
Il processo contro Askatasuna e No Tav “riguarda tutti”. Sotto accusa il diritto al dissenso. Lunedì la sentenza
Lunedì 31 di marzo è una giornata importante per le persone che si rivedono nelle lotte e nei movimenti nati attorno alla storia dei centri sociali in Italia: è il giorno in cui il Tribunale di Torino deciderà sul destino di 28 persone, 16 delle quali accusate di associazione a delinquere, legate al Movimento Notav, al centro sociale torinese Askatasuna e allo spazio popolare Neruda.
Sono complessivamente 88 gli anni di carcere chiesti dall’accusa, 72 i capi di imputazione, oltre 7 i milioni pretesi dalla Procura e dalle partici civili, compresi i Ministeri e l’avvocatura di Stato, 3 milioni dei quali chiesti per danno d’immagine allo Stato. Richieste basate su costosissime indagini durate anni, ore di intercettazioni ambientali e telefoniche, pedinamenti, migliaia di soldi pubblici consumati per strutturare un teorema che, come sottolineano gli avvocati della difesa, vuole rendere il dissenso un reato.
L’Assocazione a Resistere, che si è costituita a seguito delle accuse mosse contro il movimento torinese e che ha trovato l’adesione di migliaia di persone solidali, ha sottolineato in un comunicato come questo processo e l’impianto accusatorio tenti di “mettere sotto accusa il senso della militanza politica“.
Askatasuna è, con ogni probabilità, il centro sociale più citato d’Italia. Lo è per la sua lunga storia politica, per la sua ampia comunità che si è formata attorno a Corso Regina Margherita e alle lotte in Val di Susa e, in parte, per gli accanimenti giudiziari che in questi anni si sono abbattuti su attivisti e attiviste.
L’ipotesi iniziale della Digos, attraverso le lunghe indagini e il massiccio impianto accusatorio, era dimostrare che Askatasuna fosse una associazione sovversiva. Una volta caduta la paradossale accusa di sovversione, la fase successiva è stata quella di dimostrare che dentro al centro sociale torinese si annidasse un’associazione criminosa.
Il senso di questo maxi-processo, definito Sovrano dal nome delle indagini, secondo la difesa e le realtà coinvolte dalle accuse è quello al contrario di riuscire a costituire il conflitto sociale come reato, processando chi agisce il conflitto ed escludendo il cosidetto “diritto penale del nemico”, cioè il diritto al dissenso.
Per ripercorrere i punti chiave e le anomalie del processo Sovrano, Radio Onda d’Urto ha intervistato Dana, una delle imputate coinvolte. Ascolta o scarica.
Sul processo Sovrano, il quotidiano Il Manifesto ha realizzato un inserto speciale in uscita oggi venerdì 28 marzo. Ce ne parla di Giansandro Merli de Il Manifesto. Ascolta o scarica.

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