Tangodown contro Anonymous?
Da questa mattina che le agenzie stampa battono la notizia di un’operazione repressiva nei confronti di presunti appartenenti ad Anonymous. Sotto il coordinamento della Procura di Roma, del CNAIPIC e della Polizia Postale, quattro arresti e diverse perquisizioni sono state realizzate in tutta Italia. Gli inquirenti hanno utilizzato l’aggravante di associazione a delinquere nei confronti degli indagati. Tra i reati contestati ci sarebbero gli attacchi al sito del Governo, a quello del Parlamento ed al portale del Vaticano.
Difficile però fino a questo momento dare una lettura complessiva del blitz (ironicamente ribattezzato “Tangodown”) condotto in mattinata dalle forze dell’ordine. Alcuni degli attacchi in questione risalgono a più di due anni fa (quelli contro Parlamento e Governo sono del febbraio 2011 ed erano già stati oggetto di una prima tornata repressiva avvenuta nel luglio dello stesso anno). Poco chiaro inoltre è il teorema avanzato dalla procura: sebbene in un primo momento molti blog e quotidiani d’informazione abbiano titolato in modo pressoché unanime facendo riferimento ad “arresti contro Anonymous” altre agenzie stampa affermano che gli arrestati «celandosi dietro il nome di ”Anonymous” ed approfittando della notorieta’ del movimento» erano dediti alla commissione di attacchi nei confronti dei sistemi informatici di infrastrutture critiche, siti istituzionali ed importanti aziende.
Dalla conferenza stampa delle 11.30, tenuta al Viminale in modo congiunto dal capo della Polizia Postale Antonio Apruzzese e dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo è emerso però qualche dettaglio in più. Il primo ha affermato che gli arrestati«Operavano attacchi a siti istituzionali e aziendali per poi offrire la loro consulenza informatica e si spacciavano per il gruppo Anonymous per perseguire solo gli interessi economici diretti dell’organizzazione». Secondo il magistrato invece un obbiettivo importante raggiunto da questa operazione sarebbe il «il riconoscimento dell’associazione a delinquere telematica». Fatto mai avvenuto in precedenza in Italia e che, come ha spiegato l’avvocato Fulvio Sarzana, esperto di rete e diritti digitali, è anomalo. Tali fattispecie «è già stata ritenuta in diverse occasioni dalla giurisprudenza non configurabile. E ciò è avvenuto sia in giudizi di merito che in Cassazione».
Anonymous Italia, la nota crew di hacker salita agli altari della cronaca per l’attacco contro la polizia italiana ad ottobre, in un post su Facebook afferma di non avere ancora chiaro se le persone finite in queste ore nel mirino delle forze dell’ordine «siano parte interna del nostro gruppo, o siano un’altro gruppo di hacker che hanno chiamato col nome di Anonymous».
Non è privo di significato ricordare che il contesto in cui questa operazione è stata portata a termine è quello convulso che l’Italia sta vivendo negli ultimi mesi relativamente alle tematiche dei diritti digitali: dalle recenti dichiarazioni della Presidentessa della Camera Laura Boldrini sull’opportunità di introdurre nuove forme di regolamentazione del web, fino al dibattito innescatosi da metà febbraio sulla necessità di implementare una nuova infrastruttura strategica attraverso cui coordinare le attività di tutela della cybersecurity nazionale. Per non parlare dello scenario internazionale: il secondo mandato di Obama si è infatti aperto all’insegna di un escalation di tensione con la Cina proprio sul tema dei cyber attacchi condotti, ha accusato la Casa Bianca, da Pechino nei confronti di obbiettivi sensibili statunitensi.
Update 17.50: Anonymous Italia ha pubblicato da pochi minuti un breve comunicato sul suo blog all’interno del quale afferma di aver appreso «con rabbia e sdegno dell’ennesimo, vile attacco a chi ha agito in nome della Libertà» e promette vendetta rivolgendosi in modo molto duro alle autorità inquirenti «Vili profittatori al soldo dello Stato, vi crogiolate nel vostro breve attimo di notorietà ornato da menzogne inaudite. Non ci avete tagliato la testa: ci avete solo resi più forti. Aspettateci». Parole che sembrano indicare una netta presa di distanza dalla tesi avanzate dalla Procura di Roma secondo cui alcuni membri di Anonymous Italia avrebbero preso parte a diverse operazioni solo per ottenere consulenze dalle aziende e dalle istituzioni interessate dagli attacchi.
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