del New York Post ha elogiato un “eroico” attentatore suicida ucraino. Uno psicologo intervistato dal New York Times ha descritto “rabbia e odio” nel contesto dell’occupazione come “una reazione normale e comprensibile”, affermando che tale odio dovrebbe essere “incanalato in qualcosa di utile”, come “fabbricare bombe incendiarie”.

Nella mentalità americana tradizionale, la violenza sembra essere un concetto in continua mutazione. È normalizzata quando è dispensata dallo Stato, formalizzata e commessa da uomini e donne in uniforme. La politica di sparare per uccidere, la detenzione amministrativa senza accusa o processo e il furto di terra sono spesso legali e sempre eseguiti secondo il protocollo.

Le barriere militari, gli stati giuridici codificati per etnia e i muri di cemento che dividono le famiglie sono giustificabili. L’elenco continua. Non solo ci sono giustificazioni per tutto questo, ma ci sono 3,8 miliardi di dollari/euro di denaro dei contribuenti statunitensi che lo sponsorizzano ogni anno.

Quindi non cercherò di convincere nessuno del nostro diritto a resistere. Non citerò il diritto internazionale. Non invocherò Malcom X o Assata Shakur. Nemmeno la giustificazione di Martin Luther King per le rivolte. Non ironizzerò sulla sensibilità morale delle persone che hanno inventato le leggi “Stand Your Ground” (Difendi la Tua Posizione). Perché non c’è bisogno di guardare lontano per capire che coloro che sono colpiti reagiranno.

Coloro che resistono, quelli nati e cresciuti nella violenza, non hanno bisogno dell’approvazione degli studenti della Ivy League o dei conduttori televisivi dei grandi media che normalmente chiudono un occhio sui decenni di violenza debilitante, sistematica e incessante del regime israeliano.

Allora, per questo sono qualcuno che crede nella violenza? No, io non credo nella violenza.

Mohammed El-Kurd è un poeta, scrittore, giornalista pluripremiato e attivista internazionale di Gerusalemme, Palestina occupata, e cofondatore del movimento #SaveSheikhJarrah. È autore di RIFQA.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Culturedi redazioneTag correlati:

BLACK LIVES MATTERpalestinasionismoUsa

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Culture

Decolonizzare la scienza

Dalle spedizioni dell’Ottocento al divario nella geografia dei centri di ricerca, c’è ancora un problema di colonialismo?

Immagine di copertina per il post
Culture

Dagli inferi di Manchester agli inferi della banlieue

Un estratto da Cronache marsigliesi. Scorci di guerra civile in Francia di Emilio Quadrelli (MachinaLibro, 2025)

Immagine di copertina per il post
Culture

La rivoluzione come una bella avventura / 5: S-Contro, storia di un collettivo antagonista

Sergio Gambino, Luca Perrone, S-Contro, Un collettivo antagonista nella Torino degli anni Ottanta, con i contributi di Salvatore Cumino e Alberto Campo, DeriveApprodi, Bologna 2024 di Sandro Moiso, da Carmilla «Noi sentivamo di avere una collocazione forte! Io nell’84, quando abbiamo cominciato, avevo vent’anni, eravamo giovani, ma ci sentivamo di avere un grande compito e anche […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Immaginare il comunismo, oggi.

Phil A. Neel, Nick Chavez, La foresta e la fabbrica. Contributi ad una fantascienza del comunismo, Porfido Edizioni, Torino 2025. di Sandro Moiso, da Carmilla Continua con la presente pubblicazione l’opera meritoria delle Edizioni Porfido di traduzione, pubblicazione e proposta all’attenzione del pubblico italiano delle riflessioni condotte sulla rivista online «Endnotes», di cui in passato ci […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Educazione Autonoma in Messico #2 – Esperienze Urbane

Siamo lietə di annunciarvi l’uscita di “Educazione Autonoma in Messico #2 – Esperienze Urbane”, un nuovo elemento della collana “Quaderni della Complicità Globale” realizzata in collaborazione con il progetto editoriale Kairos – moti contemporanei. da Nodo Solidale Nel volume abbiamo raccolto delle interviste, completamente inedite, dedicate all’educazione all’interno dei processi di organizzazione dal basso e  […]

Immagine di copertina per il post
Culture

E facciamo sto viaggio insieme!

Militanza Grafica e InfoAut insieme con una serie di vignette e grafiche per una contro-informazione di movimento. Uniamo le forze per colorare, per disegnare e per creare un nuovo mondo insieme. Una volta al mese troverete, una linea di vignette create ad hoc per il network di contro informazione storico italiano InfoAut. Unire la creatività […]

Immagine di copertina per il post
Culture

La terra promessa di Sion non è per i Giusti

“Mi addormentai così, oppresso dal cupo destino che sembrava incombere su di noi. Pensavo a Brigham Young, che nella mia fantasia di bambino aveva assunto le dimensioni di un gigantesco essere malvagio, un diavolo vero e proprio, con tanto di corna e di coda.” (Jack London, Il vagabondo delle stelle – 1915) di Sandro Moiso, […]

Immagine di copertina per il post
Culture

Altri Mondi / Altri Modi – III edizione

Scommettere su altri mo(n)di possibili è l’ambizione del Festival Culturale Altri Mondi Altri Modi che anche quest’anno si terrà al centro sociale Askatasuna.

