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Torino, associarsi per resistere: Sara, Emiliano, Jacopo e Francesco sono liber*.

L’unica funzione della repressione: alimentare la voglia di riscatto.

Riceviamo una bella notizia: i quattro giovani studenti arrestati l’11 maggio scorso a Torino, a seguito della manifestazione che indicava in Confindustria la responsabilità della morte di Giuseppe e Lorenzo in alternanza scuola-lavoro, sono finalmente liberi. Sara, Francesco, Emiliano e Jacopo escono dai domiciliari con l’obbligo di firma giornaliera dopo mesi di detenzione preventiva, per i tre ragazzi iniziata in carcere e continuata ai domiciliari con tutte le restrizioni mentre per Sara l’accusa si basa sul fatto di aver parlato al megafono durante l’azione.

Oltre a gioire per la fine di un’ingiusta privazione della libertà per dei giovani che sono stati colpiti con l’obiettivo di spaventare e silenziare una lotta che ha scardinato la passività del periodo post lockdown, squarciando senza mezzi termini il velo che ricopre l’istituzione scolastica di una patina che vuole significare formazione e integrazione, ci sono alcune considerazioni da fare rispetto a questa vicenda.

Innanzitutto, è stata l’ennesima occasione per la Procura torinese di dimostrare il chiaro intento di voler perseguire senza remore qualsiasi espressione di rottura e dissenso all’interno della città, indicando nei quattro giovani un elemento di stigmatizzazione e di divisione rispetto alla mobilitazione costruitasi nei mesi dello scorso inverno. L’appartenenza infatti a un collettivo studentesco vicino al Centro Sociale Askatasuna diventa la giustificazione per un trattamento che solitamente viene riservato perlomeno a chi ha qualche anno di esperienza in più sulle spalle. Si tratta di un duplice obiettivo, da un lato dunque, delegittimare i percorsi di lotta che si costruiscono all’interno delle scuole da parte di chi trova differenti forme per organizzarsi e, dall’altro, intimorire in maniera generale chiunque senta l’esigenza di protestare ed esprimere insofferenza nei confronti di un sistema sempre più punitivo e disciplinante come la scuola. Per fare ciò, oltre all’utilizzo spietato delle misure cautelari, recentemente è stata anche utilizzata la strategia del Giudizio immediato per evitare di far scadere i termini per le misure preventive che avrebbero avuto il risultato di vederli liberi qualche mese prima. Il Giudizio immediato è un giudizio speciale che può essere richiesto dal Pubblico Ministero con l’obiettivo di passare direttamente alla fase dibattimentale del processo. Con il cambio del collegio giudicante invece, l’istanza di liberazione è stata infine accolta dopo 7 mesi di misure cautelari, il processo inizierà il 1 febbraio e sarà occasione di osservare come la controparte vorrà muoversi.

Un elemento sostanziale che assume centralità rispetto agli accanimenti giudiziari e ai tentativi di repressione però, è la capacità di tenuta e di risposta. Molte sono le voci che si sono alzate durante questi mesi che, con più o meno ufficialità, hanno avuto l’interesse di seguire da vicino questa vicenda, rappresentativa di una società malsana che come proposta per i giovani non ha altro che punizione e restrizioni. Un dato importante in un presente in cui l’indignazione sana di una parte di società che ancora vorrebbe credere in uno stato democratico non ha spazio per esprimere un sentire comune prezioso. E’ un dato di umanità in una fase in cui il bombardamento mediatico rende sterile qualsiasi riflessione più profonda e inaridisce la capacità umana di non accettare determinate brutture e violenze. Basti pensare al modo in cui viene narrata la guerra in corso in Ucraina, la facilità con cui si possa mediatizzare la morte e la sofferenza. In questo caso, su scale chiaramente diverse, percepire un afflato di indignazione per un’ingiustizia come questa è sicuramente un elemento da valorizzare.

In una fase in cui il nuovo ministro dell’istruzione promette di acuminare tutti gli aspetti più truci di un’agenzia formativa che dovrebbe essere la scuola, si riconosce distintamente la necessità di continuare a organizzarsi e ad associarsi per resistere. La determinazione che si legge negli occhi di chi è stato colpito oggi, ma che non ha intenzione di chinare la testa, è rappresentativa di una maniera di essere al mondo consapevole di aver poco da tutelare ma tutto da cambiare, un’attitudine sottesa e che a volte assume forme di ripiegamento su di sé o di rivalsa ma che, se raccolto e indirizzato, può avere una forza di riscatto inedita nella società attuale.

Di seguito riprendiamo il comunicato scritto dal Kollettivo Studenti Autorganizzati

SARA, FRANKY, EMI E JACO SONO FINALMENTE LIBERƏ!

Lə 4 studentə arrestatə lo scorso maggio, dopo 7 mesi di domiciliari, tornano finalmente liberə, con l’obbligo di firma giornaliero.

Tutto è iniziato quando la morte di Lorenzo, schiacciato da una putrella in alternanza scuola-lavoro, scaturì una scintilla che diede inizio alla mobilitazione che voleva abolire il lavoro obbligatorio e gratuito per lə studentə.
Abbiamo occupato 60 scuole solo nel torinese, e in tutta Italia abbiamo urlato a gran voce che vogliamo vivere bene, senza essere costrettə ad andare in fabbrica invece che studiare.
Quelle giornate sono ricordi indelebili ormai: le botte di piazza arbarello, l’occupazione del Gioberti, la manifestazione del 4 gennaio con 4000 studentə, le occupazioni e la manifestazione del 18 febbraio partecipata da più di 10000 studentə e con una voglia di riscatto percepibile nell’aria.
A maggio si è poi arrivati al nuovo capitolo di questa storia: 11 misure cautelari di cui tre arresti in carcere e quattro ai domiciliari, oltre a obblighi di firma giornalieri e denunce anche a studentə minorenni per i tafferugli sotto Confindustria del 18 febbraio e la manifestazione di piazza arbarello del 28 gennaio.
A seguito dell’alleviamento delle misure, soltanto Franky, Emi, Sara e Jaco sono rimastə ai domiciliari, fino a ieri.

Siamo ora felici di riabbracciare lə compagnə e di continuare a lottare con loro contro questo sistema che ci ferisce, ci uccide e impoverisce le nostre vite.
Andremo avanti fino alla vittoria per liberare tuttə, un pensiero va anche a Umberto e Giorgio ancora ai domiciliari.

Liberare tuttə vuol dire lottare ancora!

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