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Il Governo e Telt chiedono un totale di oltre 7 milioni di euro al Movimento No Tav, ai compagni e alle compagne del centro sociale Askatasuna e dello Spazio Popolare Neruda

Ieri mattina il processo che vede coinvolte 28 persone di cui 16 con l’accusa di associazione a delinquere ha visto andare in scena la richiesta dei risarcimenti dei “danni” per le manifestazioni prese in oggetto dall’inchiesta, perlopiù svolte in Val di Susa.

da Associazione a Resistere

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno e Ministero della Difesa, costituitisi in parte civile, richiedono sia il danno patrimoniale per le persone infortunate oltre che per i mezzi e il vestiario danneggiati, ma anche per il costo delle attività investigative della Questura, gli straordinari, l’indennità di ordine pubblico, sia il danno non patrimoniale. Per dare qualche cifra da capogiro, soltanto nel 2021 lo straordinario calcolato per i celerini ammontava a 1.024.785 di euro, a queste spese occorre aggiungere le spese del vitto, dell’alloggio e vettovagliamento. Bisogna poi contare il danno non patrimoniale, ossia il danno all’immagine, lesione del prestigio e credibilità dell’istituzione. Ciò si concretizza per un totale di oltre 7 milioni di euro (di cui 2.500.000 euro in via provvisionale esecutiva in attesa che il processo si concluda in via definitiva, ciò implica la possibilità che, già in primo grado di giudizio, una parte della quantificazione dei danni dovrà essere liquidata immediatamente, pena la sospensione della condizionale): 3,6 milioni per il Ministero dell’Interno, 3 mila euro per il Ministero della Difesa, a questo si aggiunge il danno non patrimoniale per la cifra di 3 milioni al Ministero dell’Interno e ulteriori 100 mila euro per il Ministero della Difesa e 100 mila per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Oltre alle cifre richieste dall’avvocatura di Stato, vengono sommati 1 milione di euro immediatamente esecutivi ai quali si aggiungeranno danni patrimoniali (e non) da liquidare e quantificare in sede civile da parte di Telt. Questa richiesta mette sotto accusa e infonde l’idea che chi protesta debba sobbarcarsi l’onere di pagare poliziotti in trasferta, gli extra, gli straordinari e tutto ciò che comporta la presenza di migliaia di poliziotti tenuti in pianta stabile a occupare un intero territorio come la Val Susa.

Durante l’udienza si è tenuta anche la prima parte dell’arringa difensiva dell’avvocato Novaro in merito al capo 1 incentrata sull’inconsistenza delle accuse dell’associazione a delinquere. Viene smontata quindi pezzo pezzo la memoria della Procura evidenziando tutte le forzature, i pregiudizi e l’inconsistenza di un teorema accusatorio che vuole negare la politicità dell’agire degli imputati, relegando la storia dei movimenti a espressioni deliquenziali, complotti criminali e nient’altro. Alla faccia della costituzione. É stata destrutturata la tesi cardine dell’accusa che, come aveva inaugurato la pm Pedrotta nel suo discorso per formulare le richieste, non sarebbe tutta l’Askatasuna a essere considerata criminale ma soltanto un gruppo al suo interno: allora non si spiega come possa reggere tutto l’impianto accusatorio se questa affermazione fosse vera. É stato sottolineato come nelle pagine dell’inchiesta ci siano copia e incolla delle annotazioni della digos che non sono state minimamente contestualizzate e inoltre, non ci è dato sapere il criterio con il quale siano state formulate le richieste dell’accusa. Un tema importante che è stato messo al centro poi, è come la solidarietà non possa essere comparata a comportamenti e dinamiche afferenti a dimensioni mafiose, in quanto basta alzare lo sguardo e vedere che in tutta Italia, ma siamo certi di poter dire in tutto il mondo, tutti i movimenti sociali si supportano a vicenda, si organizzano per portare avanti le lotte e per supportare le compagne e i compagni perseguiti dalla legge, il che prevede l’esborso di denaro.

E non è la prima volta infatti, che il Governo e Telt vogliono giocare la carta dei soldi per mettere i bastoni fra le ruote al Movimento No Tav, ricordiamo la somma esorbitante chiesta all’epoca del processone No Tav che riguardò le giornate di lotta del 27 giugno e del 3 luglio 2011 che ammontava a 650 mila euro, ma anche altre occasioni in cui il dissenso e la lotta all’interno delle aule dei Tribunali sono state relegate a un dettaglio facoltativo in democrazia sotto il ricatto del denaro. Vogliamo ricordare la condanna ad Alberto Perino, Loredana Bellone e Giorgio Vair, condannati al risarcimento dei danni per un presidio che avrebbe causato danni a Ltf a Susa in zona autoporto nel lontano 2010, condannati a pagare 214mila euro perché non si riuscirono a insediare macchinari e uomini per fare i sondaggi geognostici.

Risarcimenti come quelli richiesti oggi vogliono affermare la ragion di Stato costi quel che costi, pensando che sia accettato socialmente che a persone normali che studiano e lavorano o sono in pensione venga richiesta una tale somma di denaro per aver partecipato a movimenti sociali che hanno fatto la storia del nostro Paese. É evidente che non sia razionale né possibile pensare che si potranno pagare tali somme, ma che l’obiettivo è quello di intimorire e spaventare tutto un movimento e fare da monito per chi pensa di organizzarsi e lottare. Per quanto ci riguarda noi non siamo abituati a misurare il mondo in carta moneta ma evidentemente per le istituzioni dello Stato la propria credibilità è questione di contabilità. Continuare a imporre con assoluta noncuranza delle voci che vi si oppongono un’opera come il tav, spacciandola come un’infrastruttura di interesse strategico nazionale è un esempio lampante della prepotenza dello Stato, che non incarna proprio alcuna ragione: ma anzi, propaganda l’uso della forza come unico mezzo con cui imporre le proprie decisioni e garantirsi quel poco di legittimità che gli rimane. La Valle di Susa avrebbe volentieri fatto a meno di vedere il proprio territorio deturpato e militarizzato, occupato da tutte le forze dell’ordine e dall’esercito, sapendo anche di dovergli pagare gli straordinari. “Lottare costa caro” è il titolo di uno dei tanti articoli usciti a seguito del lancio della notizia dei milioni richiesti durante questo processo: costa caro certo, ma ciò che sembra sempre più cara è la possibilità di esprimere contrarietà a fronte di scelte scellerate dei Governi, gli stessi che oggi ci stanno trascinando in guerra. Se organizzarsi collettivamente viene paragonato a metodi mafiosi, rappresentare ed esprimere l’opposizione sociale porta a pagare caro nell’era in cui il soldo è l’unico strumento con cui dare valore alla giustizia, siamo sicuri che qua i conti non stanno tornando. Eppure ci si aspetterebbe di sentire che il dissenso è il sale della democrazia, anche nelle aule di Tribunale..

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