Immagine di copertina per il post
Culture

A.C.A.B.: la Val Susa secondo Netflix vs la realtà che viviamo

In Val Susa abbiamo avuto modo di vedere A.C.A.B., la serie prodotta dalla multinazionale americana Netflix e uscita ieri. da notav.info Eravamo curiosi di osservare come una fiction di tale portata avrebbe trattato la nostra terra e la nostra lotta. Quello che abbiamo visto non ci ha colpiti: la Val Susa, in questo caso, è […]

Immagine di copertina per il post
Culture

We are not robots – Cambiamento tecnologico e conflittualità

«Dalla miniera a cielo aperto di Lützerath in Germania alla “Zone à defendre” di Notre Dame des Landes passando per la lotta no tav in Val di Susa, negli anni a noi più vicini la battaglia contro lo strapotere della tecno-industria non ha né la fabbrica come epicentro, né la classe operaia come protagonista.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Prima udienza per Anan, Ali e Mansour: ammessi gli interrogatori israeliani, negate le consulenze della difesa

La corte de L’Aquila ha  accettato l’ammissibilità nel processo di metà degli interrogatori fatti nelle carceri israeliane, in spregio a qualsiasi diritto internazionale. da Osservatorio Repressione Negata, invece, l’ammissione di quasi tutte le consulenze di parte proposte dalla difesa degli attivisti palestinesi. Tra le persone che i legali di Anan, Ali e Mansour hanno chiesto […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’ultimo capitolo del genocidio

Israele ha iniziato la fase finale del suo Genocidio. I palestinesi saranno costretti a scegliere tra la morte o la deportazione. Non ci sono altre opzioni. Un articolo del giornalista premio Pulitzer Chris Hedges, ex corrispondente del New York Times da Gaza. di Chris Hedges da InfoPal (Chrishedges.substack.com.) Questo è l’ultimo capitolo del Genocidio. È […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La crisi umanitaria a Gaza: una situazione terribile di fame e aiuti bloccati

La Striscia di Gaza, che ospita quasi due milioni di persone, sta affrontando una crisi umanitaria di portata senza precedenti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Tregua finita, Israele attacca Gaza. Centinaia di palestinesi uccisi

Non conosce soste la massiccia offensiva aerea lanciata da Israele nella notte  a sorpresa contro Gaza.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Riceviamo e pubblichiamo le dichiarazioni di Anan all’ultima udienza

Riceviamo e pubblichiamo le dichiarazione di Anan durante l’ultima udienza all’Aquila che lo ha rinviato a giudizio insieme al altri due palestinesi.  da Radio Onda Rossa Anan Yaeesh – dichiarazione spontanea ex art 421 cpp Desidero iniziare con i miei saluti alla Corte e a tutti i presenti. Esiste sempre la legge, ma anche lo […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Rottura e interdipendenza: la partita tecnologica tra Usa e Cina

La competizione strategica tra Cina e Stati Uniti è più complessa e meno lineare di come viene solitamente rappresentata dai media generalisti.

Immagine di copertina per il post
Traduzioni

Leonard Peltier è finalmente libero!

Pubblichiamo la traduzione di questo articolo. “Oggi sono finalmente libero! Mi hanno imprigionato, ma non hanno mai spezzato il mio spirito!” Ciò che sembrava impossibile è diventato realtà il 18 febbraio, quando il prigioniero politico nativo Leonard Peltier è uscito dal penitenziario federale di Coleman da uomo libero. Ha lasciato Coleman non più in uniforme […]

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Geopolitica e lotta di classe nella crisi di sistema

0. Si apre un tempo di incertezza, che non fa ancora epoca. Per conquistarne l’altezza, occorre rovesciare il punto di vista. E cogliere, nell’incertezza del tempo, il tempo delle opportunità. da Kamo Modena 1. «La fabbrica della guerra». Abbiamo voluto chiamare così un ciclo di incontri dedicati a guardare in faccia, da diverse angolature e […]

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Non guerra in Europa, ma guerra all’Europa

La telefonata tra Trump e Putin ha traumatizzato la pessima classe dirigente europea, gettandola nel panico. Mentre la guerra in Ucraina va verso il congelamento gli imbelli che governano il continente finalmente si stanno rendendo conto che questa non era solamente una guerra in Europa, ma una guerra all’Europa, portata avanti con mezzi non convenzionali […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Hamas ha annunciato il rinvio dello scambio di prigionieri: Perché e perché ora?

Hamas si trova attualmente in una posizione in cui deve fare del suo meglio per negoziare l’ingresso di aiuti sufficienti a Gaza, assicurando al contempo la fine della guerra e la formazione di un’amministrazione post-bellica in modo che il territorio possa essere rilanciato e ricostruito. di Robert Inlakesh, tradotto da The Palestine Chronicle Lunedì, il […]