Sul lavoro di ricerca di Luciano Gallino, sociologo in contro-tendenza
Gallino è stato indubbiamente un intellettuale di primo piano che ha dedicato l’intera sua vita, come d’altra parte molti della sua generazione, a promuovere e collocare il pensiero sociologico prima nei centri di ricerca promossi dalle imprese industriali (Olivetti) poi nell’Università e nell’ Accademia Italiana. Ha fatto parte di una generazione di studiosi che si sono formati in un contesto, la stagione dello sviluppo nel secondo dopoguerra, dove è stato possibile, per l’assenza in Italia di percorsi scientifici precedenti, ridefinire gli spazi e i ruoli di molte scienze sociali.
Il vuoto in questi campi ha reso necessaria una feconda importazione di alcuni presupposti e concettualizzazioni della pensiero sociologico americano della prima metà del secolo. Processo, questo, che ha permesso di sviluppare nuovi percorsi e nuovi paradigmi per le scienze sociali, ponendoli a confronto e verifica diretta con le trasformazioni sociali e produttive che si sviluppavano e consolidavano nel confronto e nella ricerca coi mutamenti e le trasformazioni prodotti dall’emergere della società e della produzione di massa. Si è trattato di un rapporto che si è nutrito dei profondi legami definitisi sempre più strettamente e indissolubilmente tra scienza sociale (e organizzativa) e realtà produttiva fordista.
La Scienza è diventata necessaria per potenziare l’industrialità e la modernità e queste a loro volta hanno permesso l’affermazione di nuovi metodi e modi di produrre saperi scientifici sempre più industrializzati e adattabili a sostenere il sistema produttivo e sociale capitalistico. In questa direzione il sapere critico, le conoscenze flessibili che integrano e fanno funzionare scienze differenti all’interno di strutture di ricerca complesse ma fortemente finalizzate, sono diventate importanti risorse che hanno funzionato come fondamentale propulsore per l’innovazione capitalistica.
Luciano Gallino si è collocato consapevolmente e totalmente all’interno degli ambiti istituzionali che controllavano il formarsi di queste conoscenze, dedicandoci una quantità incommensurabile di lavoro, tempo e intelligenza parimenti collaborante e critica. Non è il caso qui di elencare la quantità di pubblicazioni e ruoli ricoperti nella sua traiettoria scientifico-istituzionale, ma sicuramente vanno ricordati gli indirizzi e gli approfondimenti delle sue ricerche, che si sono mosse tra: organizzazione dei processi di fabbrica, sistema formativo di capacità necessarie all/nell’industrializzazione, mercato del lavoro, informatica e qualità del lavoro, intelligenza artificiale, diseguaglianze e classi sociali, sistemi economici e sistemi politico-istituzionali, struttura d’impresa, globalizzazione e modernità.
Giunto all’apice della carriera istituzionale, sicuramente per meriti e caparbia, ha poi però saputo leggere e interpretare i limiti e le direzioni che le situazioni italiane e di globalizzazione andavano sviluppando e proponendo al sistema produttivo e sociale. Negli ultimi decenni ha espresso una maggior criticità, sviluppando un discorso sociologico sempre più in contrapposizione col sistema politico e finanziario dominante. Importanti sono gli approfondimenti sul significato e le caratteristiche della lotta di classe, che nell’ epoca attuale e diventata soprattutto contrapposizione delle classi dominanti vincenti contro la classe dei perdenti, con lo scopo di consolidare il suo fondamentale interesse: imitare o contrastare lo sviluppo delle classi subalterne e della classe media che possono in qualche misura minacciare lo scopo di continuare ad accumulare capitale.
Significativi per comprendere i processi di finanziarizzazione sono stati gli studi e le ricerche che hanno prodotto la pubblicazione di: “Finanzcapitalismo” (2011), “Il colpo di stato di banche e governi. L’attacco alle democrazie in Europa” (2013) e “Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati i nostri nipoti” (2015). In queste ricerche ha letto la crisi come il risultato delle intese convergenti tra le esigenze e le volontà del sistema finanziario e quelle delle classi politico-istituzionali dominanti che stanno segnano i destini attuali del mondo. Significativa è l’attenzione alle Mega-macchine sociali, grandi organizzazioni gerarchiche che usano masse di esseri umani per raggiungere i loro scopi. Si tratta di machine organizzative a espansione planetaria con possibilità capillare di penetrazione in tutti i sottosistemi sociali e in tutti gli strati della società, della natura e della persona, così da abbracciare ogni momento e aspetto dell’esistenza degli uni e degli altri.
Per Gallino, il finanzcapitalismo ha come motore non più la produzione di merci ma il sistema finanziario stesso, dove il denaro viene impiegato, investito, fatto circolare sui mercati allo scopo di produrre immediatamente una maggior quantità di denaro, in un processo patologico che appare inarrestabile. Ovviamente di questi aspetti della ricerca è difficile trovare traccia nelle commemorazioni odierne ma si tratta sicuramente dell’aspetto più interessante delle riflessione di Luciano Gallino. Nell’ultimo libro, ragionando sui suoi percorsi, si colloca con lucidità tra gli sconfitti e quindi, in un qualche modo e con tutte le differenze di prospettiva, con quella che sentiamo come nostra parte.
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