“Sorry we missed you” e quel che davvero ci manca
Ogni volta immagini che quel realismo asciutto difetti di cinema e sei riluttante. Non ci vorresti andare a vedere l’ultimo film di Ken Loach. Cerchi altro.
Non la stronzata della magia del cinema ma magari una possibilità contro questa realtà sì, e vorresti vederla con l’occhio del cinema. Eppure capita che cedi. Ti cercano, ti consigliano, ti convincono e vai a vedere “Sorry we missed you” e nonostante quella puzza di cultura-di-sinistra in sala e la tua assistente sociale seduta due file più in basso che si strugge per tutta la proiezione e che ha fatto finta di non riconoscerti, nonostante questo, non te ne penti. Chi sa se ha visto anche Daniel Blake, l’assistente sociale. Sicuramente sì. Glielo chiedo al prossimo colloquio anche se “con gli utenti è vietato familiarizzare”.
Non te ne penti perché in primo luogo non c’è nostalgia, o forse non c’è più nostalgia nel suo cinema. Non c’è movimento della classe operaia ma resta la classe. Come monade. In un suo frammento generico. Prima della lotta occorre l’umano che deve farla. La memoria degli scioperi dei minatori è ferma in alcune foto, non si muove nei fotogrammi. A scorrere è quello che siamo. Per questo non c’è storia in questo film che a dire il vero non racconta nulla: due proletari inglesi conosciutisi a un rave tirano su famiglia perdono la casa su cui avevano un mutuo, vivono in affitto, sono sommersi dai debiti, lavorano tutto il giorno e non ce la fanno lo stesso. Lei assistente domiciliare lui driver in proprio per una piattaforma logistica, “l’uomo del furgone bianco”. Lavorano tutto il giorno. Come tutti.
E allora cosa c’è da vedere se siamo già là dentro? Contratto a zero ore, spostamenti non pagati, reperibilità continua, lavoro di cura, lavoro domestico, lavoro a domicilio, lavoro autonomo ma gestito da piattaforma, delivery, neocottimo, tempi, prestazioni, standard di qualità. C’è tutto. Lavorano tutto il giorno. Una rassegna di sociologia del lavoro sembra. Che palle, “Ci siamo stufati di Ken Loach”? A volte sì, ma chi sa… forse il film non sta qui. Non sta tutto qui. Perché chi cerca la caduta morale in questa storia non trova niente. Infatti non trova neanche la lotta e il suo insegnamento. Può darsi che questo cinema non serva a niente – e meno male! – ma lascia che si scorga la vita che viene consumata. E così si inizia a deragliare ed è la normalità. Perdersi nella necessità è la normalità di una condizione… proletaria, sì, questo racconta il film. La realtà così com’è toglie il tempo di vivere, la possibilità di amarsi e di dare questo amore a qualcosa per restituire, contro la necessità di tirare avanti, un po’ di libertà alla vita. Sorry, we missed that, ed è vero che non abbiamo trovato a chi recapitarla questa passione, ci manca, ci è mancata.
In fin dei conti è indifferente che Ken Loach scelga di raccontarlo dalla prospettiva di una famiglia che esplode, i cui affetti implodono, che deraglia. Nessuno c’è più per l’altro, per quanto ce lo si ripeta a vicenda. Nessuno più probabilmente c’è più neanche per se stesso. Lo smarrimento è lo sfondo di un umano generico che non sa più a cosa rivolgere ciò che sente di irriducibile in sé. Un amore? Un legame? Più legami, fino a quelli della propria condizione comune, di classe?… questo spetta a ciascuno per se stesso stabilirlo ma bisogna guardarla questa irriducibilità. È ciò che viene consumato alle condizioni di questa esistenza ed ciò per cui si può lottare. È la stessa cosa.
E se qualcuno piagnucola in sala siete pur sempre liberi di dirgli che è uno stronzo. Magari ci trovate anche voi il vostro assistente sociale, il vostro preside che vi ha sospeso, il vostro capetto del lavoro… no lui no, lui lavora più di voi e non ha il tempo di quegli altri per andare al cinema. Quel tempo che magari voi che vi siete seduti in sala avete per privilegio o perché in fondo ci state ancora provando a difendere le vostre passioni rubando un po’ di tempo ai vostri creditori. È già un inizio per non cedere al cinismo che è nemico della possibilità stessa della lotta contro questa realtà.
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